Come in una cattedrale
Ogni giorno Cristo invade la nostra vita con la sua presenza e suscita l’affidamento alla sua misericordia che si è chinata su di noi
I volti, gli sguardi, le mani, le dita, e tutto il corpo sono protesi a guardare, travolti dalla meraviglia. “La Cena di Emmaus” di Caravaggio, con i personaggi sbigottiti per lo svelarsi di Cristo nello spezzare il pane, accoglie i convenuti nel salone mentre risuona il tripudio della Grande Messa di Mozart. Dove andiamo? Dove tendono la nostra attesa, il nostro desiderio, il nostro bisogno?
Pellegrini dai piedi callosi e stanchi - come i due anziani dell’altro dipinto di Caravaggio che scorre sugli schermi – iniziando gli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione ci protendiamo verso gli occhi di Maria che guardano pieni di amore e compassione. Sul grande schermo scorre una scritta: «Potessimo anche noi con la stessa intensità contemplare l’inizio del mondo della storia della misericordia e del perdono che si svela nel sì di Maria». L’immenso padiglione della Fiera di Rimini diventa una cattedrale, illuminata dai dipinti di grandi pittori che vibrano al risuonare delle musiche e si ridestano nell’incedere delle persone che riempiono i lunghi filari delle sedie, in una vigna ben ordinata.
Come una terra avvolta dal cielo, viene ospitata la nostra umanità, sospinta in una lotta contro il male che insidia l’anima di banalità e di pigrizia, di perversità e malizia. Come una terra che abbraccia il cielo, Maria stringe a sè Gesù nella fuga in Egitto, ancora in un dipinto di Caravaggio, e posa il viso dormiente sopra il capo del bimbo.
Dove andiamo dunque? Andiamo dove ci porta il nostro bisogno, come l’assetato all’acqua e l’innamorato alla sposa. Camminiamo verso Colui che ci è venuto incontro chiamandoci per nome come Abramo e Mosè; Colui che ha creato un popolo perché fosse disposto ad accoglierlo, e che lo ripaga con pretese e tradimenti. A Dio non è bastato seguire il suo popolo nel deserto e sostenerlo nella prova. Ha condiviso la nostra condizione di carne e sangue e ci dona la sua amicizia intrecciata in tutte le circostanze della vita.
A Lui possiamo rivolgerci con cuore di bambino, sull’onda del trio Dumky di Dvorak che procede come una supplica. Veniamo accompagnati dal grande coro che esalta la lode e la domanda dell’intera assemblea e dai canti che riecheggiano tanta storia umana. Seguiamo il percorso delle parole con le quali don Carron ridesta il desiderio che Cristo ci diventi familiare. Come potremo vivere a metà, vivere senza noi stessi, fuori della nostra anima?
Ogni giorno Cristo invade la nostra vita con la sua presenza e suscita l’affidamento - tenue come un filo d’aria - alla sua misericordia che si è chinata su di noi.
«Ecco, faccio una cosa nuova. Non ve ne accorgete?».