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Misericordia! Te n’eri accorto!!??

Chi se n’era accorto che la misericordia è un mare grande, un oceano che tocca tutte le sponde? Antico e Nuovo Testamento, Genesi e profeti, la storia del popolo d’Israele e quella delle singole persone, gli episodi della vita di Gesù e le parabole che egli racconta; tutta l’azione di Dio e tutta la vita di Gesù è storia di misericordia. La misericordia pareva una corrente secondaria, presso la quale ci si poteva fermare per soccorrere un ferito o chiacchierare con un poveretto. Non se ne doveva avere troppa di misericordia perché se no, dove va la giustizia? Dove va a finire la morale? ...continua a leggere "GIUBILEO"

di Francesco Lambiasi *Vescovo di Rimini*

Lettera ad Avvenire
Caro direttore,
scrivo di getto perché ho una cosa bella da raccontarti, di quelle che si confidano con il “tu”, sottovoce, tra amici. È una storia bella, bellissima, perché autentica, ardente di amicizia, contagiosa di perfetta letizia. È per questo che l’affido a te, perché diventi come una pagina di quel “quinto evangelo” che potranno gustare in molti. Mercoledì scorso, qui a Rimini, mi è morto un prete, don Giuseppe. Quando ho detto prete, ho detto tutto.

Non era un clericale: era proprio un prete–prete. Lo era con tutto se stesso: mite, battagliero, trasparente e innamorato, forte e tenerissimo. Aveva capito che per amare le persone, bisogna imparare a perdere. Per questo voleva bene a tutti, senza mai legare nessuno a sé. Ed era contento. Spesso diceva: «Non saprei immaginarmi diverso da quello che sono».

Che miracolo, un prete contento! Domenica scorsa ho concelebrato la Messa con lui. Prima di cominciare siamo rimasti da soli per un minuto. Gli ho chiesto: «Lo sai, vero, che per te questa è l’ultima Messa? Come la vuoi celebrare?». Mi ha risposto con un lampo negli occhi: «Come la prima». Dopo il Vangelo – era quello della triplice domanda di Gesù a Simone di Giovanni: «Mi ami?» – quando gli ho spalmato le palme delle mani con l’olio degli infermi, mi sono sentito investito da ondate di profumo che venivano dal crisma della sua ordinazione.

Alla fine ci ha lasciato il suo testamento: «Ogni volta che ho celebrato la Messa – era arrivato al suo quarantacinquesino anno di ministero – mi sono sempre fermato su quelle parole: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”». E calcando l’aggettivo “mio”, mi è sembrato volesse dire: “In questo momento, non perché io sia bravo, ma perché il Signore mi ha scelto e amato, il suo amore è in me e io sono in lui. Ho qui tra le mie mani la sua vita che diventa la mia, e la mia che diventa la sua”. L’Eucaristia fa della vita del prete un corpo donato, che continua a perdere sangue... In molti avevamo chiesto la grazia della sua guarigione, affidandola alla preghiera di don Giussani e del nostro don Benzi, ma lui rispondeva: «Non chiediamo al Signore di fare la nostra volontà. Chiediamogli la grazia di essere umili e disponibili a fare la sua».

Comunque, il miracolo c’è stato, eccome. Il miracolo di non aver vissuto la morte come una disgrazia, uno scacco matto, ma come un incontro, come l’inizio di una festa senza fine. Un giorno mi ha voluto confidare la sua preghiera. L’aveva imparata da una parrocchiana, tutta paralizzata: «Gesù, io sono tuo». Ed era felice quando gli chiedevamo di farcela ripetere. Caro direttore, adesso prega con me e con tanti che ci stanno leggendo: ora che il Signore lo ha preso, che ce ne mandi almeno un altro.

 

 

 

 

È stata pubblicatAmoris Laetitiaa l'8 aprile l'esortazione apostolica post-sinodale sull'amore nella famiglia Amoris laetitia, datata 19  marzo 2016, Festa di San  Giuseppe. Fa seguito ai due Sinodi sulla famiglia del 2014  e  2015. Consta di nove capitoli, 325 paragrafi e 264 pagine complessive.

