Dal documento della Commissione Teologica Internazionale (istituita presso la Congregazione per la Dottrina della Fede) "Il diaconato: evoluzione e prospettive" del 2003 (capitolo II, sezione IV):
In epoca apostolica, diverse forme di assistenza diaconale agli apostoli e alle comunità esercitate da donne sembrano avere un carattere istituzionale. Così Paolo raccomanda alla comunità di Roma «Febe, nostra sorella, diaconessa (he diakonos) della Chiesa di Cencre» (cfr Rm 16,1-4).
Benché qui sia usata la forma maschile di diakonos, non possiamo concludere che essa indichi già la funzione specifica di «diacono»; da una parte, perché, in questo contesto, diakonos significa ancora, in un senso molto generale, servo e, d’altra parte, perché la parola «servo» non ha un suffisso femminile, ma è preceduta da un articolo femminile.
Ciò che pare certo è che Febe ha esercitato un servizio nella comunità di Cencre, riconosciuto e subordinato al ministero dell’ Apostolo. Altrove, in Paolo, le stesse autorità civili sono chiamate diakonos (Rm 13,4) e, in 2 Cor 11,14-15, si parla di diakonoi del diavolo.
Gli esegeti sono divisi riguardo a 1 Tm 3,11. La menzione delle «donne» dopo i diaconi può far pensare a donne-diaconi (stessa presentazione con «similmente»), o alle spose dei diaconi dei quali si è parlato prima. In questa Lettera non sono descritte le funzioni del diacono, ma solamente le condizioni della loro ammissione. Si dice che le donne non devono insegnare né dirigere gli uomini (1 Tm 2,8-15). Ma le funzioni di direzione e di insegnamento sono in ogni caso riservate al vescovo (1 Tm 3,5) e ai presbiteri (1 Tm 5,17), non ai diaconi.
Le vedove costituiscono un gruppo riconosciuto nella comunità, da cui ricevono assistenza in cambio del loro impegno alla continenza e alla preghiera. 1 Tm 5,3-16 insiste sulle condizioni della loro iscrizione nella lista delle vedove aiutate dalla comunità e non dice altro sulle loro eventuali funzioni. Più tardi, esse saranno ufficialmente «istituite», ma «non ordinate»; costituiranno un «ordine» nella Chiesa e non avranno mai altra missione che il buon esempio e la preghiera.
All’inizio del II secolo, una Lettera di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, menziona due donne, designate dai cristiani come ministrae, equivalente probabile del greco diakonoi (X 96-97). Solamente nel III secolo compaiono i termini specificamente cristiani di diaconissa o diacona.
Infatti, a partire dal III secolo, in alcune regioni della Chiesa - e non in tutte - è attestato un ministero ecclesiale specifico attribuito alle donne chiamate diaconesse. Si tratta della Siria orientale e di Costantinopoli. Verso il 240 compare una compilazione canonico-liturgica singolare, la Didascalia degli Apostoli (DA), che non ha carattere ufficiale. Il vescovo vi ha i tratti di un patriarca biblico onnipotente (cfr DA 2,33-35,3). È a capo di una piccola comunità, che egli dirige soprattutto con l'aiuto di diaconi e diaconesse.
Queste ultime fanno qui la loro prima apparizione in un documento ecclesiastico. Secondo una tipologia presa a prestito da Ignazio di Antiochia, il vescovo occupa il posto di Dio Padre, il diacono quello di Cristo e la diaconessa quella dello Spirito Santo (parola al femminile nelle lingue semitiche), mentre i presbiteri (poco citati) rappresentano gli Apostoli, e le vedove l'altare (DA 2,26,4-7). Non si parla dell’ordinazione di questi ministri.
La Didascalia mette l’accento sul ruolo caritativo del diacono e della diaconessa. Il ministero della diaconia deve apparire come «una sola anima in due corpi». Esso ha per modello la diaconia di Cristo, che ha lavato i piedi ai suoi discepoli (DA 3, 13, 1-7). Tuttavia, non c’è uno stretto parallelismo tra i due rami del dia conato quanto alle funzioni esercitate. I diaconi sono scelti dal vescovo per «occuparsi di molte cose necessarie», e le diaconesse solamente «per il servizio delle donne» (DA 3, 12, 1). È desiderabile che «il numero dei diaconi sia in proporzione a quello dell’assemblea del popolo di Dio» (DA 3, 13, 1).
