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Caro Direttore,
“LA MEMORIA RENDE LIBERI”: uno degli slogan più efficaci apparso nella giornata della Memoria. Fa eco alla drammatica e irrisoria iscrizione sbandierata all'ingresso di Auchswitz,’il lavoro rende liberi’. La memoria dell'Olocausto.Shoah dovrebbe liberarci dalla tentazione di ripetere altre stragi. E’ una memoria che andrebbe dunque estesa a ogni tipo di sterminio e genocidio.
Sembra tuttavia che la grande macchina della memoria, che muove un numero sterminato di iniziative e viene amplificata dai media per intere giornate, rimanga inceppata rispetto ad altri genocidi, contemporanei o precedenti o seguenti la Shoah. Dove esiste qualche proposta di memoria per le vittime della rivoluzione russa del 1917 e delle stragi facenti capo a Lenin e a Stalin? Chi è disposto a ricordare i milioni di morti per la fame indotta da Stalin in Ucraina? Qualcosa di simile si può dire per il primo 'esemplare' di genocidio moderno, perpetrato sugli Armeni da parte dei Turchi. E le stragi della Cina di Mao, e la sistematica abolizione dell'uomo nella Cambogia di Pol Pot? Dimentichiamo a piè pari le violenze dei regimi coloniali in Africa.
Queste e altre sono memorie non liberate e non liberanti. Perché?
Dove va a nascondersi la coscienza umana e come arriva a giustificarsi?
Perché coloro che circondavano i capi e i generali non si sono ribellati? Perché non hanno bloccato leggi perverse? Come hanno potuto approvare e collaborare?
Nella nostra società persistono varie forme di 'abolizione dell'uomo'. Tre su tutte. La prima riguarda la mancanza di soccorsi e accoglienza verso chi lascia la propria terra e trasmigra. Tutta la storia è attraversata da migrazioni, raramente tranquille, spesso piene di razzie e violenze. Milioni di italiani hanno cercato l'oro dell'America e i pascoli dell'Australia; molte nazioni sono costituite da una varia mescolanza di colori della pelle. Se oggi provochiamo patimenti e morte con barriere, respingimenti, mancanze di soccorso, come potremo evitare che le generazioni future ci dicano: “Ma voi, dove eravate? Perché non vi siete opposti e non avete organizzato accoglienza, istruzione, integrazione?”
La seconda abolizione dell’uomo riguarda la diretta uccisione del bambino nel seno materno. Siamo ancora gente civile se questo precoce ‘genocidio’ ‘accade in modo sempre più usuale e scontato?
La terza si riferisce ai milioni di cristiani violentati, esiliati, uccisi nel mondo.
Non avremo dunque bisogno di venire liberati attraverso un altro tipo di memoria?

 