Comincia così:

1. La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa. Come hanno indicato i Padri sinodali, malgrado i numerosi segni di crisi del matrimonio, «il desiderio di famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa». Come risposta a questa aspirazione «l’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia». ...continua a leggere "LA GIOIA DELL’AMORE AMORIS LAETITIA"

dal sito LA NUOVA BUSSOLA, 15-04-2016

L'Esortazione post-sinodale di papa Franceso Amoris laetitia

Dal momento in cui è stata pubblicata l'esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia, tutti i commenti, a cominciare da quelli dei collaboratori più vicini al Papa, si sono concentrati sul capitolo ottavo, quello dedicato alle situazioni irregolari. Degli altri otto capitoli non si è parlato affatto, eppure - come ha rilevato La Nuova BQ il primo giorno - ci sono diversi spunti che vale la pena valorizzare. Qualcuno ha detto che è come se fossero due documenti in uno. Per questo oggi, senza nulla togliere agli approfondimenti fatti in questi giorni, vogliamo raccontare anche l'Amoris Laetitia ignorata.

Chi ce la racconta giusta? La prima raccomandazione ad amici e parrocchiani è stata: lasciate perdere i commenti dei giornali e soprattutto non fatevi catturare dai titoli ad effetto; abbiate l'intelligenza e la pazienza di leggervi il documento tutto intero. L'esortazione di papa Francesco Amoris Laetitia è lunga come un fiume e ampia come il delta del Po.                                                                                                   Ci si può mettere qualche giorno a percorrerla tutta, intrigati fra l'edizione virtuale e quella cartacea. ...continua a leggere "L’Esortazione di papa Francesco sulla famiglia: un grande Amore che si fa strada e compagnia – di Angelo Busetto"

Per sei volte viene ripetuto che lo scoth[10]rrere del tempo non ci fa scivolare ‘dopo’ Pasqua, ma ci conduce a vivere un seguito ininterrotto di domeniche ‘di’ Pasqua. Una Pasqua continu
a, che non smetterà nemmeno nei prossimi mesi e nei prossimi anni perché, dal primo mattino di Pasqua e dal meriggio dell’Ascensione, Gesù rimane vivo e presente nel tempo. E’ impressionante crederlo sul serio. E’ impressionante leggere nei Vangeli delle domeniche di Pasqua gli avvenimenti che le percorrono. Gesù appare agli apostoli, alle donne e ad altri discepoli: lo vedono e lo toccano, eppure è sfuggente, come chi appartiene a un altro mondo. Gesù si propone come pastore che conduce e custodisce; vite alla quale siamo attaccati come tralci.

Da 'La Traversata' Ed Itaca 2015, p. 64

Siti

2016-03-24 18.41.31Al sepolcro di Gesù, gli Angeli erano due o uno? Il mattino di Pasqua, le donne accorse erano una o tre? Gli apostoli nel cenacolo, dieci o undici? Non basta raccontare i fatti di Pasqua. Occorre vederli, immaginarli, riprodurli. Nei giorni che seguono la Pasqua, con i ragazzi viene facile: un’immediata fantasia permette di immaginare e impersonare gli avvenimenti, trasportandoci con agilità presso il sepolcro o sul lago, sulla via di Emmaus o nel cenacolo. I ragazzi sono la Maddalena, gli Angeli, Tommaso, Pietro; sono il sepolcro e la corsa, sono il vento e le vele. Il Vangelo diventa vivo nei volti e nelle mosse. Il Vangelo si ridesta nelle persone. ...continua a leggere "LA PASQUA RIDESTATA"

 

Il buio sembrava coprire come un telo nero ogni cosa in quella cella umida, inghiottendo tutto intorno, fino ad assorbire il mondo intero che palpitava fuori.

         “Pietro, non hai paura?”

         “La paura mi penetra fino alle midolla, come il freddo di questa cella.”

         “E cosa ti fa essere così in pace, se hai paura?”

         “Lo sguardo di quella volta che mi perdonò, quando lo tradii.”

         “Ma non fu Giuda a tradirlo?”

         “Oh, sì, fu Giuda certamente all’inizio della storia. Fu lui l’origine di tutto quello che seguì. Inevitabilmente eppure in piena libertà: lui iniziò tutto perché doveva essere così.”

         “Ma allora, di quale tradimento parli, Pietro?”

         “Del mio tradimento, che fu più grave e terribile, perché io Lo amavo.”

