MARTIRI CHE PREGANO
Sappiamo poco della vita dei Santi Patroni Felice e Fortunato. Erano vicentini, commercianti, forse fratelli. Tutto qua. Sappiamo tuttavia il motivo per cui sono stati catturati, torturati, uccisi. Sono stati scoperti mentre pregavano. Lo proclama a vivaci colori la grande vetrata triangolare che illumina la cappella della Cattedrale dove sono custodite le loro ossa che il popolo cristiano venera come ‘reliquie dei Santi’.
Sono stati uccisi perché pregavano! Fino a qualche tempo fa, questa circostanza rimandava a un’epoca oscura e barbara, ricoperta di una coltre di crudele ottusità, priva di sentimenti e di valori. Improvvisamente, il fatto ha acquisito un’attualità dirompente. Non soltanto i martiri della persecuzione messicana e di quella spagnola nella prima metà del Novecento, preti vestiti con i paramenti da Messa e laici con il rosario in mano e il grido ‘Viva Cristo Re!’, ma i martiri dell’altra sponda del Mediterraneo: cristiani fatti saltare in aria mentre pregano nelle chiese, torturati e uccisi perché custodiscono immagini sacre (come capitava nella Russia di Stalin), oppure perché battezzano i bambini e insegnano il catechismo. I nostri martiri Felice e Fortunato – antiche immaginette che le mamme additavano un tempo ai figli quasi come amene figure di carnevale – sono diventati il simbolo della dramma della nostra epoca, dove la fede non ha diritto di cittadinanza e la preghiera merita derisione o sconfessione.
I Santi Martiri Felice e Fortunato innalzano oggi l’emblema della libertà proclamata e vissuta e il simbolo della fede testimoniata. Figure attuali, che riconducono al significato dell’intera vita posta davanti al Signore Gesù. Anche oggi i cristiani si identificano come coloro che pregano: nel cuore, insieme in famiglia, in chiesa, in strada; in processione, come nella sera del Corpus Domini e nel pomeriggio della festa dei Santi. Pregare significa esprimere l’identità di figli di Dio, e aprire il cuore verso ogni uomo.
Sappiamo poco della vita dei Santi Patroni Felice e Fortunato. Erano vicentini, commercianti, forse fratelli. Tutto qua. Sappiamo tuttavia il motivo per cui sono stati catturati, torturati, uccisi. Sono stati scoperti mentre pregavano. Lo proclama a vivaci colori la grande vetrata triangolare che illumina la cappella della Cattedrale dove sono custodite le loro ossa che il popolo cristiano venera come ‘reliquie dei Santi’.
Sono stati uccisi perché pregavano! Fino a qualche tempo fa, questa circostanza rimandava a un’epoca oscura e barbara, ricoperta di una coltre di crudele ottusità, priva di sentimenti e di valori. Improvvisamente, il fatto ha acquisito un’attualità dirompente. Non soltanto i martiri della persecuzione messicana e di quella spagnola nella prima metà del Novecento, preti vestiti con i paramenti da Messa e laici con il rosario in mano e il grido ‘Viva Cristo Re!’, ma i martiri dell’altra sponda del Mediterraneo: cristiani fatti saltare in aria mentre pregano nelle chiese, torturati e uccisi perché custodiscono immagini sacre (come capitava nella Russia di Stalin), oppure perché battezzano i bambini e insegnano il catechismo. I nostri martiri Felice e Fortunato – antiche immaginette che le mamme additavano un tempo ai figli quasi come amene figure di carnevale – sono diventati il simbolo della dramma della nostra epoca, dove la fede non ha diritto di cittadinanza e la preghiera merita derisione o sconfessione.
I Santi Martiri Felice e Fortunato innalzano oggi l’emblema della libertà proclamata e vissuta e il simbolo della fede testimoniata. Figure attuali, che riconducono al significato dell’intera vita posta davanti al Signore Gesù. Anche oggi i cristiani si identificano come coloro che pregano: nel cuore, insieme in famiglia, in chiesa, in strada; in processione, come nella sera del Corpus Domini e nel pomeriggio della festa dei Santi. Pregare significa esprimere l’identità di figli di Dio, e aprire il cuore verso ogni uomo.