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LE BELLE NOTIZIE

Un fatto in controtendenza rispetto al calo di tiratura della maggior parte di giornali e riviste in Italia: un quotidiano è in crescita. Lo nota il presidente della Federazione della stampa nazionale al Festival della Comunicazione in corso a Chioggia. Nei flussi di lamentele, denunce e corruzioni, delitti e scandali, fake news e indagini senza fine, proteste gridate e piazze arrabbiate, in estensione come un mare di plastica, la navicella che viaggia a rovescio imbarca nuovi passeggeri.

Avvenire, il quotidiano citato, non è un fenomeno isolato. Si fanno leggere e apprezzare anche riviste e pubblicazioni che non marciano nell’orrido e nel torbido, non indugiano nella denuncia e nella protesta, ma vanno a scovare il germoglio di vita che spunta in ambiente politico, nell’impresa sanitaria, nel quartiere considerato depravato, nella chiesa indebolita. Quanto più intenso ed esteso è il buio, tanto più si nota anche un piccolo barlume. Ma non si tratta solo di fiammelle. Lo rileva il Presidente della Repubblica in un’intervista tutta da leggere di Andrea Tornielli e Andrea Monda. Il suo incarico gli offre una postazione privilegiata per osservare e incontrare. In giro per l’Italia o nella sede del Quirinale, il Presidente Mattarella si imbatte in un numero senza fine di persone, comunità e gruppi ingegnosi, industriosi, propositivi. Quando viaggia all’estero, riscontra una stima e un’ammirazione per l’Italia, ben superiore a quella che gli italiani stessi sanno manifestare.

Di fatto, basta guardarsi attorno nel piccolo cerchio della vita quotidiana. Passi all’ospedale e vedi la bancherella di beneficenza predisposta da mani e cuori volonterosi, entri in chiesa e vedi alcune persone sistemare i fiori, vai in strada e s’apre il saluto a destra e a sinistra. Ricevi facilmente un passaggio in macchina, un favore estemporaneo, un turno di pazienza; incroci nuove iniziative di lavoro e di carità che superano la crisi.

Un tempo si diceva che la notizia cattiva schiaccia quella buona e fa vendere. Forse iniziamo a stufarci e cambiamo canale, e ci accorgiamo che anche in tv, nei programmi più imprevedibili, spuntano striscioni di fatti positivi. Le buone notizie sono anche belle, come annuncia il titolo del Festival della comunicazione. In questo tempo di Pasqua, siamo richiamati a guardare gli apostoli dopo la risurrezione, a riconoscerci come creature fatte nuove nel Battesimo, a crescere con il pane dell’Eucaristia nella famiglia della Chiesa nella quale abitiamo. Uomini nuovi anche quando nessuno ci conosce o ci riconosce, quando siamo perseguitati, quando semplicemente viviamo, amiamo, incontriamo, preghiamo, mangiamo, riposiamo, lavoriamo, accogliamo. L’iniziativa di Dio ci sorprende come un agguato, e il mondo nuovo dei figli della risurrezione sfida ogni giorno il nostro limite e la miseria che ci circonda.

 

Vangelo secondo Giovanni 15,12-17

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

IL CRISTIANESIMO E’ UN’AMICIZIA

Il Vangelo di Giovanni ci conduce passo passo a capire e a sperimentare che la ‘religione cristiana’ non è un insieme di pratiche devozionali o un carico di prescrizioni morali. Più semplicemente, il cristianesimo è Gesù che ci chiama all’amicizia con lui, operosa come un comandamento e fruttuosa come un albero.
L’amicizia con Gesù si allarga attorno a noi e si diffonde e sviluppa aprendosi verso tutti, in una progressione senza limiti. Il cristianesimo è l’amicizia con Gesù vissuta con tutti.

Vangelo secondo Giovanni 15,9-11

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

IDENTITA’ E GIOIA

La cascata di amore che dal Padre si riversa nel Figlio, discende fino ai discepoli di Gesù e dona ad essi pienezza di gioia. Il cristianesimo, dunque, è la rivelazione e il dono dell’identità dinamica del Padre e del Figlio, che nell’effusione dello Spirito Santo, ci fanno vivere. Perché la gioia? La gioia viene dall’esperienza di essere amati interamente e di poter liberamente amare, come accade nel Dio trinitario, a immagine del quale siamo stati creati.

