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Vangelo secondo Giovanni 5,17-30

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.
Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

IL PADRE E IL FIGLIO

Gesù ci introduce nel mistero della sua persona divina. La sua vita terrena ripropone a livello   umano il rapporto del Figlio con Dio Padre, dal quale viene generato come Verbo. Il Figlio divino comunica la vita oltre la morte a chi lo ascolta. La risurrezione sarà per tutti: risurrezione di vita per quanti fecero il bene, di condanna per quanti fecero il male. In quanto Figlio, della stessa natura del Padre, Gesù comunica a noi uomini la vita divina. Il Concilio di Nicea aiuta a comprenderlo.

Introduzione del celebrante
Nel cammino verso la Pasqua di risurrezione, ci affidiamo al Signore Gesù, che è venuto nel mondo non per condannare ma per salvare.

  1. Signore Gesù ti ringraziamo per la misericordia con la quale ci accogli in questa eucaristia e ci accompagni a vivere. La tua grazia ci sostenga nelle circostanze liete e laboriose della nostra vita,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù ti ringraziamo per i sacerdoti, ministri della tua misericordia nel sacramento della confessione. In questo tempo del Giubileo sostieni il cammino sinodale della tua Chiesa,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù, apri le vie dell’intesa e della pace nel dialogo tra i capi delle nazioni, per il bene di tutti i popoli della terra. Sostieni la solidarietà in favore delle persone colpite da terremoti e carestie,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

  1. Signore Gesù ti affidiamo il cammino quaresimale della nostra comunità e delle nostre famiglie; insegnaci a pregare personalmente e insieme, per ritrovare il tuo volto e la tua compagnia,

Preghiamo: ASCOLTACI O SIGNORE

Conclusione del celebrante
Signore, ci affidiamo al tuo perdono e al tuo abbraccio che ci consola a ci apre il cuore e le mani verso il mondo.

MISERICORDIA CHE FA VIVERE

Di fronte al male del mondo e al male che sperimentiamo nella nostra vita, che cosa fa riprendere la speranza e la vita? La grazia del perdono rianima la persona, riunisce la comunità, ricostruisce un popolo. Non siamo frettolosi a condannare gli altri, magari per mettere al riparo noi stessi, ma apriamoci alla misericordia e al dialogo con tutti: familiari, figli, amici, colleghi. Gesù giudica con chiarezza il peccato, ma guarda con misericordia il peccatore. Domandiamo di essere guardati e di guardare con misericordia.

Vangelo secondo Giovanni 5,1-16

Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

PARALISI E GUARIGIONE

Ecco il terzo ‘segno’ nel Vangelo di Giovanni: la guarigione del paralitico, malato da trent’otto anni. Questo miracolo provoca una contesa con i Giudei che vanno a rimproverare l’uomo guarito perché di sabato si prende addosso la barella. Gesù sparisce tra la folla e poi ritrova quell’uomo e gli consegna la raccomandazione di non peccare perché non gli accada qualcosa di peggio. Il peccato dunque è peggio della paralisi: la paralisi dell’uomo intero.

Vangelo secondo Giovanni 4,43-54

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

CANA DEI MIRACOLI

Dei sei ‘segni’ di Gesù registrati nel Vangelo di Giovanni, due sono compiuti a Cana. Gesù apre la strada verso il settimo, che sarà la sua stessa risurrezione, facendo questo secondo miracolo in cammino verso la casa del funzionario, annunciando così che i miracoli non hanno bisogno della sua presenza fisica. Egli ci esorta a credere non in forza dei segni che vediamo, ma in forza della sua stessa persona. L’attaccamento a Lui è strada di salvezza.

Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

ACCOGLIENZA e LETIZIA PER UNA VITA NUOVA

La liturgia quaresimale oggi è soffusa di letizia: il popolo giunge alla terra promessa (1 lettura) la nuova creatura nasce dalla riconciliazione in Cristo (2 lettura); l’accoglienza del Padre e la festa per il ritorno del figlio. Andando a Messa oggi torniamo alla terra promessa, alla casa del Padre, alla vita che si rinnova. Siamo accolti e abbracciati, come singole persone, come famiglie e comunità. Domandiamo la grazia di accorgercene e di tenere aperta questa strada nella nostra settimana e in tutta la nostra vita.

In occasione dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, la Rete teologica ‘Santi Angeli’ ha dedicato l’incontro di lunedì 10 marzo a un dialogo sulla professione di fede stabilita in quel Concilio.
Ecco una sintesi della serata teologica.