IL COMPITO DELLA VITA

Il mondo naviga in tutte le direzioni, e un senso di smarrimento pervade equipaggio e passeggeri. Nella grande crociera della vita non bastano i supermercati delle distrazioni, né i brevi attracchi in porti famosi che introducono alle città d’arte e alle postazioni del gioco. E’ il soggetto stesso, uomo e donna, a trovarsi disperso, un ‘io’ staccato dalla sua origine e trascinato verso una mèta che rimane ignota. Come Diogene nella piazza del mercato, girovaghiamo con la lampada accesa domandando chi è l’uomo, da dove viene e dove va, chi lo ama e chi gli fa compagnia. “Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male»”. Scriveva così Papa Francesco nella sua prima enciclica Lumen fidei.
Eppure constatiamo che migliaia di giovani si muovono verso una mèta, come accade in questi giorni a Panama nella Giornata Mondiale della Gioventù. Papa Francesco diventa Maestro e testimone e indica il punto verso cui muoversi. C’è dunque ancora un ideale, una speranza da inseguire, una ragione per cui vivere e dare la vita. Lo vediamo emergere dai percorsi della storia nel volto dei santi: uomini e donne che si sono lasciati vincere da un punto di attrattiva, gli sono andati dietro e hanno allargato lo spazio dell’umano. Il calendario di fine gennaio presenta San Paolo convertito, San Francesco di Sales con una proposta che coinvolge il vivere quotidiano, San Tommaso d'Aquino con la sua sterminata sapienza, San Giovanni Bosco che le inventa tutte con un cuore di padre verso ragazzini dispersi. La cronaca quotidiana racconta di preti e suore, famiglie e giovani che pregano, accolgono e ospitano e servono. Riemergono dal recente passato i santi della politica, come don Luigi Sturzo con il vangelo in mano e Alcide De Gasperi ricostruttore dell’Italia perduta: hanno aperto sentieri in un sottobosco di piante sane e robuste facendo rivivere l’umano dopo le tragedie della distruzione totale. Una ripresa che ci permette di camminare come nani sulle spalle di giganti. Con la vita dei santi la storia riprende ogni volta un giro virtuoso. Occorre dunque ‘contemplare ogni giorno il volto dei santi’. Fino ad accorgerci della santità usuale che ci circonda, di padri e madri e nonni e giovani che vivono con gusto, con pienezza e dedizione, con fede e carità. Un istante di grazia ci viene donato ogni giorno, impregnato di misericordia e di umanità. Canta il poeta Eliot: ‘In luoghi abbandonati / Noi costruiremo con mattoni nuovi / Dove le travi son marcite / Costruiremo con nuovo legname / Dove parole non son pronunciate / Costruiremo con nuovo linguaggio / C’è un lavoro comune / Una Chiesa per tutti / E un impiego per ciascuno / Ognuno al suo lavoro’.

PRIMI PASSI

Un bimbo piccolissimo muove i primi passi. E’ uno spettacolo guardarlo. La mamma gli è accanto, seduta sul tappeto del pavimento. Il bimbo, aggrappato con le manine alla sedia, se ne distacca di un passo, barcolla e finisce nelle braccia della mamma scoppiando in un riso di conquista. La scena subito si ripete. La mamma si allontana appena, e i passi del bimbo diventano due, poi ancora, tre passi e un clamore di risata e il battito delle mani di chi sta a guardare. Sono i primi passi della vita. Si comincia sempre così, desiderando e barcollando, attratti da un volto che ci guarda e da braccia che accolgono. Comincia la vita, la strada, l’avventura. Un passo, due passi, tanti passi.
Il cristianesimo comincia con i passi di Maria verso la casa di Elisabetta, con i passi di Giuseppe verso la casa di Maria, e poi con i passi di Gesù che esce di casa, arriva al fiume, cammina sull’argine. Il cristianesimo comincia con i primi passi di Giovanni e Andrea dietro a Gesù, ai margini del fiume Giordano. I passi dei due discepoli portano a una casa di cui non sappiamo l’indirizzo, perché ‘il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo’, sbucano nella piazzetta del paese dove abita Pietro e dove si incontra Filippo, indugiano accanto all’albero sotto il quale riposa Natanaele.
E’ accaduto anche nella nostra vita. I primi passi da bambini verso la chiesa, la compagnia degli amici, lo sguardo sulle persone. Ogni anno che spunta ricomincia con i primi passi per incontrare gli amici, arrivare parrocchia, entrare nelle case. Ogni giorno. Col passare degli anni i passi ingagliardiscono e in seguito tremano e declinano. Tuttavia la sicurezza e lo slancio del cammino non sgorgano dalla robustezza fisica, bensì dall’attrattiva della meta, come per i Magi, i missionari, gli esploratori; ricominciano dal fascino della Presenza che conquista e accoglie, come il bambino verso la mamma.
A volte i passi si perdono e disperdono. Crisi, dimenticanze, distrazioni, depressioni, lavoro, carriera, altri amori. Scivolano fuori pista. Per questo, ogni anno lancia un nuovo inizio. Ogni stagione una ripresa. Pensa al matrimonio, con le sue stagioni fredde e le sue primavere; alla vita sacerdotale, con le sue secche e le sue rinascite; a un giovane avvilito che riprende il cammino o a un uomo che invecchia senza sfiorire. Il Signore è buono, sostiene con legami di bontà, come fa una madre con il bambino. Rispunta la stella del cammino, rinasce la compagnia cristiana, per giungere all’incontro desiderato che salva la vita

Che te ne fai del tempo?