Vangelo secondo Giovanni 15,1-8

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

RIMANERE

Bellissimo l’invito di Gesù e bellissima l’immagine che lo descrive. Che cosa c’è di più bello del ‘rimanere’? Un rapporto vivo, un amore stabile, una vocazione sicura. Non la fissità di un sasso, ma la crescita di una pianta, che porta frutto per sé e per gli altri. Non la rigidità della coerenza con se stessi, ma la fedeltà a una relazione viva, a un amore donato, che rigenera e cresce manifestandosi al mondo. Santa Rita ne è una testimone.

Martedì 21 maggio 2019

Santi Martiri Messicani, XX secolo

Beati 7 Martiri Trappisti, Algeria 21.5.1996, beatificati nel 2018

Vangelo secondo Giovanni 14,27-31

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».

UMANO E DIVINO

Rallegrarci perché Gesù sale al Padre? Ci si può rallegrare per l’uscita dal mondo di una persona cara come Gesù? Eppure, quando Gesù ascende al Padre con corpo e anima, allora la sua condizione umana viene pervasa dall’intensità vitalità della divinità del Padre. L‘abbassamento’ a cui il Figlio eterno si è sottoposto facendosi uomo, viene rivoltato per innalzarlo al livello ‘più grande’ che appartiene al Padre. Il Figlio eterno siede alla destra del Padre anche con la sua umanità. L’umano diventa divino.

Vangelo secondo Giovanni 14,21-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non l’Iscariòta: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?».
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

DIMORA DI DIO

Gesù ci considera come discepoli e ci vuole amici che lo amano e lo seguono. Vuole starci vicino, non solo con la presenza nelle Chiese nel segno dell’Eucaristia, ma nella profondità del nostro essere. L’amore che Padre e Figlio hanno per noi, li conduce a ‘prendere dimora’ in noi. Padre e Figlio ci donano lo stesso Spirito Santo che li unisce nell’amore, per condurci a ricordare e a vivere tutto quello che Gesù ci ha detto e ci ha donato. 

Vangelo secondo Giovanni 13,31-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

LA GLORIA DEL PADRE E DEL FIGLIO

In un momento drammatico, quando Giuda esce dal cenacolo iniziando la discesa nell’abisso del tradimento, Gesù lancia un lampo di luce. In una sola frase Gesù usa cinque volte il verbo ‘glorificare’. Di quale gloria si tratta? In che cosa consiste la glorificazione che si comunicano l’un l’altro Dio Padre e il Figlio Gesù? Ricevere gloria e dare gloria, significa manifestare in modo chiaro e solenne la grandezza di una persona.
Gesù, tradito, abbandonato, percosso, crocifisso, ucciso, manifesta nel modo più pieno la sua personalità di Figlio che ama il Padre e si dona agli uomini: ”Non c’è amore più grande di chi dà la vita per le persone che ama”.
A sua volta il Padre risponde con la risurrezione all’amore del Figlio che dona la vita a Lui per i fratelli.
La gloria rivelata nel reciproco amore del Padre e del Figlio continua a manifestarsi nel tempo della storia attraverso il comandamento nuovo dell’amore che Gesù consegna ai suoi: “Amatevi come io vi ho amato”. Da questo amore tutti potranno riconoscere i discepoli del Signore.

Vangelo secondo Giovanni 14,7-14

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

GESU’, VOLTO E VITA DEL PADRE

Ecco il passaggio definitivo: “Mostraci il Padre e ci basta”. La domanda di Filippo dice che gli apostoli hanno finalmente colto il rapporto di Gesù con il Padre, fino a desiderare di vederlo personalmente. La risposta di Gesù supera ogni immaginazione: “Chi vede me vede il Padre”. In Gesù, nella sua persona, nelle sue parole e nelle sue azioni umane, il Padre ‘dice’ se stesso, dichiara la sua identità, esprime il suo amore, svolge tutta la sua opera per il bene di ogni uomo.

