Un amico mi ha inviato questa testimonianza. Ho conosciuto personalmente Letizia nel periodo natalizio a Rimini quando ci ha presentato la mostra di don Masi, fondatore delle Sorelle dell’Immacolata, le suore presenti a Rosolina da alcuni mesi per iniziativa di don Lino Mazzocco. Nella seconda parte parla del gruppo di don Eugenio Nembrini, del quale in questi ultimi tempi faceva parte anche Sauro.
SI PUO’ VIVERE COSI’?
L’esperienza della malattia è il punto di verifica di ogni esperienza umana. Si vive facendo magari anche tante cose buone, poi all’improvviso ci si ritrova a guardare in faccia seriamente il termine del proprio percorso umano. Ogni malattia ci ricorda che “siamo polvere”, ma quando le malattie sono di poco conto ce la caviamo spesso aspettando che passi. Ci sono poi malattie così importanti che invece improvvisamente ci mettono di fronte al “Misterio eterno dell'esser nostro”, come lo chiamerebbe Leopardi. E li capisci che non puoi più rimandare. Devi decidere che scopo ha la tua vita e come vuoi usare il tempo che ancora ti è dato.
Così è capitato a me poco più di 3 anni fa, quando mi hanno diagnosticato un tumore al seno. Improvvisamente capisci che fino ad allora, pur facendo cose buone, impegnandoti per gli altri, pregando etc..., avevi vissuto come se fossi eterno. Tutto si svolgeva come se il vero protagonista della tua vita fossi tu e le tue opere, buone o cattive che fossero. Ma in quel momento, per la prima volta, di fronte a quella diagnosi infausta, mi sono resa conto che la mia vita non era nelle mie mani, e pur nella paura del percorso che mi attendeva, ho sentito la Mano amorevole che mi cercava. “Ecco, non ti sei dimenticato di me” ho pensato. Non avrei scelto io quella modalità, ma proprio per questo non potevo negare l’evidenza di un Altro che mi stava cercando per strapparmi all’abisso di distrazione in cui vivo quotidianamente, per restituirmi a me stessa. Così ho affrontato la prima operazione e le successive sostenuta dall’affetto di mio marito, delle mie sorelle e degli amici nella fede che mi hanno accompagnato fin nei dettagli pratici del percorso di cura.
Dopo 3 anni sembrava tutto concluso quando arriva una nuova diagnosi: un nuovo tumore, diverso e più aggressivo. Questa volta lì per lì sono rimasta senza parole: ero appena uscita da un periodo durissimo con mio marito ricoverato per Covid 42 giorni, una lunga riabilitazione e quando appena iniziavamo a rilassarci arriva questa nuova tegola...Sinceramente pensavo di aver diritto a un po’ di riposo e invece mi rivedo davanti tutto quello che avevo già vissuto ancor più complicato e pesante.
Ma anche questa volta non sono stata sola. Mentre lavoro alla preparazione della mostra su Don Masi le Sorelle dell’Immacolata mi offrono la loro discreta e calda compagnia. Pregano per me e con me, mi portano Gesù Eucarestia appena possibile. No, non sono sola, anzi sono preferita. Uno che mi ama mi aspetta dentro questa malattia, per donarmi come dice la profezia di Ezechiele “un cuore di carne”. Questa è per me la grande promessa che mi attende nella chiamata della malattia.
E anche questa volta non sono sola. Ho parlato delle Sorelle dell’Immacolata, ma parlo anche di una messa che seguo quotidianamente su ZOOM, la piattaforma per video conferenze scoperta da tanti in tempi di lockdown. Ogni giorno da un anno un nutrito gruppo di malati, la maggior parte malati molto gravi o addirittura terminali, si ritrova per la messa quotidiana celebrata da don Eugenio Nembrini. Alla messa segue un breve momento di dialogo, in cui i nuovi si presentano, si pongono domande, si raccontano esperienze. A ognuno don Eugenio risponde riprendendo con puntualità i passi del cammino, aiutando tutti a non far passare invano il tempo della malattia, ma riconoscendo in essa, qualunque essa sia, la voce di Cristo che ci chiama alla felicità.
Visto da fuori questo gruppo è veramente un po’ strano, qualcuno forse storcerà il naso, non è bello mettere insieme gente che sta male, è di cattivo gusto. Ma basta ascoltare una volta certe testimonianze che non puoi non chiederti: “Ma è veramente possibile vivere così? Si può vivere la malattia e l’avvicinarsi della morte con letizia, certi che Cristo vince anche sul dolore e la morte?” C’è la mamma che ha perso il piccolo di 4 anni e mezzo malato di leucemia da quando aveva 6 mesi che dice “Sono onorata che un membro della nostra famiglia sia già al cospetto di Dio”, c’è la mamma malata terminale che spiega alla figlia perché è lieta di andare al compimento, e in mezzo ai dolori dichiara “Non ho paura di morire perché stando con i miei amici ammalati e accompagnandoli io ho visto vincere Gesù così tante volte che non ho neanche paura di vivere, perché la vita senza Gesù non sarebbe vita.” C’è la ragazza di 18 anni che dice, dopo 9 mesi di ricovero per leucemia: “in questi nove mesi ho custodito e partorito la mia umanità: ho imparato a volermi bene così come sono, anche senza capelli. Perché c’è Uno che mi ha amato così tanto per volermi così come sono adesso”. E la giovane mamma che muore scrivendo pochi giorni prima agli amici della messa“ Oggi mi godo una giornata senza programmi ospedalieri, anzi spalanco occhi e ore ai programmi di un Altro, ormai poche... Un abbraccio a tutti.”
Questa vittoria di Cristo io la vedo ogni giorno negli occhi che brillano nei “quadratini” della schermata di Zoom, nella tenerezza di mogli e mariti che accompagnano il coniuge malato pieni di adorazione, nella semplicità delle parole di don Eugenio, nell’affetto che lega tra loro questi compagni al Destino: sono amici perché si aiutano ad andare a Gesù, non perché sono tutti malati o perché si conoscono tutti da tempo. E per questo si inventano “regali” e sorprese “a distanza”(un vassoio di lasagne sulla porta di casa dell’amica arrivata a Milano per le cure palliative, confezioni di cioccolata spedite dall’amica svizzera in giro per l’Italia agli amici più malati, il kit per il battesimo fatto venire da Lourdes per un piccolo che vivrà solo pochi giorni). Li chiamano “i panini di Gesù”, sono la carezza del Nazareno che li raggiunge attraverso il cuore e le mani dei suoi amici. Sì, si può vivere così, e vivere così rende certi del compimento perché la vittoria di Cristo è davanti ai nostri occhi, passo dopo passo. Con Cristo noi cominciamo a vincere già dentro la nostra morte.
Basta domandare che Lui vinca ora, nella nostra vita così com’è e Lui non si fa attendere troppo: “Oggi sarai con me in Paradiso”.