L’antefatto: in cerca dell’unità
Se una distanza di millesettecento anni ci separa dal concilio di Nicea, resta vero che Nicea diventa nostra nella Messa di ogni domenica con la professione di fede proclamata nel Credo: “…Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre pima di tutti i secoli… generato non creato, della stessa sostanza del Padre…”.
Non ci scandalizzi il fatto che il Concilio di Nicea sia voluto da Costantino imperatore d’Oriente e d’Occidente dopo la vittoria su Massenzio nel 313. Dopo quasi tre secoli di diffidenza e di persecuzione, il cristianesimo - insieme con tutte le altre forme religiose - viene riconosciuto come ‘religio licita’ da Costantino, che vuole unificare l’impero anche con il contributo dei cristiani. Peccato che questi appaiano divisi sul punto centrale della loro fede. Tutti credono che Gesù Cristo possieda una ‘forma divina’, ma molti non lo riconoscono come Dio. Un grave conflitto scoppia in Alessandria d‘Egitto, città in cui si concentrano i filosofi e gli intellettuali eredi dell’antica Grecia. Ario, prete di Alessandria, facondo predicatore e poeta, incanta vescovi e popolo con i suoi sermoni e le sue canzoni annunciando Gesù figlio di Dio ma non Dio lui stesso. Il contrasto con il suo vescovo Alessandro è vivissimo e si propaga per vaste zone dell’impero. La convocazione di un concilio generale – che noi chiameremmo ‘ecumenico’ - diventa necessaria. I vescovi provengono in massima parte dall’Oriente; dall’Occidente arrivano anche due vescovi in rappresentanza del papa, cagionevole di salute. Costantino mette a disposizione il sistema di posta imperiale e la residenza nel suo palazzo. A Nicea gli storici stimano una presenza di 150-200 vescovi, anche la tradizione riconosce la cifra simbolica di 318, come i servi di Abramo. Non possediamo la cronaca delle sessioni del concilio ma solo le formule conclusive, relative ai temi trattati: l’identità di Gesù, la data della Pasqua, questioni disciplinari.

Il fatto: il Concilio di Nicea, Gesù Cristo è Dio
I vescovi riuniti a Nicea vogliono professare la divinità di Gesù Cristo secondo l’evangelista Giovanni che afferma all’inizio del Vangelo: ‘In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio’. Occorre mettere al riparo questa fede dalle interpretazioni riduttive: gli ariani dicono che il Figlio non è Dio, ma la prima e più eletta creatura, intermediario tra il Padre e gli uomini; i monarchiani affermano che Padre e Figlio costituiscono un’unica persona. Per affermare la fede di sempre, Nicea impiega un nuovo linguaggio, già parzialmente in uso presso alcune chiese dell’Oriente: il Figlio è ‘generato dal Padre come unigenito, cioè della stessa sostanza del Padre. Le parole chiave - ousìa-natura; omoùsios-della stessa sostanza – sono tratte dalla filosofia greca. Con questa preziosa innovazione si giunge a precisare che il Figlio è allo stesso livello del Padre, Dio come il Padre: Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose in cielo e in terra. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: Io e il Padre siamo una cosa sola. Nicea afferma la stessa cosa con il linguaggio del tempo che verrà ulteriormente chiarito nel concilio di Costantinopoli con l’impiego di un’altra parola: hypostasis-persona. Si chiarirà così che Dio è uno solo - una sola natura divina - in tre persone divine: Unità e Trinità di Dio.

Dopo Nicea: un contributo fondamentale alla fede cristiana
Un lungo travaglio segue il Concilio di Nicea. L’arianesimo continua a pervadere molta parte dell’universo cristiano, popolo e vescovi. I barbari che entrano nell’impero romano diventano cristiani attraverso l’arianesimo, più corrispondente alla loro cultura. Atanasio, divenuto vescovo di Alessandria e grande difensore di Nicea, viene più volte esiliato. Dopo Nicea seguono due altri grandi concili: Costantinopoli nel 381, dove viene affermata la divinità dello Spirito Santo, terza persona della Trinità; Calcedonia nel 431 che dichiara Maria theotòkos-madre di Dio, riaffermando la divinità della persona del Figlio di Dio divenuto uomo.
Nei secoli successivi, con l’espansione del cristianesimo in altre culture, particolarmente in Cina e in altre regioni dell’Asia e in Africa, si pone la domanda: come la fede cristiana, dichiarata nei Vangeli e in tutto il Nuovo Testamento e poi chiarita a Nicea e negli altri concili con il contributo della cultura greca, potrà venire espressa e ulteriormente approfondita in culture diverse? E anche: come possiamo riesprimerla noi – senza rinnegarla o ridurla – nella cultura e nel linguaggio odierni?
La fede dei semplici e dell’intero popolo cristiano rimane il punto di paragone e la perenne garanzia per tutti i popoli e tutti i linguaggi. Solo perché si crede con la vita si giunge a esprimere la fede con parole vere e appropriate.
Don Angelo Busetto