Mattarella: “L’Europa deve recuperare lo spirito degli inizi e curarsi di più delle persone”

L’intervista del Capo dello Stato italiano con i media vaticani: “Affiorano atteggiamenti di intolleranza, ma in Italia prevale ancora la solidarietà”. “La Dichiarazione sulla Fratellanza umana di Francesco e del Grande Iman di Al Azhar è di grande importanza per rimuovere le basi della predicazione di odio del terrorismo”

Andrea Tornielli e Andrea Monda

Anche se «affiorano, rumorosamente, atteggiamenti di intolleranza, di aggressività, di chiusura alle esigenze altrui», e bisogna evitare che certi fenomeni si saldino tra loro «a livello internazionale», in Italia sono ancora prevalenti «iniziative e comportamenti di grande solidarietà». Per questo, anche seguendo l’invito del Papa, è bene che il Vecchio Continente ritrovi lo spirito dei suoi fondatori: «L’Europa deve recuperare lo spirito degli inizi. Deve curarsi di più della sorte delle persone». Lo ha affermato il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, nel corso di un’intervista a tutto campo con i media vaticani (L’Osservatore Romano, Radio Vaticana, Vatican News). Il Capo dello Stato ha parlato delle relazioni «ottime sotto ogni profilo» tra l’Italia e la Santa Sede, del ruolo della Chiesa cattolica nel Paese, dell’importanza del dialogo tra le religioni per la pace nel mondo in relazione alla Dichiarazione di Abu Dhabi firmata da Francesco e dal Grande Imam di Al Azhar.

Presidente, colpisce la dimensione esistenziale presente nei suoi discorsi, nei quali emerge sempre il senso dell'urgenza rispetto alla crisi delle relazioni: il tessuto sociale appare spesso sfibrato, i legami spezzati, la solitudine la cifra distintiva delle nostre città. È questa secondo lei una priorità rispetto ai problemi del Paese e una questione che la politica deve affrontare?

Sì, è questa la principale preoccupazione che credo occorra nutrire: un’Italia che recuperi appieno il senso e il valore del sentirsi comunità di vita. L’Italia registra, al suo interno, una gran quantità di iniziative, e comportamenti, di grande solidarietà; e questa realtà è nettamente prevalente. Ma affiorano, rumorosamente, atteggiamenti di intolleranza, di aggressività, di chiusura alle esigenze altrui. Sono fenomeni minoritari, sempre esistiti, in realtà, ma sembrano attenuate le remore che prima ne frenavano la manifestazione. Non si tratta di una condizione peculiare del nostro Paese: appare così in tutta Europa e anche in altri Continenti. Vi si aggiunge un aspetto, diverso, e da non confondere con quello che ho appena indicato: le conseguenze del profondo disagio sociale, provocato dalla crisi economico-finanziaria del decennio passato e, a ben riflettere determinato, non soltanto in Italia, anche dal trasferimento di risorse, sempre più ingenti dall’economia reale alla finanza speculativa; dal forte aumento della distanza tra i molto ricchi e la gran parte della popolazione. Anche i mutamenti nel mondo del lavoro, conseguenti alla globalizzazione e alle nuove tecnologie – entrambe, peraltro, condizioni, per tanti aspetti, positive – contribuiscono a far sorgere incertezza, e insicurezza, nel tessuto sociale. Si sono generate, come dicono gli studiosi, periferie esistenziali, non soltanto territoriali. Ambiti di sofferenza e di disagio, frutto dello smarrimento che viene avvertito diffusamente. Smarrimento accentuato dal venir meno di soggetti aggreganti in vari versanti della società – dalle varie realtà associative ai partiti politici - o dalla loro diminuita capacità di attrazione e rappresentanza. È necessario evitare che questi fenomeni, così diversi fra di loro, si possano saldare, determinando situazioni di paura, di avversione reciproca, di conflittualità tra persone, tra gruppi sociali, tra territori all’interno di ciascun Paese. Condizione che, come già qualche segnale indica, si trasferirebbe in ambito internazionale. A fronte di tutto questo però, vorrei ripetere, vi è la fiducia ispirata da quanto di positivo si registra, ed è ampio, nella nostra società.

Come definirebbe oggi i rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano? Qual è secondo lei il contributo che la Chiesa dà alla vita della nazione?