Per decenni, anzi per quasi un’intera vita, hai usato il tempo come moneta non tua. Il tempo ti veniva consegnato a pezzettini, ciascuno riempito da un compito particolare, al quale se ne sovrapponeva subito un altro. Hai imparato a fare due cose contemporaneamente, tentando di non soffocare nella confusione: leggere e ascoltare musica, camminare e pregare, ascoltare e guardare... Consideravi distensiva la tua 'professione', che non ti appiattiva in un'unica mansione ma ti faceva trascorrere da un compito a un altro, ti interrompeva e di inquietava, ti lasciava in casa e ti portava fuori, in chiesa o al computer, in giro per le case o a preparare un incontro, a un dialogo o dentro il silenzio. Una straordinaria varietà che accresceva la letizia e l'ampiezza dell'essere prete e non faceva pesare l'accumulo delle occupazioni.
Ed ora, ecco che le giornate si aprono sulla soglia di casa lasciandoti spazi aperti, senza presentarti il conto delle cose da fare, senza l'intasamento di impegni sovrapposti l’uno all’altro. Ê pur vero che a sistemare la nuova abitazione non si finisce mai, e il riordino di libri, quaderni e fogli è un ronzio di api attorno all'alveare; anche l'accudimento di qualche mansione domestica richiede la sua parte. Ma il tempo si apre come una strada senza ostacoli, una piatta pianura. Sei libero, come è arrivata a dirti la parola autorevole del Papa.
Libero da che? Libero perchè?
Arrivano ben presto le festività natalizie, occupandoti larghi spazi con il 'lavoro' delle celebrazioni e delle confessioni e con la presenza di amici e familiari. Si inseriscono qua e là alcuni inconvenienti tecnici, specializzati a far perdere tempo.
Ma, alla fin fine, che te ne fai del tempo? Che te ne fai di mattine o pomeriggi improvvisamente liberi?
Ecco. Come ruscelli e fiumi che si riversano sul lago, vengono a rincorrersi antiche e nuove occupazioni. Parenti malati da andare a trovare, persone da visitare, scritture da sistemare, giornali da sfoltire, siti da indagare, inviti a pranzo da smaltire, proposte di incontri pastorali da soddisfare e persino la vita di condominio a cui badare. Sbucano nuove possibilità, lungamente desiderate o uscite di sorpresa. Quanti anni impiegherai a percorrere le amplissime tremilaquattrocento pagine della Bibbia più voluminosa che possiedi, ricche di introduzioni e commenti? Quanti libri ti restano da leggere del grande teologo ammirato e appena accarezzato? Quante nuove conoscenze o la ripresa di antiche? Intravedi nuovi intasamenti di occupazioni, sovrapposizioni di interessi e di attrattive. Magari un concerto mai calcolato o un film mai visto, o un viaggio mai considerato. Infine, la scoperta di un filone di familiarità con il mistero, finora non intravisto, che viene a sorprenderti l'anima. La pianura si anima di alberi e case, di incontri e sorprese, aprendosi a un orizzonte di cui non scorgi il confine.
Don Angelo

