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Meditazione di Quaresima 2019

La RISCOPERTA del PADRE

1. Chi sei?
La liturgia quaresimale ci mette davanti agli occhi la domanda che Mosè rivolge a Dio sul monte Oreb: “Chi sei?” Esodo 3,13-15
Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?».  Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi». Dio aggiunse a Mosè: «Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione.

“Io sono colui che sono”. In questo nome non c’è filosofia, ma piuttosto storia. In quel nome c’è la storia di un’alleanza. Io Sono significa: Io Sono qui, Io ci sono e ci sarò, Io Sono Presente. Sono Fuoco che brucia e non divora, sono Luce che rivela e non acceca.
“Io sono colui che sono” Il Dio dei padri, che manda Mosè a salvare il popolo.
Io sono la pienezza dell’essere. Chi è – che cos’è questo Dio che trabocca di vita, e la effonde, come un vino spumeggiante, come un fiume che irrora di canali e ruscelli la campagna del mondo. Che vita ha questo Dio, come fa ad essere quello che noi vediamo? Perché lo chiamiamo Padre?
Noi vediamo la primavera che sboccia, vediamo la luna piena come non l’abbiamo vista mai. Noi vediamo il volto e il sorriso di un bambino che cresce. Vediamo la vita che si agita dentro di noi. Noi vediamo l’opera dell’uomo nella genialità dell’arte e delle imprese ingegneristiche o nelle profondità del laboratorio.

2. Io sono: Com’è questo Io sono? Dio, come è fatto??
Esprimendoci con il realismo e l’approssimazione del linguaggio umano, possiamo dire che l’essere di Dio ‘si espande’ in una triplice personalità: Padre – Figlio – Spirito Santo. Le parole umane sono inadeguate, ma contengono comunque la verità, come un catino contiene la qualità dell’acqua dell’immenso oceano.
“In un libro di catechesi tedesco si legge questo racconto. Un insegnante pone a una bambina la domanda: “Il Padre celeste è Dio. Gesù Cristo è Dio, lo Spirito Santo è Dio. Come vanno insieme queste cose?” La bambina pensa un momento e poi risponde: “Dio sarà il nome della famiglia”. La classe ride, ma l’insegnante resta pensierosa…”(T.Spidlik, Noi nella Trinità, Ed Lipa p11)
Anche noi rimaniamo pensierosi. Dio è una realtà viva, un fiume che scorre, un sole che promana luce e calore, un albero che produce frutto. Dio è una ‘famiglia’ di persone. Buttiamoci a tuffo nel gran mare di Dio:
“Il Padre genera dall’eternità il Figlio, cioè gli comunica liberamente la sua natura divina. Dato che questa è indivisibile, Egli dà se stesso integralmente, senza riserve. D’altra parte, il Figlio accetta questa natura divina dal Padre liberamente e senza riserve.” (Spidlik p 55)
La persona – divina e anche umana - nasce dalla relazione con un’altra persona. Ogni figlio può dire alla madre e al padre: “Tu sei, quindi io sono. Senza di te non esisto, non posso esistere”. “Io sono tu che mi fai”: ripeteva con una frase folgorante don Giussani. Non solo mi hai fatto, mi stai facendo ora. Il Figlio eterno può dire al Padre: “Io sono tu che mi generi”
Il Padre conosce il Figlio, il Figlio conosce il Padre; la figura si riflette nello specchio che ha di fronte; conoscenza, logos, verbo, parola.
Ma la conoscenza non si limita a conoscere. Per entrare nel mistero di una persona, occorre che si svolga un processo di reciproca fiducia e di amore. Conosci una persona quando le vuoi bene. Allora ‘entri’ nell’altro. La conoscenza reciproca avviene tra l’amante e l’amata, tra padre-madre e figlio, tra l’amico e l’amico. La comunicazione, la conoscenza vera avviene in ambito affettivo, accade nel reciproco amore. In Dio, la perfetta conoscenza esiste nel perfetto amore. La conoscenza è più di una conoscenza: è una relazione, è un legame, è una comunicazione. La conoscenza puramente intellettuale è un ‘sapere le cose’ e non costituisce un vero rapporto personale. La conoscenza in senso biblico è addirittura il rapporto intimo tra uomo e donna.
“Colui che contempla e ammira, colui che costituisce il mutuo amore del Padre e del Figlio è lo Spirito Santo. Contemplando, egli costituisce se stesso come terza persona divina, egli diventa ciò che vede, personifica l’amore mutuo tra le persone divine. Lo Spirito è Spirito d’amore” (Spidlik p 55)
Ecco la Trinità, Padre che è l’inizio, il Figlio che è lo specchio, lo Spirito che è il legame amoroso. Questa realtà divina corrisponde alla realtà umana, perchè anche noi siamo fatti così: l’acqua contenuta nel piccolo bicchiere è la stessa del grande oceano. Anche noi siamo fatti dalla relazione, siamo relazione.
Un inno dei Primi Vespri della solennità della Santissima Trinità delle monache trappiste di Vitorchiano esprime con intensità lo svolgimento della vita divina:
“O Trinità infinita
cantiamo la tua gloria in questo vespro,
perché nel Cristo tu ci hai resi figli
e i nostri cuori sono tua dimora.
Eterno senza tempo,
sorgente della vita che non muore,
a te la creazione fa ritorno
nell’incessante flusso dell’Amore.
Noi ti cantiamo, o Immenso,
in questo breve sabato del tempo
che annuncia il grande giorno senza sera
in cui vedremo te, vivente luce.
A te la nostra lode,
o Trinità dolcissima e beata
che sempre sgorghi e sempre rifluisci
nel quieto mare del tuo stesso Amore. Amen.”