         “E come fu che lo tradisti?”

         “La mia memoria ha perso i tratti precisi di quel momento e ne rimangono solo alcune tracce sparse qua e là.”

         “Che cosa ricordi, allora?”

         “Ricordo quella gente che aveva preso Gesù e tutta la rabbia che generò in me il modo in cui lo trattarono. Poi qualcuno di loro mi riconobbe, anche se stavo ben in guardia. Volevo vederlo da lontano, seguirlo senza farmi prendere. Qualcuno, non ricordo se uomo o donna, mi chiese se ero uno di quelli che stavano con Lui. Avrei voluto rispondere «Sì, io sono uno dei suoi, uno di quelli che darebbe la vita per Lui! Io sono suo!» e, invece, risposi che non Lo conoscevo, che non sapevo nemmeno di chi stessero parlando.

Era come se il mio cuore mi fosse tolto dal corpo, come se di colpo fossi stato svuotato. In un attimo tutte le cose grandiose che Lui aveva fatto e che mi avevano fatto sussultare il cuore fossero svanite, rispondendo a quella domanda.”

         “Ti lasciarono andare?”

         “Sì, ma fu per poco, perché rimasi nei paraggi e qualcun altro mi riconobbe, rifacendomi quella domanda maledetta: «Ma tu non sei uno di quelli che lo seguivano?».

E ancora una volta fu come se il mio stesso essere si spezzasse in due: da una parte il cuore, che avrebbe urlato al mondo «Lo capite o no che io sono suo?»; dall’altra la mia mente, che diede la risposta vera, «Non lo conosco». Ebbi paura.”

         “Poi te ne andasti?”

         “No, volevo vederlo. Ero lì per quello. Sapevo che non avrei potuto fare niente per lui ma volevo vederlo, per capire dai suoi occhi se tutto quello che ci aveva promesso e tutto quello che avevamo visto stesse crollando sul serio, stesse svanendo come vapore al sole.”

         “Riuscisti a vederlo?”

         “Non subito, lo dovetti rinnegare una terza volta, prima di poterlo vedere. Fu la più terribile, perché avevo marchiate dentro di me le ferite delle prime due risposte date; tutto il loro peso gravava sul fondo del mio cuore come piombo. Ero sanguinante di dolore ma essi insistevano contro di me: la domanda risuonò lancinante per una terza volta, come la vibrazione di un terremoto, profonda e densa di tragedia. «Costui è uno di quelli, lo si capisce anche da come parla! Sei uno dei suoi?». Fu in quell’istante che urlai come se tutto il mondo dovesse sentirmi: «Non conosco quell’uomo!».

E invece lo conoscevo eccome, e Lui conosceva me più di me stesso. Lui lo sapeva, lui mi conosceva, lui scrutava ogni frammento di me con il suo sguardo e lo sapeva, sapeva tutto. Sapeva persino che in quel preciso istante si sarebbe sentito, lontano, lontano ma forte come un tuono dentro le mie orecchie, il canto mattutino di un gallo. Uno di quei suoni che ti fanno presentire che qualcosa di nuovo sta per iniziare, una bella giornata, l’avventura di un giorno di lavoro, incontri, gioie, cose belle e nuove. Invece quella volta era il sigillo del mio tradimento.”

         “Lui sapeva che tu lo avresti tradito, quindi?”

         “Sì, Lui me lo disse un giorno, ma io non ci feci caso. Diceva tante cose che suonavano strane ai miei orecchi. Non ci feci semplicemente caso, per niente. Ma me l’aveva detto.”

         “E poi che accadde? Se sei qui, in attesa di essere messo a morte nel suo nome, qualcosa deve essere successo ancora.”

         “Lui apparve pochi istanti dopo. Sbucò da un angolo oscuro del luogo in cui ci trovavamo, spinto dalle guardie. Non si poteva guardare da come l’avevano ridotto. Non era più lui. Se non per quello sguardo.”

         “Quale sguardo?”