NATALE 2018
Un avvenimento imprevisto: accade

La meraviglia del Natale svela il volto del cristianesimo, ne fa percepire il battito del cuore. Ecco, un Bambino nasce, un avvenimento accade nella vita di due giovani sposi e si diffonde come un’eco tra le greggi dei pastori, rimbalza nella stella dei Magi e cammina per le strade del tempo. Un avvenimento atteso eppure totalmente imprevisto e sorprendente. Viene Gesù, sui passi dei profeti e sull’onda della voce del Battista, e gli uomini si sorprendono di poter guardare in faccia Dio e di poterlo abbracciare.
“Venne Gesù e fece il cristianesimo”, dice il poeta Péguy. Non una cosa che già c’era, come adorare la luna o il sole o un animale o una località ritenuta sacra. Non una fantasia mitologica, come gli antichi dèi di Omero, un’invenzione di filosofo, una filosofia di vita o una tendenza umanitaria che si sviluppa. Gesù che viene è il cristianesimo: un avvenimento accaduto a delle persone e scoppiato dentro la vita.
Per dire il cristianesimo dobbiamo riferirci a dei fatti, narrare una storia, raccontare di persone, dire dei nomi. Come hanno fatto tutti gli evangelisti: Marco, un vangelo pieno di cose e avvenimenti; Matteo, impregnato della mentalità del suo popolo; Luca, che interroga Maria e le persone che l’avevano conosciuta; Giovanni, che riferisce ‘quello che abbiamo visto e udito e le nostre mani hanno toccato’.
Il cristianesimo si diffonde come un fatto, una realtà umana vissuta in mezzo al mondo: gli ‘Atti’ degli apostoli, più che i loro discorsi; la vita dei cristiani, più che le loro parole. Discorsi e parole servono a raccontare un fatto, a precisare i contorni di una cosa che succede. ‘Nel nome di Gesù’ Pietro guarisce lo zoppo, Paolo invita Filemone ad accogliere lo schiavo come fratello, la Didachè racconta dei cristiani che hanno in comune il pane ma non il talamo. Una vita vissuta, una vita nuova dentro il mondo, una vita salvata e che salva.
Per far conoscere il cristianesimo, occorre raccontare una storia e viverla ora. Raffigurarla nei presepi delle chiese, delle case, delle strade e delle scuole. Rappresentarla nelle recite e nei presepi viventi con una mamma e papà e bambino reali e bambini vestiti da pastori. Una storia che rivive nei santi e nei cristiani di ogni giorno, che amano Gesù come l’hanno amato Maria e Giuseppe, la Maddalena e Pietro e Giovanni. Gesù si consegna alla storia attraverso il segno dell’unità dei suoi: “Che siano una sola cosa, perché il mondo veda”. Si fa riconoscere nel povero e nel debole, nel carcerato e nel peccatore pentito. Un segno, una vela nel mare del mondo, una barca per naviganti e per naufraghi. “Viene Gesù e fa il cristianesimo”.

Verso NATALE 2018

La meraviglia del Natale svela il volto del cristianesimo, ne fa percepire il battito del cuore. Ecco, un Bambino nasce, un avvenimento accade nella vita di due giovani sposi e si diffonde come un’eco tra le greggi dei pastori, rimbalza nella stella dei Magi e cammina per le strade del tempo. Un avvenimento atteso eppure totalmente imprevisto e sorprendente. Viene Gesù, sui passi dei profeti e sull’onda della voce del Battista, e gli uomini si sorprendono di poter guardare in faccia Dio e di poterlo abbracciare.

“Venne Gesù e fece il cristianesimo”, dice il poeta Péguy. Non una cosa che già c’era, come adorare la luna o il sole o un animale o una località ritenuta sacra. Non una fantasia mitologica, come gli antichi dèi di Omero, un’invenzione di filosofo, una filosofia di vita o una tendenza umanitaria che si sviluppa. Gesù che viene è il cristianesimo: un avvenimento accaduto a delle persone e scoppiato dentro la vita.

Per dire il cristianesimo dobbiamo riferirci a dei fatti, narrare una storia, raccontare di persone, dire dei nomi. Come hanno fatto tutti gli evangelisti: Marco, un vangelo pieno di cose e avvenimenti; Matteo, impregnato della mentalità del suo popolo; Luca, che interroga Maria e le persone che l’avevano conosciuta; Giovanni, che riferisce ‘quello che abbiamo visto e udito e le nostre mani hanno toccato’.