Le relazioni sono ottime sotto ogni profilo e - come recita la Costituzione - ciascuno nel proprio ordine. La collaborazione è piena, in ogni ambito e settore in cui le attività, della Santa Sede e quelle dello Stato italiano, si incontrano, in sede interna e in sede internazionale. Per quanto riguarda il contributo della Chiesa alla vita dell’Italia, occorre, naturalmente, distinguere, come soggetti e come operatività, le due, diverse dimensioni in cui si presenta la Santa Sede e la Chiesa italiana. Sul primo versante, il magistero di Papa Francesco riceve grande attenzione ed esercita influenza significativa sui nostri cittadini, anche per l’affetto che questi nutrono nei suoi confronti. Francesco è subito diventato un punto di riferimento per gli italiani. Per parte sua la Chiesa italiana fornisce un contributo, di grandi dimensioni, alla società del nostro Paese, non soltanto sul piano spirituale, concorrendo al raggiungimento degli obiettivi, indicati dalla nostra Carta costituzionale. La presenza della Chiesa italiana nella dimensione culturale, educativa e sociale è motivo di riconoscenza. Le innumerevoli iniziative di diocesi, parrocchie, realtà associative, in favore dei più deboli, degli emarginati, di chi chiede ascolto e accoglienza sono concrete ed evidenti; e costituiscono un richiamo costante all’esigenza di aiuto reciproco nella vita quotidiana, per rafforzare la coesione della nostra comunità.

Papa Francesco all'inizio di questo 2019 ha compiuto già due viaggi in Paesi a maggioranza musulmana. Negli Emirati Arabi ha firmato con il Gran Imam di Al Azhar una impegnativa Dichiarazione sulla Fratellanza umana. Quanto è importante questo dialogo tra le religioni per la pace nel mondo?

Le religioni rivestono un ruolo crescente sulla ribalta internazionale. Se questo è sempre avvenuto in altri Continenti, oggi lo si vede accresciuto anche in Europa. Questo aumento di influenza è di grande rilievo per assicurare al mondo comprensione reciproca e pace. I leader religiosi godono di prestigio e hanno un forte seguito nelle varie popolazioni. Il rispetto reciproco e il dialogo tra le diverse fedi - che parlano di pace e di fratellanza - rappresentano condizioni essenziali; e costituiscono il principale antidoto all’estremismo che cerca di strumentalizzare il sentimento religioso. Sono sempre esistiti questi tentativi di strumentalizzarlo a fini politici e di potere. Il terrorismo di matrice islamista fa parte di questo antico fenomeno, purtroppo amplificato dagli strumenti moderni, nelle conseguenze della sua strategia e attività criminale; che ha colpito, ancora, negli ultimi giorni in Burkina Faso, in Iraq, in Afghanistan. Ad esso si aggiungono violenze e attentati di stampo suprematista, come quello di Christchurch, in Nuova Zelanda, contro fedeli musulmani. La Dichiarazione sulla Fratellanza umana firmata da Papa Francesco e del Grande Iman di Al Azhar è di grande importanza, sul piano dei principi e su quello concreto, per rimuovere le basi della predicazione di odio del terrorismo, che evoca abusivamente motivazioni religiose. Così come lo è stato il gesto di Papa Francesco a Bangui: far salire con sé, sulla papamobile, l’Imam di quella città, nel corso della sua visita nella Repubblica Centrafricana, in occasione dell’apertura del Giubileo. È stato un grande gesto, di grande efficacia comunicativa e di grande apertura. Esortare a riscoprire le radici autentiche, e profonde, delle fedi religiose - e operare perché tra esse ci sia un clima di dialogo e di fraternità - significa lavorare, concretamente, per la costruzione della pace nel mondo e per la sicurezza di tutti. La forza degli Stati contro il terrorismo è necessaria e può contrastarlo efficacemente ma è la formazione delle coscienze e delle mentalità che può cancellarlo definitivamente.

Papa Francesco ha detto: «Il primo, e forse più grande, contributo che i cristiani possono portare all'Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone». Quanto è importante ritrovare il senso dell'Europa come comunità e che cosa si può fare perché le nuove generazioni lo riscoprano?