         “Lo sguardo che mi rivolse, subito. Appena girato l’angolo, guardava già verso di me, come se sapesse che io ero lì, proprio lì, in quel posto esatto. Girato l’angolo, in quella maschera di sangue che era divenuta il suo volto, emergeva solo il suo sguardo su di me. Guardò me, capisci? Guardò me e basta. E non fu uno sguardo di delusione, non mi guardò come si guarda un figlio che non ha fatto le cose per bene come tu volevi. No. Non mi guardò come qualcuno che vuole ferirti perché tu hai ferito lui. Mi guardò amandomi. Non serve che ti spieghi: avrai ricevuto anche tu una volta lo sguardo di chi ti ama, inconfondibile. Uno sguardo che è una carezza. Da quel volto insanguinato, una carezza.

In quello sguardo c’era tutto di Lui e tutto di me insieme. C’era tutto quello che di Lui mi aveva colpito e tutto quel poco che ero io. C’erano la sua misericordia e la mia miseria, plasmate insieme. Tutto in quello sguardo, di perdono, ne sono sicuro.”

         “E tu?”

         “Lo portarono via in un secondo, e non lo vidi più, fino a quando non l’appesero a quella croce. Appena sparì dalla vista, sentii la burrasca del mio tradimento emergere impetuosa, finalmente consapevole e senza freni. Mi girai e me ne andai in fretta in un angolo buio e feci ciò che non avevo fatto mai: piansi. Piansi come mai mi era accaduto nella vita: io ero Simone, quello duro, quello che aveva sempre le risposte giuste, che non cedeva mai, che si buttava nelle cose, che sfidava il mondo per seguirlo. Ma piangevo perché, con quello sguardo, era come se tutto il mio tradimento fosse stato lavato via, come se non esistesse più. Non che non fosse successo, ma che anche se successo, non era l’ultima parola su di me. Ero sicuro che avrei tradito ancora, ma non finiva più tutto al mio tradimento. Quello sguardo mi diceva che non importava, che si sarebbe sistemato tutto, se solo avessi continuato a guardare Lui.”

         “E’ per questo, allora, che sei qui?”

         “Solo per questo sguardo che ha solcato la mia esistenza, riempiendola di un amore così grande che le parole non sono abbastanza per raccontarlo. Sono qui per questo, solo per questo. Ho vissuto la mia vita per questo, ho guardato te solo per questo.”

    Il rumore del chiavistello della cella fu un fragore insopportabile in quel silenzio oscuro. Il cigolio del cancello di ferro fu una sentenza di condanna.

         “Pietro, è ora. Andiamo”

         “Vengo”, disse senza esitazione, docile.

Dal corridoio illuminato malamente dalle torce delle guardie intravidi lo sguardo di quell’uomo che si voltava verso di me.

         “Solo per quello sguardo”, mi disse ancora una volta mentre lo portavano via.

 

 

 

 

 

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

La nostra riflessione sulla misericordia di Dio ci introduce oggi al Triduo Pasquale. Vivremo il Giovedì, il Venerdì e il Sabato santo come momenti forti che ci permettono di entrare sempre più nel grande mistero della nostra fede: la Risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo. Tutto, in questi tre giorni, parla di misericordia, perché rende visibile fino a dove può giungere l’amore di Dio. Ascolteremo il racconto degli ultimi giorni di vita di Gesù. L’evangelista Giovanni ci offre la chiave per comprenderne il senso profondo: «Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). L’amore di Dio non ha limiti. Come ripeteva spesso sant’Agostino, è un amore che va “fino alla fine senza fine”. Dio si offre veramente tutto per ciascuno di noi e non si risparmia in nulla. Il Mistero che adoriamo in questa Settimana Santa è una grande storia d’amore che non conosce ostacoli. La Passione di Gesù dura fino alla fine del mondo, perché è una storia di condivisione con le sofferenze di tutta l’umanità e una permanente presenza nelle vicende della vita personale di ognuno di noi. Insomma, il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore che ci dona la certezza che non saremo mai abbandonati nelle prove della vita. ...continua a leggere "Il Triduo Pasquale nel Giubileo della Misericordia – Udienza di Papa Francesco – Mercoledì 23 marzo 2016"

