Vai al contenuto

LE PAROLE CHE FANNO STORIA E DONANO VITA

Quante volte le parole pronunciate svaniscono come un fumo di sigaretta nell’aria? Si parla per parlare, si dice per dire. Parli, e non ci credi nemmeno tu. Tanti luoghi comuni.
E’ un miracolo quando una parola usata e consumata come foglia d’autunno rispunta nuova e vera. Accade quando pronunci la parola amore davanti a un volto che ti guarda e a un cuore che batte, come un innamorato o una madre; quando dici buongiorno a una persona che ieri ti ha offeso. Le parole prendono vigore dalla storia che le ha forgiate e dall’esperienza che le rende vive. E’ un miracolo quando le parole della fede, usate e consumate come vecchie statue, tornano a brillare nel tessuto della vita.
Nei giorni scorsi ho avuto davanti agli occhi e nelle orecchie tre parole che vengono frequentemente pronunciate in ambito cristiano: comunione, fraternità, amicizia. Risalendo la galassia del tempo, siamo stati accompagnati a lambire la sorgente eterna da cui queste parole sgorgano. Comunione: non solo la comunione fraterna o la comunione eucaristica. Condotto alla soglia dell’eternità intravedi il Padre che riflette la sua immagine nel Figlio e con Lui vibra nell’amore dello Spirito Santo. Il circolo della comunione trinitaria esplode al di fuori, dando origine all’immensa creazione che si espande nello spazio-tempo, fino a dare origine alla storia dell’uomo. In un momento del tempo il Figlio viene ad abitare in mezzo a noi, ci convoca a una fraternità che supera quella della carne e del sangue, e ci chiama amici perché ci comunica tutto ciò che il Padre ha detto a Lui. Il discepolo che Gesù amava annuncia: “Quello che abbiamo visto e udito, quel che abbiamo contemplato e toccato lo annunciamo anche a voi, perché siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo”. Vedere, udire, toccare, contemplare: quattro verbi che descrivono l’esperienza dei cristiani di tutti i tempi. A due a due, a dodici a dodici, la comunione si concretizza nella comunità e si armonizza nella fraternità. Una famiglia, un gruppo di persone o di famiglie, un luogo di lavoro o di socialità, nello spazio della Chiesa, in cammino dentro il mondo. Da quante persone e comunità, nell’arco di due millenni di storia, questo è stato vissuto? Quanto - anche - è stato rinnegato e tradito?
In un percorso che sempre viene rigenerato, l’acqua del Giordano, il sangue del Calvario, il vento dello Spirito continuano a scorrere nelle case, nelle chiese, nei luoghi della vita. E’ la mia e la nostra vita, nella breve radura in cui è spuntata, nel carisma che nuovamente la rigenera, nell’amicizia che la sostiene, nell’autorità che la garantisce. Le parole pronunciate non sono più un fiato di nebbia, ma un’esperienza vissuta. Parole che diventano persone, raccontano storie, generano vita, segnano la strada. Comunione, fraternità, amicizia: un alfabeto nuovo, un vocabolario aggiornato, un linguaggio fresco, ancora sempre da imparare e da sperimentare. Parole che operano quel che dicono, come le parole sacramentali del Battesimo e dell’Eucaristia: una sorgente per la nostra sete, un paniere per la fame nostra e del mondo.