3. Dio si comunica
Il Dio che è Padre e Figlio e Spirito Santo, conoscenza e amore, esprime la sua effusione nel mondo prima di tutto attraverso la creazione. Se può passare il paragone, è il boccale di birra già pieno e trabocca all’esterno, prima di tutto con la creazione.
Genesi 1,1-5
“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo.”
Dio: successivamente veniamo a conoscere dalla Bibbia che questo Dio è ‘Io sono’, l’Essere totale, è la Parola, è lo Spirito, come già le parole della Genesi suggeriscono.
Ma la grande e personale comunicazione di Dio avviene in un secondo straordinario passaggio attraverso il dono del Figlio, il quale è il volto del Padre: “Filippo chi vede me vede il Padre”. Noi possiamo parlare di Dio così come Egli è nella sua ‘costituzione divina’ nella sua divina natura, perché il Figlio, facendosi uomo, l’ha comunicato e annunciato, con la sua stessa presenza, con le opere e le parole. Così potremo parlare di Dio nella triplicità delle sue persone e nell’unità della natura divina.
Giovanni 14,8-11
“Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.”

Nel primo capitolo del suo Vangelo, Giovanni aveva detto: “Dio nessuno l’ha mai visto”. E’ vero. Solo il Figlio Gesù può parlare del Padre, con il quale si immedesima. Il Figlio fatto uomo continua ad essere immagine di Dio e la svolge nella sua storia umana. Svolge nel mondo il suo amore e la sua misericordia, con intensità impensabile. Solo “il Figlio sa chi è il Padre, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.” “Chi vede me vede il Padre”. Attraverso se stesso, Gesù rivela e comunica il Padre. Il dinamismo del rapporto Padre-Figlio (e Spirito Santo) che avviene nell’eternità, si riflette e si ‘traduce’ nel linguaggio umano e nella figura umana di Gesù, il Figlio Unigenito fatto uomo. Nella vita umana di Gesù si svolge la vita divina del Figlio, e così Dio diventa visibile, udibile, comprensibile, amabile. Il Padre genera il Figlio fino a darlo a noi, e nel Figlio fa risplendere davanti a noi la sua stessa immagine, la sua azione, il suo cuore.

4. Dio dona la sua misericordia nel Figlio Gesù
Il Figlio sa chi è il Padre e lo rivela e comunica a noi. Uno spaccato bellissimo che rappresenta il rapporto del Padre con gli uomini Gesù lo descrive con la parabola del Padre misericordioso-Figlio prodigo.