I diaconi amministrano i beni della comunità in nome del vescovo; e, come il vescovo, sono mantenuti da essa. I diaconi sono detti orecchie e bocca del vescovo (DA 2, 44, 3-4). Il fedele deve passare attraverso di essi per accedere al vescovo; allo stesso modo le donne devono passare attraverso le diaconesse (DA 3, 12, 1-4). Un diacono vigila gli ingressi nella sala delle riunioni, mentre un altro assiste il vescovo per l’offerta eucaristica (DA 2, 57, 6).
La diaconessa deve procedere all’unzione corporale delle donne al momento del battesimo, istruire le donne neofite, andare a visitare a casa le donne credenti e soprattutto le ammalate. Le è vietato amministrare il battesimo o svolgere un ruolo nell’offerta eucaristica (DA 3, 12, 1-4). Le diaconesse hanno preso il sopravvento sulle vedove. Il vescovo può sempre istituire vedove, ma esse non devono né insegnare né amministrare il battesimo (delle donne), ma soltanto pregare (DA 3, 5, 1-3; 6, 2).
Le Costituzioni apostoliche (CA), apparse verso il 380 in Siria, utilizzano e interpolano la Didascalia, la Didachè e anche la Tradizione apostolica. Eserciteranno un influsso durevole sulla disciplina delle ordinazioni in Oriente, benché non siano state mai considerate una raccolta canonica ufficiale. Il compilatore prevede l’imposizione delle mani con epiclesi dello Spirito Santo non solo per i vescovi, i presbiteri e i diaconi, ma anche per le diaconesse, i suddiaconi e i lettori (cfr CA VIII 16-23).
La nozione di klēros è estesa a tutti coloro che esercitano un ministero liturgico, che traggono la loro sussistenza dalla Chiesa e godono dei privilegi civili che la legislazione imperiale concede ai chierici, in modo che le diaconesse fanno parte del clero, mentre le vedove ne rimangono escluse.
Vescovo e presbiteri sono visti in parallelo rispettivamente con il sommo sacerdote e i preti dell’antica Alleanza, mentre ai leviti corrispondono tutti gli altri ministri e stati di vita: «diaconi, lettori, cantori, ostiari, diaconesse, vedove, vergini e orfani» (CA II, 26, 3; VIII 1,21). Il diacono è posto «al servizio del vescovo e dei presbiteri» e non deve usurpare le funzioni di questi ultimi.
Il diacono può proclamare il Vangelo e guidare la preghiera dell’assemblea (CA II 57, 18), ma soltanto il vescovo e i presbiteri esortano (CA II 57, 7). L’entrata in funzione delle diaconesse si fa con una epithesis cheiron o imposizione delle mani che conferisce lo Spirito Santo, come per il lettore (CA VIII 20; 22).
Il vescovo pronuncia la seguente preghiera: «Dio, eterno, Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, creatore dell’uomo e della donna, tu che hai riempito di spirito Myriam, Debora, Anna e Ulda, che non hai giudicato indegno che tuo Figlio, l’Unigenito, nascesse da una donna, tu che nella tenda della testimonianza e nel tempio hai istituito custodi per le tue porte sante, tu stesso guarda ora la tua serva qui presente, proposta per il diaconato, donale lo Spirito Santo e purificala da ogni impurità della carne e dello spirito perché compia degnamente l’ufficio che le è stato affidato, per la tua gloria e a lode del tuo Cristo, da cui a te gloria e adorazione nello Spirito Santo per i secoli. Amen».
Le diaconesse sono nominate prima del suddiacono, il quale riceve una cheirotonia come il diacono (CA VIII 21), mentre le vergini e le vedove non possono essere «ordinate» (VIII 24-25). Le Costituzioni insistono perché le diaconesse non abbiano alcuna funzione liturgica (III 9, 1-2), ma estendono le loro funzioni comunitarie di «servizio presso le donne» (CA III 16,1) e di intermediarie tra le donne e il vescovo.
Si dice sempre che esse rappresentano lo Spirito Santo, ma «non fanno nulla senza il diacono» (CA II 26, 6). Devono stare agli ingressi delle donne nelle assemblee (Il 57, 10). Le loro funzioni sono così riassunte: «La diaconessa non benedice e non compie nulla di ciò che fanno i presbiteri e i diaconi, ma vigila le porte e assiste i presbiteri in occasione del battesimo delle donne, per ragioni di decenza» (CA VIII 28, 6).