Il cristianesimo si diffonde come un fatto, una realtà umana vissuta in mezzo al mondo: gli ‘Atti’ degli apostoli, più che i loro discorsi; la vita dei cristiani, più che le loro parole. Discorsi e parole servono a raccontare un fatto, a precisare i contorni di una cosa che succede. ‘Nel nome di Gesù’ Pietro guarisce lo zoppo, Paolo invita Filemone ad accogliere lo schiavo come fratello, la Didachè racconta dei cristiani che hanno in comune il pane ma non il talamo. Una vita vissuta, una vita nuova dentro il mondo, una vita salvata e che salva.

Per far conoscere il cristianesimo, occorre raccontare una storia e viverla ora. Raffigurarla nei presepi delle chiese, delle case, delle strade e delle scuole. Rappresentarla nelle recite e nei presepi viventi con una mamma e papà e bambino reali e bambini vestiti da pastori. Una storia che rivive nei santi e nei cristiani di ogni giorno, che amano Gesù come l’hanno amato Maria e Giuseppe, la Maddalena e Pietro e Giovanni. Gesù si consegna alla storia attraverso il segno dell’unità dei suoi: “Che siano una sola cosa, perché il mondo veda”. Si fa riconoscere nel povero e nel debole, nel carcerato e nel peccatore pentito. Un segno, una vela nel mare del mondo, una barca per naviganti e per naufraghi. “Viene Gesù e fa il cristianesimo”.

 

I giorni

LA FRECCIA DEL DESIDERIO

Lo aspettavamo. Aspettavamo l’Avvento, con il richiamo all’attesa, la festa della Madonna Immacolata pura e santa, e Giovanni Battista aspro e deciso. Abbiamo bisogno dell’Avvento. Di giorno in giorno, di domenica in domenica, l’Avvento aggiusta l’obiettivo del nostro desiderio. Desideriamo sempre, tutto e di tutto. A colmare il bisogno non basta lo sfolgorio degli sconti in negozi e supermercati, proposti in giorni imprevisti con inventiva americana. Occorre avere davanti agli occhi il punto a cui guardare, l’obiettivo verso il quale drizzare la freccia del desiderio, ogni giorno e ogni istante. Non che si debba buttar via tutto il resto, per cercare solo Gesù; si tratta invece di desiderare e domandare Gesù dentro tutto e attraverso tutto.

Che bello l’esempio della bambina di quinta elementare di Riviera del Brenta che raccoglie le firme degli amici per ripristinare il nome di Gesù nella canzone di Natale. Che belle le recite con genitori e nonni. Che belle le fragili luminarie che lampeggiano per vie e piazze. E i frammenti di carità e bontà che squarciano la zolla della nostra indifferenza.

Ma il desiderio desidera di più e non gli bastano le stelle del cielo e le luci della terra. Lo avvertiamo dal vuoto che prende l’anima, e dall’urgenza del bisogno delle persone che ci circondano o di cui sentiamo notizia: bimbi senza scuola, mamme e papà senza casa, mondo senza pace e politici senza energia; giovani senza lavoro e famiglie senza figli, disastri in discoteca o in mare. Che cosa occorre oltre il dolce affetto dei familiari che si ridesta e riscalda nelle feste e nei lutti, oltre l’amicizia forte e collaborativa che sostiene nei passaggi della vita?