Vangelo di Luca 15,11-32
Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

In questa parabola, è significativo che il protagonista sia il Padre nel suo rapporto con il figlio. Non è il pastore o la donna, come nelle due parabole che precedono, o altri personaggi, come in altre parabole. Questa volta è il Padre, e il figlio è Adamo, il figlio peccatore, il figlio uscito dal paradiso terrestre.
Il Padre della parabola dà tutto al figlio. Anche nel rapporto trinitario, il Padre dà tutto al Figlio. Gli dà la sua eredità. Gli dà tutto ciò che possiede, se stesso, i suoi beni, il suo bene. Il Padre dà all’uomo tutta la realtà creata.
Il figlio, che se ne fa di questo dono del Padre? Il figlio esce dalla casa del Padre, va in un paese straniero, fa la sua propria volontà, gode e spreca, e così perde se stesso. Tenendo in mano l’eredità ricevuta, ne diventa il padrone e non mantiene il rapporto con il Padre. Riceve, ma rompe il rapporto. Il fiume interrompe il rapporto con la sorgente, con l’origine. L’uscita da casa, l’allontanamento dal Padre, è il peccato che provoca l’uscita dal paradiso terrestre, dalla verità di sé. Questo figlio spreca e disperde la sua figliolanza, la perde a poco a poco.
Il Padre rimane in casa, rimane nascosto, non blocca la libertà del figlio. Non insegue il figlio, non entra nel suo territorio. Il Figlio dovrà compiere l’intero cammino di perdita di se stesso, e rispettivamente tutto il cammino del pentimento e del ritorno. Dio non viene a tirarci i capelli, ma ci lascia liberi, non invade il territorio delle mie scelte. Il figlio arriva a perdere tutto. Quando perde tutto, si accorge di aver perso anche la figliolanza. Nel distacco dal rapporto con il Padre, non perde solo i suoi beni, perde se stesso, perde la figliolanza, perde il suo io.
Allora desidera la casa del Padre, dove potrà essere almeno servo.
Con paradossale corrispondenza, anche il Figlio Gesù entra in un territorio estraneo e straniero, il territorio della perdizione, dove ‘spreca tutto se stesso’, perde se stesso. Perde la propria volontà per stare attaccato alla volontà del Padre. Egli lo fa ‘volontariamente’ quasi imitando la perdita e la consumazione di sé, non per il proprio peccato, ma per il peccato degli altri. Chi perde la propria vita la perde. Il figlio prodigo pone davanti al padre il suo peccato: “Padre ho peccato”. Anche Gesù depone ai piedi del Padre il peccato, tutto il peccato dell’umanità
Il paragone tra Gesù e il figlio prodigo è tremendo: i due fanno la stessa cosa – l’allontanamento da casa – in un modo abissalmente diverso.
Il Padre attende il figlio, desidera il figlio, patisce per la lontananza e la perdita del figlio, come il Padre eterno ‘patisce’ per la lontananza e la passione del Figlio. Origene osserva che neanche il Padre ‘senza pathos’, senza ‘patimento’.
Nell’abbraccio del Padre, il figlio rinasce come figlio, non appena come servo; viene reintegrato nella sua identità, nella sua dignità: le vesti, l’anello, il convito, la festa. Il figlio rinasce da capo. Il Padre lo rigenera, lo fa ridiventare figlio.
Anche Gesù ritorna al Padre dopo la croce. Il Figlio, nella croce, si consegna al Padre, ‘ritorna al Padre’. L’eterna lontananza diventa occasione dell’eterna vicinanza. E’ l’’estremo slancio della libertà verso il padre il Padre concede lo splendore della figliolanza anche alla sua umanità. E’ il paradiso, è l’ascensione, quando Gesù ‘siede alla destra del Padre’. L’umanità di Gesù riceve l’anello, la veste della divinità. E’ il destino dell’umanità, agganciata a Gesù, viene riconciliata, ritorna a casa; ciascuno, agganciato a Gesù, ridiventa se stesso. Perduti nel paese straniero, attraverso Gesù che è rimasto fedele nel paese straniero, ridiventiamo figli. Ecco il Battesimo, il pentimento, la riconciliazione. Solo il Figlio viene salvato, e chi gli appartiene o comunque fa riferimento a lui, in modo implicito o esplicito. Anche tutti gli uomini, a Lui ‘orientati’.
Questo processo totale di perdita e di ritorno, che comprende tutta la vita dell’uomo fino al compimento finale, si riproduce a sprazzi in tutte le occasioni della vita. Oggi io ho perso il Padre e l’ho ritrovato, continuamente. La dispersione, la distrazione, l’allontanamento da Dio si riproducono in tutti i giorni della vita.
La perdita del Padre porta alla perdita di se stesso. Il ritrovamento del Padre ti fa ritrovare e godere come figlio.
Due parole si corrispondono, si richiamano: paternità – libertà. Il Padre ci fa. La persona si realizza nella relazione e si svolge nella libertà che accoglie e corrisponde.

L’altro figlio, che rifiuta il fratello, rifiuta anche il Padre. Rimane fuori dalla festa, fuori dal paradiso, lontano dalla figliolanza e dalla fraternità, quindi dalla sua vera identità. La parabola si ferma qui e non dice come conclude il secondo fratello. Se non si pente, se non imita il Padre nella misericordia e nell’accoglienza, se non vive come figlio e fratello, rimane fuori di sé, non è più se stesso, non è più figlio, se la sua libertà non si muove e non corrisponde alla reale identità.
E’ lui il vero figlio perduto, non perché il Padre lo rifiuta, ma perché egli rifiuta il fratello e quindi il Padre: senza la relazione che lo costituisce e lo apre, non è più se stesso. Il Padre non rifiuta, anzi gli va incontro di più. Dio non allontana, non costruisce. Dio non crea l’inferno. L’inferno è determinato dalla lontananza da Dio. La parabola non dice come il secondo figlio va a finire. La parabola rimane aperta, consegnando anche il secondo figlio alla sua libertà. Consegnando anche noi stessi alla nostra libertà, sia che ci ritroviamo nel primo figlio – il figlio prodigo – sia che ci ritroviamo nel secondo figlio il figlio fedele.