Nel mese di gennaio, a Berlino, il Presidente tedesco Steinmeier mi ha prospettato l’idea di un appello per la partecipazione al voto nelle prossime elezioni per il Parlamento europeo: ho subito aderito a questa sua iniziativa e, nei giorni scorsi, è apparso questo documento, firmato da tutti i presidenti delle Repubbliche dell’Unione. Vi è scritto che quella dell’integrazione europea è la migliore idea che abbiamo mai avuto nel nostro Continente. Questa affermazione così decisa muove dalla convinzione che l’Unione non è un comitato di interessi economici, regolato dal criterio del dare e dell’avere, ma è una comunità di valori. Questa convinzione è l’unica che corrisponda, davvero, alla storica scelta dei fondatori dei primi organismi comunitari. Questo viene percepito, forse talvolta inconsapevolmente, ma con effettività, soprattutto da due generazioni: i più anziani, che ricordano qual era la condizione dell’Europa prima di quella scelta, e i più giovani, che possono viaggiare liberamente da Trapani a Helsinki e da Lisbona a Stoccolma. Vede, tutti dovrebbero riflettere cosa hanno provocato due atroci guerre mondiali, combattute soprattutto in Europa; e cosa rappresentava vivere in un’Europa divisa in due dalla cortina di ferro, dal muro di Berlino, dall’angoscia, sempre presente, di un conflitto nucleare devastante. Da giovane sono stato a Berlino, era ancora divisa. Mia moglie e io desideravamo visitare uno splendido museo, il Pergamon, che si trovava a Berlino Est: abbiamo attraversato la frontiera, il muro e nel mio ricordo è incancellabile il senso di oppressione che si provava; e come si percepisse la grave lacerazione della città. Talvolta si dimentica il valore delle condizioni in cui ci troviamo e quel che sono costate di fatica e di sacrifici: bisogna sempre pensare che queste condizioni, per quanto imperfette, sono da preservare e da consolidare; e non sono scontate e irreversibili. Credo che questo sia ben compreso dalle nuove generazioni, quelle dei nativi digitali, del roaming europeo, dei voli low cost e dell’Erasmus. Giovani che, anche senza dichiararlo, si sentono europei oltre che cittadini ciascuno del proprio Paese. Avvertono questa “Casa comune”. Questo non vuol dire che nell’Unione tutto vada bene. La percezione delle sue istituzioni, da parte di larghe fasce di elettorato europeo, non sempre è positiva, anche se è spesso l’egoismo degli Stati – e non quindi quelle istituzioni – a frenare il sogno europeo. Per qualche aspetto l’andamento della vita dell’Unione - anche per il freno posto da parte di alcuni Paesi - dà l’impressione di essersi fermata, come in ordinaria amministrazione; quasi appagata dalla condizione raggiunta, come se il disegno europeo fosse già compiuto. Questo ha, sensibilmente, appannato il disegno storico, la prospettiva e la tensione ideale dell’integrazione. Papa Francesco, con saggezza, indica il centro della questione. L’Europa deve recuperare lo spirito degli inizi. Deve curarsi di più della sorte delle persone. Deve garantire sempre maggior collaborazione, uguaglianza di condizioni, crescita economica, ma questo si realizza realmente soltanto con una crescita culturale civile, morale.

Non trova che l'Italia sia un Paese che talvolta viene rappresentato male dai mass-media e anche dalle istituzioni? Può dirci come vede il nostro Paese dal suo punto di vista privilegiato?

Per il mio ruolo, svolgo molte visite in altri Paesi e ricevo al Quirinale molti capi di stato. Registro sempre, ovunque, un gran desiderio di Italia, una richiesta di collaborazione fortemente insistita. Questa riguarda ogni campo: culturale, scientifico, politico, economico, anche militare per la difesa della pace. Il nostro contingente più ampio è in Libano, apprezzato da tutte le parti fra loro contrapposte, cui garantisce l’assenza di violenze. L’immagine dell’Italia e l’opinione che se ne ha all’estero sono di gran lunga più positive di quanto noi stessi nutriamo. Ma quel che vorrei sottolinearle soprattutto è la sensazione, incoraggiante, che ricevo dalla nostra società, nelle tante visite, che compio nelle nostre città e nei nostri territori, e nelle numerose occasioni di incontro che ho giorno per giorno qui al Quirinale. È un punto di osservazione privilegiato e completo. Il nostro Paese è pieno di energie, comportamenti, iniziative, impegni positivi; di solidarietà, di abnegazione generosa, di senso del dovere, di disponibilità e attitudine a occuparsi dell’interesse generale, del bene comune. Naturalmente, come ovunque, vi è anche ben altro. Vi sono, come accennavo all’inizio, comportamenti gravi e da censurare con severità. Ma, tra i piatti della bilancia, è di gran lunga prevalente quello della generosità e del proprio dovere. Motivo, questo, per cui sono riconoscente ai nostri concittadini.

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