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Tre piste da rivedere

cane-uomoUOMINI, ANIMALI e COSE

All’ingresso di un giardino tra le case del paesello in riva la mare, spunta la scritta “Chi strappa un fiore, ruba una stella al cielo”. Più in là un giovanotto tiene al guinzaglio un esile cagnolino già rivestito del golfetto: “E’ cambiata la stagione”, esclama. Per una sorta di assonanza ‘teologica’, mi sovviene il titolo di un documento del Concilio, dal titolo in lingua latina “Quanta cura”! Latino o italiano, l’amore agli animali e il rispetto della natura sono diventati mentalità e scelta di vita, professati con devozione e proclamati con spirito religioso. Tutto dev’essere secondo natura, cibo e abitudini, boschi e fiumi, case e paesi, ben regolati e difesi da alluvioni e terremoti. L’invito di Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì e in altre occasioni trova felice rispondenza. Non altrettanto i suoi richiami a una ‘ecologia umana’. Ci domandiamo perplessi perché a ‘tanta cura’ per le piante (non potremmo spiantare senza speciale autorizzazione nemmeno l’albero malato nel cortile dell’oratorio) e per gli animali (ad allontanare col cenno di un calcio un animale importuno si rischia la denuncia), non corrisponda altrettanto rispetto per l’ecologia umana.
Ci sono almeno tre percorsi – a proposito di esseri umani – lungo i quali non vengono dichiarate e attuate le stesse regole che valgono per piante e animali.
Il primo percorso svela tutta l’incapacità dei potentati politici ed economici. Com’è possibile che si porti la guerra più crudele nel cuore stesso di una città? Aleppo è oggi la capofila dei luoghi umani dilaniati da bombe. Quando saranno distrutte tutte le case e uccise tutte le persone, quale desolata pace si stenderà nel deserto?
Il secondo percorso è immediatamente legato al primo. I profughi attraversano con sistemi inumani il mare e poi vagano per l’Europa, respinti alle frontiere mutate in barriere, o stazionati in campi di inedia e di non vita. La scaltrezza delle alleanza politiche, imprenditoriali, sociali non arriva a inventare e organizzare soluzioni organiche e decisive. Quante vite dovranno perdersi prima di determinare ospitalità e sistemazioni dignitose?
Il terzo percorso denota in modo ancora più evidente il sovvertimento dell’impianto naturale e il rovesciamento dei principi e delle iniziative ecologiche mirate al rispetto di ciò che vive e cresce. Non si può abbattere un albero, ma si può ‘igienicamente’ uccidere un uomo e anche un bambino; non si può strappare una radice di stella alpina e nemmeno la stella alpina, ma si può svellere dal seno materno la radice del bambino concepito e il feto che già succhia il ditino. Si può sovvertire il grembo di una donna con invasioni e stimolazioni aggressive, si può privare un figlio della madre e la madre del figlio, spiantare la figura del padre e della madre, inventare nuovi sessi artificiali, applicare al cervello sensori che alterano l’intelligenza e la sensibilità, progettare un superuomo bionico, mescolare uomini e animali con tutti i fantastici prodotti di una scienza e di una economia che irrompono come torrenti in piena nel territorio della vita umana.
Il progetto finale è forse che – svanita la figura umana dalla faccia della terra - vi rimangano alberi come spettri e animali vaganti per la prateria? A che serve un mondo più bello e più sano, se si deforma o sparisce l’uomo che ne gode? Ancora dovremo ammirare l’insuperabile intelligenza di Dio che tutto crea - il sole e le altre stelle – per gli uomini e la loro felicità.