A questa osservazione fa eco quella, quasi contemporanea, di Epifanio di Salamina nel Panarion (verso il 375): «Esiste nella Chiesa l’ordine delle diaconesse, ma non serve per esercitare le funzioni sacerdotali, né per affidargli qualche compito, ma per la decenza del sesso femminile, al momento del battesimo». Una legge di Teodosio del 21 giugno 390, revocata il 23 agosto successivo, fissava a 60 anni l’età di ammissione al ministero delle diaconesse. Il Concilio di Calcedonia (can. 15) lo riportava a 40 anni vietando loro il susseguente matrimonio.
Già nel IV secolo il genere di vita delle diaconesse si avvicina a quello delle claustrali. È detta allora diaconessa la responsabile di una comunità monastica di donne, come attesta, tra gli altri, Gregorio di Nissa. Ordinate badesse dei monasteri femminili, le diaconesse portano il maforion, o velo di perfezione. Sino al VI secolo, assistono ancora le donne nella piscina battesimale e per l’unzione.
Benché non servano all’altare, possono distribuire la comunione alle ammalate. Quando la prassi battesimale dell’unzione del corpo fu abbandonata, le diaconesse sono semplicemente vergini consacrate che hanno emesso il voto di castità. Risiedono sia nei monasteri, sia in casa propria. La condizione di ammissione è la verginità o la vedovanza, e la loro attività consiste nell’ assistenza caritativa e sanitaria alle donne.
A Costantinopoli, la più nota diaconessa nel IV secolo è Olimpia, igumena (badessa) di un monastero di donne, protetta da san Giovanni Crisostomo, la quale mise i propri beni al servizio della Chiesa. Fu «ordinata» (cheirotonein) diaconessa con tre sue compagne dal patriarca. Il can. 15 di Calcedonia (451) sembra confermare il fatto che le diaconesse sono veramente «ordinate» con l’imposizione delle mani (cheirotonia). Il loro ministero è detto leitourgia, e ad esse non è più permesso di contrarre matrimonio dopo l’ordinazione.
Nel sec. VIII, a Bisanzio, il vescovo impone sempre le mani sulla diaconessa e le conferisce l’orarion o stola (i due lembi vengono sovrapposti sul davanti); le consegna un calice che ella depone sull’altare, senza far comunicare nessuno. È ordinata durante la liturgia eucaristica nel santuario come i diaconi. Nonostante le somiglianze dei riti di ordinazione, la diaconessa non avrà accesso né all’altare né ad alcun ministero liturgico. Tali ordinazioni riguardano soprattutto igumene (badesse) di monasteri femminili.
Precisiamo che in Occidente non troviamo tracce di diaconesse nei primi cinque secoli. Gli Statuta Ecclesiae antiqua prevedevano che l’istruzione delle donne catecumene e la loro preparazione al battesimo fossero affidate alle vedove e alle claustrali «scelte ad ministerium baptizandarum mulierum». Alcuni Concili del IV e V secolo respingono ogni ministerium feminae e vietano ogni ordinazione di diaconesse. Secondo l’Ambrosiaster (a Roma, fine IV secolo), il diaconato femminile era appannaggio degli eretici montanisti.
Nel VI secolo, come diaconesse si indicano talvolta donne ammesse nel gruppo delle vedove. Per evitare ogni confusione, il Concilio di Epaona vieta «la consacrazione di vedove che si fanno chiamare diaconesse». Il Concilio di Orléans (533) decide di escludere dalla comunione le donne che avessero «ricevuto la benedizione del diaconato malgrado la proibizione dei canoni e che si fossero risposate». Diaconissae erano pure chiamate badesse o spose di diaconi, per analogia alle presbyterissae e perfino alle episcopissae.
Questa rapida carrellata storica mostra che è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne, talvolta menzionata prima del suddiacono nella lista dei ministeri della Chiesa, Tale ministero era conferito con un’imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l’episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile?
Il testo delle Costituzioni apostoliche lo lascerebbe pensare, ma si tratta di una testimonianza quasi unica, e la sua interpretazione è oggetto di intense discussioni. L’imposizione delle mani sulle diaconesse dev’essere equiparata a quella compiuta sui diaconi o si situa piuttosto nella linea dell’imposizione delle mani fatta sul suddiacono e sul lettore? E difficile dirimere la questione partendo dai soli dati storici [...].