UN NUOVO ARIANESIMO?
Occuparsi del Concilio di Nicea è importante non solo dal punto di vista storico. La sua confessione cristologica conserva anche e precisamente oggi la sua permanente attualità, sia nella situazione ecumenica sia all’interno della nostra Chiesa, dove lo spirito di Ario è tornato ad essere molto presente e dove è osservabile un forte risveglio delle tendenze ariane. Già negli anni ‘90, il cardinale Joseph Ratzinger ravvisava la vera sfida del cristianesimo contemporaneo in un “nuovo arianesimo” o, quantomeno, in un “nuovo nestorianesimo, abbastanza pronunciato”. Tali tendenze ariane si manifestano soprattutto nel fatto che diverse persone, persino tra i cristiani, sono sensibili a tutti gli aspetti dell’umanità di Gesù di Nazaret, ma hanno difficoltà nell’accogliere in pieno la fede cristologica della Chiesa, in quanto vedono come problematico il credo secondo cui questo Gesù è l’unigenito Figlio di Dio, presente in mezzo a noi come il Risorto. Anche nella Chiesa spesso non si riesce più a scorgere oggi il volto del Figlio di Dio nell’uomo Gesù.
Dalla dichiarazione del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, 2022

UNA QUESTIONE DI VITA
Un libro uscito nel 1974, letto quando avevo poco più di 20 anni e pure oggetto di lavoro comune, aveva questo titolo:
Alessandro e Ario, Un esempio di conflitto tra fede e ideologia. Documenti della prima controversia ariana, a cura di Enzo Bellini, Jaca Book.
Sotto il titolo si legge: I documenti di una controversia che coinvolse tutta la Chiesa dall'inizio del secolo IV rivelano i dati essenziali di due modi diversi di accostare il fatto cristiano: quello di chi lo costringe entro i limiti di una ideologia e quello di chi ne riconosce la trascendenza. Questi due modi riaffiorano in ogni epoca, per cui la meditazione della vicenda antica aiuta a rispondere oggi.
La controversia di Ario e del vescovo Alessandro dunque mette in evidenza come ci siano due modi di intendere il cristianesimo: o è l’irrompere del Mistero di Cristo nella storia, nella mia storia, qualcosa che continuamente mi supera, oppure è una mia idea, su Dio, sul mondo, sulla vita, alla quale piego il fatto cristiano. A Nicea si sono scontrate queste due posizioni, che si ripropongono sempre nel corso della storia. Negli anni in cui avevo riscoperto il cristianesimo, ci chiedevamo cos’era per noi essere cristiani. Una domanda alla quale non si è mai finito di rispondere. Una domanda che accompagna tutta la vita.
Ecco come si esprimono alcuni amici dopo la serata sul Concilio di Nicea:
+ L'incontro sul concilio di Nicea, come gli incontri precedenti, alimentano il mio bisogno di Dio e conseguentemente il bisogno di conoscerLo per rendere sempre più penetrabile il Mistero. Mi educa ad accettare la mia impotenza, lo stato di Sua "creatura". Ad accettare la strada che mi viene indicata da percorrere, con le mie gambe, con l'aiuto dei compagni di strada, con il Suo aiuto. Alle volte il percorso si complica... G.F.
+ È bello ascoltare insieme parole di vita eterna. R.V,
+ Se Gesù non fosse Dio, non mi sentirei capita, amata, e accompagnata ogni singolo istante. Mi mancherebbe la dimensione dell’eternità, e la vita sarebbe un susseguirsi di fatti più o meno sensati, più o meno lieti o tristi. Tutto si dissolverebbe nel nulla. La dimensione della Speranza verrebbe a mancare. Aldilà delle dispute teologiche, io vivo così Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. A.R.
Mario Frizziero

