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DENTRO QUESTO MONDO

DENTRO QUESTO MONDO

“Ci sono voluti diciannove giorni perché si aiutassero 49 persone lasciate in alto mare. Che sta succedendo, in Europa, se è dovuto intervenire Francesco all’Angelus per scuotere i leader?”
Questa domanda taglia in due il calendario. Dopo i giorni del Natale, con l’accoglienza del Bambino Gesù e l’esperienza del calore in famiglia, con amici, in comunità, ci ritroviamo sballottati dalle onde con le 49 persone tenute lontane dalla costa per lunghi giorni; un numero piccolissimo, in proporzione alle correnti di barche, navi, transatlantici che solcano i mari, segnati dalla legge del mutuo soccorso, dell’aiuto inevitabile da prestare a chi naviga. Che cosa sta succedendo, se impegniamo energie nel respingere i profughi senza prestar loro soccorso; se teniamo al freddo l’ospite piuttosto che provvedergli accoglienza? Che cosa succede se una donna che attende un bambino non previsto, la prima cosa che le spunta in cuore non è la tenerezza di mamma ma la sensazione dell’irrisione altrui? Che cosa succede se la fatica di un amore che si raffredda tra coniugi scivola subito nella fuga da casa? Diventa strano persino scambiarsi un saluto scendendo le scale del condominio di prima mattina, o entrando alla posta o in banca o all’ambulatorio. Tutte persone sconosciute? Tutti solitari? Tutti autosufficienti?
Che cosa manca alla nostra umanità se perdiamo quella fiducia che brilla nel volto di un bambino quando lo avviciniamo lieti e sorridenti? Persino le nostre assemblee liturgiche rimangono pervase da una seriosità compassata, una inespressività di volti e gesti; facce uguali dall’inizio alla fine, immobili di fronte all’annuncio, non più sorprese dal Padre che sta nei cieli e che non schiaccia con onnipotenza, ma accarezza con benignità. La sacralità ci ammutolisce, la partecipazione al dolore di un amico che ha perso il padre o la madre ci impaccia, la freddezza del cuore ci inibisce.
Eppure Lui è venuto. Cristo si è seduto alla nostra tavola e ancora si autoinvita come con Zaccheo e amici santi e peccatori. In qualche parte del mondo ancora si respira la sua presenza, si diventa amici e fratelli nel suo nome, si soccorre il prossimo senza contraccambio, si creano luoghi di vita, accoglienza, sanità, letizia dove non occorrono droghe leggere o pesanti per provocare la festa. Ancora uomini e donne stanno davanti a Lui con dedizione totale, adorandolo nel corpo eucaristico e servendolo nelle membra dei poveri. L’aria del Vangelo soffia anche sulle vele di chi non si professa cristiano ma ne avverte il profumo. Che cosa possiamo dunque desiderare per avere una vita buona? Che cosa soccorre le famiglie, la società, il mondo? Come ai primi tempi, la presenza di Gesù ridesta il senso della vita, dona sapore ai rapporti, slancio alla dedizione, ardore al dono di sé. Nel mondo d’oggi, come all’inizio.