La Moldava è più che un fiume. È lago che si allarga e si insinua tra i boschi, è isola e spiaggia, è mare e collina. Diventa luogo ospitale sulle rive, piccole case tra gli alberi, barchetta sull'acqua. Un popolo che non vede il mare e non si eleva su alti monti, trova qui i suoi percorsi e i suoi orizzonti. Trascorrendo lungo le rive del fiume e bagnando i piedi sull’acqua, si potrà ascoltare il poema sinfonico della Moldava di Smetana non più solo come una bella musica, ma come un viaggio affascinante, un pellegrinaggio, una battaglia e una conquista, una festa e una malinconia. Questo popolo dalla lingua aspra e complessa; queste persone svuotate di intrapresa e di spirito comunitario da decenni di statalismo comunista, sono ancora attraversati dall'energia ampia e variegata di questo fiume che attraversando la Moldavia, si allarga e si restringe, si punteggia di isole e risplende nei panorami delle colline e insieme torna ad essere punteggiato di monasteri come il tempo antico del quale custodisce le rovine. Gran parte del tragitto che dall'aeroporto conduce al Monastero trappista di Nostra Signora sulla Moldava, scorre parallelo al fiume che costeggia la strada come lago che si allarga e restringe e conduce per sentieri tra i boschi. La nostra autista è una monaca alta e ridente di origine trentina, già ben conosciuta dai miei tre compagni di viaggio. Siamo usciti da Praga scorgendovi i palazzoni di periferia che evocano il regime statalista. La drammatica storia della dittatura che ha oppresso l’anima e il corpo delle persone dalla fine delle seconda guerra mondiale, si è conclusa del 1989 come un castello di carta che si sfascia da solo. Ma ha lasciato un segno nel temperamento delle persone, costrette all'isolamento e al sospetto reciproco, distratte dalla voglia di lavorare e di progettare. Le monache che incontreremo l'hanno sperimentato nella laboriosa impresa della costruzione del nuovo monastero, iniziata nel 2002, con un bisogno supplementare di consulenza e di collaborazione dall'Italia. Maestranze di operai distratti e frettolosi, ingegneri presuntuosi che ‘sanno tutto loro’, incapacità di confronto e paragone con nuove tecniche e soluzione diverse, hanno rallentato o addirittura fatto ripetere i lavori della grande costruzione che finalmente ci appare davanti agli occhi come un miracolo disteso su un mare di verde. Fede e costanza vincono e la linea dei caseggiati del monastero – la grande foresteria, la clausura delle monache, la chiesa con il tozzo campanile che lievemente si innalza – si presentano vivi nella splendida sobrietà delle linee che disegnano di bellezza il paesaggio collinare. Veniamo accolti come familiari e amici desiderati.