Qualcuno ci ha forse promesso qualcosa? Qua e là, nelle chiese e nelle strade, bucano l’aria i canti della Novena e della Chiara Stella. La maestra racconta la storia di Gesù, l’annuncio dell’Angelo a Maria, il viaggio verso la grotta, e i bambini si incantano ad ascoltare con orecchi tesi e occhi spalancati – più delle storie inventate, più delle avventure degli extraterrestri, più delle imprese degli eroi. In una eccezionale serata prenatalizia, le parole dei poeti, le suggestioni delle immagini, le musiche delle canzoni disegnano il percorso di uomini e donne di tutti i continenti e tutti i climi, in cammino sull’onda del desiderio. Quando il desiderio trova la direzione giusta, si impenna e procede. “Cammina l’uomo quando sa bene dove andare’. L’Avvento ci è necessario, Cristo è necessario al nostro desiderio. L’energia del cuore e il vigore della mente tendono alla mèta del Verbo che si fa carne e abita in mezzo a noi. Ed ecco, ‘il suo bisbiglio già viene’.

Don Angelo

 

 

 

CRISTIANI PECCATORI, CHIESA SANTA

 “Penso a nostra Madre, la Santa Madre Chiesa. Gli ultimi tre numeri sulla santità (nel documento finale del Sinodo sui giovani) fanno vedere cosa è la Chiesa: la nostra Madre è Santa, ma noi figli siamo peccatori. Siamo peccatori tutti. Non dimentichiamo quell’espressione dei Padri, la “casta meretrix”, la Chiesa santa, la Madre santa con figli peccatori.” Così si esprime Papa Francesco nel discorso che conclude il Sinodo. La Chiesa è come una buona famiglia nella quale c’è qualche figlio scapestrato. Possiamo anzi dire che ogni componente della Chiesa, come ogni membro della famiglia, è peccatore per la sua parte. E’ quello che in ogni Messa proclama la liturgia eucaristica: “Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. A volte sentiamo che questa espressione viene stravolta in un’altra: “Non guardare ai peccati ma alla fede della tua Chiesa”: anche dall’altare ci si fa accusatori della Chiesa, e si smorza la speranza e la fiducia dei cristiani. Dice ancora il Papa: “Ma la Chiesa non va sporcata; i figli sì, siamo sporchi tutti, ma la Madre no. E per questo è il momento di difendere la Madre”. In molte occasioni, quando sentiamo accusare la Chiesa per lo scandalo di qualcuno dei suoi figli, è come se sentissimo offendere la Madre che ci ha dato la vita e ancora ci dona il respiro della fede.

Da chi potremo andare, dunque, se viene rubata la fiducia nella Chiesa e viene bloccata la possibilità di fidarci di una Madre e di un cammino al quale Gesù stesso ci affida? Resteremo nella nostra solitudine, arroccati in un giudizio di condanna e chiusi nella presunzione di inventare noi stessi strade migliori che conducano a santità e salvezza? Detto con l’efficacia di sintesi della lingua latina, la santità della Chiesa viene definita da tre parole: sancta, sancti, sancte.

Sancta: la Chiesa è costituita da realtà sante, che sono in modo particolare la Parola di Dio custodita e proclamata, le azioni sacramentati nelle quali Cristo stesso agisce, e i luoghi stessi che ospitano la presenza del Signore.                                                         Sancti: la fisionomia della Chiesa risplende nel volto dei santi che brillano nella luce delle vetrate delle Chiese e nelle opere di carità e verità che ne continuano la storia. Sancte: vivere e operare santamente imitando il Signore Gesù e la vita dei santi che hanno attraversato la storia e la geografia, rinnovando la faccia della terra. L’immagine compiuta della Chiesa è impersonata in una Donna tutta santa, Maria di Nazaret: abbracciati e accompagnati da lei, i cristiani di tutte le generazioni, purificati dalla misericordia, vengono attratti alla santità.