LE RAGIONI DEL CUORE CHE CONTINUA A BATTERE

Nel tempo in cui le barche andavano a remi in laguna e i bragozzi solcavano il mare a vela, l’arrivo del primo Venerdì del mese era un avvenimento per tutta l’isola. Anche noi ragazzi venivamo coinvolti nella pratica della Comunione eucaristica dei ‘primi venerdì’ di nove mesi consecutivi per garantirci la salvezza eterna, secondo la promessa di Gesù a Maria Margherita Alacoque.  In seguito, il disincanto provocato dalla fiducia nella scienza e l’incantesimo suscitato dalla immersione nella natura, insieme con un turbinio di ‘distrazioni’, hanno eliminato o almeno oscurato l’orizzonte del soprannaturale. Ci siamo trovati a trattare la vita come una complessa macchina che deve sempre funzionare, appena imbellettata da una spruzzata di sentimentalismo.   Ora, a sorpresa, il Papa che ha prodotto due encicliche – Fratelli tutti e Laudato si’ - su pace e armonia tra i popoli, natura e ambiente, facendo leva sul buon uso della ragione, viene a bucare l’orizzonte con una poderosa enciclica dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Entrano in scena due dimensioni che sembravano smarrite. La prima ascende in alto verso il divino, la seconda discende nel profondo del cuore, al di là del sentimento. Amore e cuore non fanno più rima come nelle canzonette di una volta; piuttosto, il cuore allarga i confini oltre il ritmo dei suoi battiti. Il cuore ‘pensa’, dice Pascal: ‘Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce’. Quando sentivo parlare don Giussani, mi sorprendeva il suo rimando al cuore come ’esperienza elementare e originaria’ delle esigenze e delle evidenze di verità, di felicità, di giustizia. Un cuore pieno di ‘ragioni’, com’è quello di una madre verso il figlio, dell’innamorata verso l’innamorato e infine di ogni uomo e donna che vive sulla terra. Nell’enciclica straricca di citazioni da Bibbia, santi, papi, teologi, papa Francesco compie alcuni passaggi audaci; dice che Gesù ci ha amati - Dilexit nos - con un Cuore umano che manifesta l’amore divino; Gesù trasfonde il suo Cuore nel nostro cuore, donandoci il suo modo di amare. L’umanità ha bisogno di questo Cuore per imparare ad amare e a tessere legami di pace. Citando Newman, il papa afferma che l’incontro più profondo con noi stessi e con il Signore non avviene con la lettura e la riflessione, ma con il dialogo orante da cuore a Cuore con Cristo vivo e presente.      In questo e altri passaggi dell’enciclica ritrovo gli accenti dell’esperienza sacramentale che ci veniva raccontata e raccomandata negli anni del Seminario. Nel corso dell’esperienza pastorale, questa apertura del cuore riaffiora come da sorgente sotterranea in occasione dell’adorazione nelle Quarantore, come pure nel silenzio di certe serate appesantite da difficoltà e preoccupazioni: a poco a poco il Cuore di Cristo viene a farti compagnia come dentro la delusione dei due discepoli di Emmaus. Accade di imbattersi in una madre che, travolta dal dolore per la morte della figlia, ritrova consolazione e vigore; vedi accendersi lo sguardo e il cuore in una compagnia di amici che affronta con audacia l’impresa della vita; ti sorprendi per quell’uomo ancor giovane e per quella persona anziana che, lasciando questa vita, si abbandonano nelle braccia di un amore più grande. Tante vicende nelle quali intravedi che, pur nella nostra incerta e parziale risposta, l’abbraccio che salva è quello dell’amore di Gesù. Colui che ci ha chiamato amici, continua a donarci tutto quello che il Padre ha detto e ha dato a Lui.  Nel tempo delle macchine a guida automatica e di fronte alle promesse dell’Intelligenza artificiale, si può vivere per qualcosa di più grande?

 