Eccolo con noi in una serata di paese, tra persone che lo ascoltano e lo guardano così attente come potevano essere quelle che per seguirlo dimenticavano di mangiare. Gesù entra nelle case: lo vediamo in uno spezzone di filmato ripreso dalla serie Chosen, che ormai viene trasmessa in tutte le televisioni del mondo. Gesù è in casa di Marta e Maria, con la sorella maggiore tutta presa a preparare una raffinata apericena per lui e i suoi dodici apostoli, e Maria, ‘la piccola’, incantata a guardare il Maestro che parla. Marta va a lamentarsi con Gesù, e questi taglia corto: “Grazie Marta per la bella cena che ci prepari. Ma se vuoi essere lieta quando lavori, smetti un momento e ascolta me”.                    Anche qui da noi alcune donne hanno cominciato ad ascoltarlo e a comunicarlo ai figli, piccoli e già fioriti. Con timore e tremore e con l’audacia della fede accettano la sfida di raccontarsi davanti a tante persone: “Cristo ti accoglie nel sacramento così ‘difficile’ della confessione, ti invita nella comunità riunita per l’Eucaristia, ti rimette in cammino in uno slancio di vita… E’ il sentore di una felicità nuova, che sgorga dal profondo”. Le parole escono come un torrente: “Mi spiazza davvero con quale semplicità i bambini si fanno coinvolgere. Mi sono chiesta: perché, se la cosa li rende felci, non fare come i bambini?”. “I sacramenti non hanno avuto un significato preciso nella mia vita al tempo in cui li ho ricevuti, ma continuano ad agire in me da allora in poi. Accade in maniera improvvisa, illuminante, accecante. Tutto appare più chiaro, mi pare di percepire il senso di tutto, come quando riesci a vedere un pezzo di intreccio dietro al tessuto. Ho sempre avuto la percezione che qualcosa di molto più grande ci fosse dietro le cose di cui io riuscivo a comprendere solo un pezzettino”. “Voglio dare ai miei figli la possibilità di accogliere - magari più e meglio di me - la grazia, il dono più grande, più forte di tutto, il senso più alto di quello che vivono. Come un seme che poi loro potranno sviluppare o no. Ma con i sacramenti che ricevono non saranno mai soli”. Vale per la vita intera: c’è chi racconta la consolazione del sacramento dell’unzione nel corso di una malattia ormai superata.                                                             In mezzo al nostro mondo vario e terribile, nelle paure che ci piovono addosso come malefici droni, ci ritroviamo come quando, circondati dalla gente in una strada sconosciuta di una grande città, scorgiamo in un lampo un volto amico e la segnalazione di una guida; finalmente gli occhi si illuminano e i polmoni respirano. Lo percepiamo nella canzone di Fabrizio Moro, proposta dal vivo mentre sullo schermo scorrono le parole e appare il volto di Gesù: “Tu che sei il sogno più grande / Tra i sogni più veri / E questa canzone / Che gira e rigira, la dedico a te / Il mio unico amore / Il senso di ogni cosa che c'è / Che sei l'infinito tra i miei desideri”.             L’infinito che colma i desideri è Gesù che viene a incontrarci, non solo come ascoltatori della sua Parola, ma testimoni della sua Presenza, nuovi protagonisti in una comunità ricca di storia, toccata dal balenare di un guizzo di trasfigurazione.

 

 

 

Vangelo secondo Luca 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

PREGARE?

Perché pregare, come pregare? Non andiamo davanti al Signore a dirgli quanto siamo bravi e quanto ci meritiamo la sua benevolenza. Andiamo come poveretti bisognosi e fiduciosi, come figli che sanno di essere amati e voluti, come peccatori che domandano un abbraccio di misericordia. La preghiera diventa il respiro che ci fa vivere, il soffio dello Spirito che ci rilancia nell’impresa della vita.

Vangelo secondo Marco 12,28-34

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

IL BINARIO DELLA VITA

A pensarci bene, non può essere diversamente. L’origine della vita è Dio, da Lui veniamo e a Lui torniamo. Che cosa possiamo fare di bello e vero se non corrispondere con tutto noi stessi al suo amore creatore e redentore? Quanto all’amore del prossimo, è la ‘regola di vita’ che più ci conviene personalmente e più fa bene all’umanità intera. Ponendoci su questo binario il treno della vita cammina e porta alla meta tutti i suoi passeggeri.