Via Crucis 2016 -02Accorreranno tutti, mi dico, sospinti dall'attrattiva e pieni di desiderio. Non se lo lasceranno scappare. Vanno pure a vedere la partita, corrono a inseguire l'ultima firma della pubblicità. E qui c'è ben più di un uomo famoso e quotato. Gli sono andati dietro tutti, gente di ogni età e ogni razza, di tutte le culture, uniti o distinti in tutti i riti e tutte le confessioni. Questi giorni sono i suoi giorni. La liturgia cristiana li esalta cancellando tutte le altre ricorrenze e concentrandosi sui Tre Giorni, perla preziosa per la quale vale la pena tralasciare e trasfigurare tutto il resto. Davanti a Lui si sono bloccati i soldati, i quali non l'hanno catturato, dicendo: 'Nessuno ha mai parlato come quest'uomo”. E allora, in questi giorni si riempiranno le chiese. La gente vorrà vederlo, sentirlo, condividere un fatto che determina la vita. Alcuni verranno a curiosare giovedì mattina in cattedrale, per vedere la grande schiera di preti che con il vescovo consacrano gli oli santi. Alla sera dell'Ultima Cena domanderanno che Lui gli lavi i piedi.
A meno che.... ...continua a leggere "Settimana Santa – LA FOLLA in cammino verso PASQUA"

 

La Settimana Santa arriva veloce con il vento della primavera. Con una certa fretta ne prepariamo i riti, scuotendoci da distrazione e lontananza, sorpresi dal fiorire dei peschi a lato del parcheggio; la magia della primavera è apparsa all’improvviso. Il Giubileo che continua a riempire la Cattedrale rinnova la percezione che la liturgia non è un calendario di scadenze abitudinarie e di riti impacchettati in formato standard, ma un fatto che accade. La Quaresima ci scuote con la misericordia, la parola del Vangelo e gli avvenimenti che premono. Al venerdì la preghiera della misericordia e il cammino della Via Crucis innalzano lo sguardo al Crocifisso. Il figlio prodigo torna a casa e viene abbracciato dal padre, e la donna sorpresa in adulterio è salvata in extremis da Gesù: la porta della Misericordia si spalanca per tutti. Lo sarà anche per i profughi che premono alle frontiere degli stati? La nostra ‘civiltà mediterranea e moderna’ allestisce pigramente nuovi lager fatti di vento, pioggia, fango, filo spinato, respingimenti. L’Europa si confonde sul senso della vita, della nascita e della morte, dell’amore e della famiglia. Si può vivere così?
Entriamo nella Settimana santa da un'arcata di gioia e trionfo, con Gesù a dorso d’asino, acclamato da grandi e piccini. E’ un breve lampo. Subito il Vangelo mostra l’Uomo condannato e ucciso. La sua vicenda si ripercuote nei nostri entusiasmi e clamori, nei nostri egoismi e tradimenti. La memoria di Gesù che patisce e risorge ci conduce a ritrovare noi stessi, ripercorrendo le fibre del nostro passato e riaprendo la promessa del futuro. La liturgia non è una finzione di teatro; si intreccia con gli avvenimenti e diventa un paragone e una grazia, una sorgente e un albero di vita. Ai tempi delle persecuzioni, nelle prigioni, nei lager e nei campi di sterminio il furtivo gesto liturgico divenne radice di libertà e di caritá. Nel rigore e grigiore dei tempi di Stalin, e nel tacito collaborazionismo delle istituzioni religiose compromesse con la dittatura, la pratica liturgica divenne speranza di salvezza.
Oggi, nell'inverno religioso che ci disperde nelle nostre solitudini e rende i giovani inabili alla fede, la scadenza liturgica sorprende il popolo cristiano. I catechisti si affrettano a presentare la Settimana santa ai ragazzi, altre persone tagliano i rami di olivo, i cori preparano i canti, la carità rinverdisce le giornate e si industria a preparare ‘pacchi’ più sostanziosi; qua e là riemergono le adorazioni delle Quarantore, mentre la preghiera silenziosa o acclamata dei monaci nei conventi e dei cristiani nelle chiese celebra un Amore presente. “Che cosa hai a che fare ancora con noi, o Cristo?”
Nei giorni della Settimana Santa camminiamo nella passione e nella gloria di Cristo, nel sentiero dell'amore interamente donato. Domandiamo di immedesimarci con il cuore di Cristo, mentre partecipiamo alle celebrazioni e mentre studiamo e lavoriamo, mangiamo e riposiamo: perché rinasca l'amore alla vita, risorga la compassione verso l'uomo e il mondo riconosca il giorno della risurrezione.