i giorni
TUTTI E CIASCUNO

Tu dici 'i poveri', tu dici 'le famiglie', tu dici 'i bambini', i migranti, gli islamici, i marocchini e via dicendo. Poi, improvvisamente sulle strisce pedonali ti trovi di fronte D. tutto curvo, che procede a passettini a sghimbescio e scambi due parole veloci; in un dialogo fortuito incroci quella famiglia tagliata a metà da un disaccordo tra fratelli; ti imbatti nella ragazza straniera malmenata dall'amico e dall'amica, e altri stranieri ti chiedono di conoscere il cristianesimo. E via di seguito. Non incontri ‘categorie’, non hai di fronte numeri, sigle, statistiche. C’è il tale e la tale, con quella faccia, quel carattere, quel nome. E improvvisamente tutto cambia. Non puoi passare dritto come il sacerdote e il levita della parabola, non puoi limitarti a ragionare per parametri che salgono e scendono come nelle riviste di sociologia, non puoi procedere per scadenze e programmi. Devi fermarti, scendere dalla tua posizione, come Gesù di fronte al grido del cieco e del lebbroso; come Gesù che ha guardato – tra la folla che premeva da ogni lato - la donna che perdeva sangue. Ti fermi mentre hai fretta, quando non hai voglia e non tocca a te. Imbarchi ondate di parole e di problemi che non sai come risolvere e, mentre ascolti, ti sorprende la memoria di quante opere di carità sono nate dall’incontro con una singola persona, dall’imbattersi in un bisogno particolare: don Bosco con il primo ragazzino, il Cottolengo con la donna morta di parto, don Gnocchi con ciascuno dei soldati e poi dei mutilatini, e mille altri. Si sono mossi prima di aver tempo di organizzare un programma, di contare le persone, di impiantare una struttura. Tutto si è svolto in una sorta di corpo a corpo, guardandosi in faccia, afferrando una spalla, aprendo la propria casa.
Tante volte ti càpita davanti la singola persona: il racconto di un dramma familiare si prolunga nel dialogo della confessione; la vita scende negli abissi della violenza e risale la china faticosa del perdono; la speranza torna a fiorire quando lo sguardo si posa sul crocifisso e si apre la strada della condivisione della Passione e della gioia della sua Risurrezione. Nell’esperienza dell’incontro, percorri i passi dell’Eucaristia celebrata: la parola che annuncia e consola, l’offertorio, il sacrificio, la comunione. “Per voi e per tutti”, come proclama Gesù nella preghiera eucaristica. E per ciascuno. Quando arriva il momento della comunione, davanti a ciascuna persona proclami: “Il Corpo di Cristo”. Ciascuno è unico, amato e creato, redento e salvato da Cristo. Ciascuno ridiventa se stesso davanti a Colui che lo salva chiamandolo per nome.

Catechesi sui Comandamenti, 11/A: Non commettere adulterio

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nel nostro itinerario di catechesi sui Comandamenti arriviamo oggi alla Sesta Parola, che riguarda la dimensione affettiva e sessuale, e recita: «Non commettere adulterio».

Il richiamo immediato è alla fedeltà, e in effetti nessun rapporto umano è autentico senza fedeltà e lealtà.

Non si può amare solo finché “conviene”; l’amore si manifesta proprio oltre la soglia del proprio tornaconto, quando si dona tutto senza riserve. Come afferma il Catechismo: «L’amore vuole essere definitivo. Non può essere “fino a nuovo ordine”» (n. 1646). La fedeltà è la caratteristica della relazione umana libera, matura, responsabile. Anche un amico si dimostra autentico perché resta tale in qualunque evenienza, altrimenti non è un amico. Cristo rivela l’amore autentico, Lui che vive dell’amore sconfinato del Padre, e in forza di questo è l’Amico fedele che ci accoglie anche quando sbagliamo e vuole sempre il nostro bene, anche quando non lo meritiamo.

L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni, e chi non riceve questa accoglienza porta in sé una certa incompletezza, spesso senza saperlo. Il cuore umano cerca di riempire questo vuoto con dei surrogati, accettando compromessi e mediocrità che dell’amore hanno solo un vago sapore. Il rischio è quello di chiamare “amore” delle relazioni acerbe e immature, con l’illusione di trovare luce di vita in qualcosa che, nel migliore dei casi, ne è solo un riflesso. ...continua a leggere "PAPA FRANCESCO UDIENZA GENERALE Piazza San Pietro Mercoledì, 24 ottobre 2018"