Don Angelo Busetto

USCIRE IN MARE APERTO VERSO L’ORIZZONTE INFINITO

Racconta il missionario di aver visto nella sacrestia della chiesa dei Gesuiti a Lima, in Perù, una statua di sant'Ignazio di Loyola con lo sguardo rivolto verso un orizzonte lontano, al di là di tutto, e nello stesso tempo con l'espressione decisa dell'avventuriero; Ignazio è proteso all'orizzonte infinito, oltre le 'Indie" dove arriveranno i suoi missionari.
È lo sguardo che nei giorni scorsi ho trovato riflesso in un altro personaggio, Sammy Basso, che ha lanciato la sua freccia oltre la morte dopo aver vissuto con pienezza una vita che avrebbe potuto chiuderlo nel carcere della sua malattia. Le parole e le immagini del suo 'testamento', riprese al suo funerale nell'omelia del vescovo di Vicenza Giuliano, hanno attraversato tutti i telegiornali e sono riecheggiate in una miriade di social. Con uno slancio di speranza e un filo di ironia Sammy ha sdoganato la parola ‘morte’ che da tanto tempo è tenuta bloccata alla frontiera dei mass media come un migrante indesiderato. La morte fa paura, dice Sammy, perché abbiamo paura dell'ignoto. E aggiunge: “Da quando Gesù e morto sulla croce, la morte è l'unico modo per vivere realmente, l'unico modo per tornare finalmente alla casa del Padre e vedere finalmente il Suo Volto.” E dunque, per Sammy e per chi condivide il suo cuore, la morte è lo svelamento e il compimento dell'amicizia incontrata e vissuta con il Signore in questo mondo. Un abbraccio dopo lo sguardo da lontano, come lo sposalizio dopo il fidanzamento.
Il Paradiso non è tanto un luogo, quanto piuttosto il realizzarsi di una relazione di amore fra Dio e noi. L'ho riscoperto come una novità nei giorni in cui una persona cara stava lasciando la riva di questo mondo per approdare al porto di Dio. Mi sono fatto accompagnare da un libro di Ratzinger che per lungo tempo avevo snobbato; parla dei novissimi, le ultime cose che conducono alla fine della vita terrena e aprono al dopo. La fine della nostra vita non conduce a un cambiamento di ‘luogo’, per andare ad abitare nel ‘luogo' dove Lui vive e che chiamiamo Paradiso. Il ‘cielo’ – dice Ratzinger – non è un luogo senza storia, ma una realtà personale, un essere con Cristo e in Cristo, come attesta San Paolo. Il ‘cielo’ è lo sviluppo di quello che abbiamo desiderato in vita, consapevolmente o inconsapevolmente. In vita, quando abbiamo desiderato vedere il Signore Gesù come lo vedevano i suoi primi amici, Lui ci è sempre scappato via, senza comparirci davanti come accadde alla Maddalena nel giorno di Pasqua. Con la morte noi arriviamo a Lui e Lui ci corre incontro ad abbracciarci. E sarà gioia immensa e gioia vera: niente affatto una noia perpetua come qualcuno si inventa, ma un giro di ballo senza fine, con tutte le danze del tempo e dell'eternità. La morte è un'uscita in mare aperto, che si spalanca sull'orizzonte divino. Un fiorire di vita con tutti gli amici e amiche che ci attendono nel cuore di Dio.
Grazie a Sammy, ai Santi e a tutte le anime buone che l’hanno intravisto e l'hanno testimoniato.

L’AFFONDAMENTO DEL VOPORETTO ‘GIUDECCA’

Memoria di un testimone oculare

Era il venerdì 13 ottobre 1944 attorno alle ore 13. Avevo quattro anni, due mesi, cinque giorni. Abitavo qui davanti, vicino al cantiere Menetto al numero 16, con la porta di casa che allora si apriva verso la laguna. Tempo di guerra, con Pippo che la notte sorvolava i nostri tetti. Ricordo mia mamma che alla sera saliva su una sedia e con stracci riempiva tutte le fessure dei balconi, come fa il carpentiere con la stoppa tra un asse e l’altro della barca, per non far vedere la luce agli aerei che passavano o al ‘tedesco’ in perlustrazione. Spesso alla sera la cucina di casa mia si riempiva di persone, e io mi addormentavo sulla sedia a sdraio. Bambinetto, già cominciavo a giocare in questa piazza, insieme con gli altri bambini. Andavo all’asilo delle Madri Canossiane qui accanto alla Chiesa di Ognissanti, ma quel giorno ero a casa. Non so perché. Una bella giornata di sole, e io come al solito e come tutti i ragazzini, camminavo scalzo. All’improvviso un boato tremendo. Con mia mamma e le mie sorelle ci siamo buttati nel sottoscala, come dentro un rifugio. La mamma teneva salda la porta sbattuta dallo spostamento d’aria. Quando uscimmo dal nostro rifugio mi trovai a camminare sul pavimento di casa pieno di vetri rotti di tutte finestre, meravigliato che i vetri non mi pungevano e non mi tagliavano i piedi scalzi. Siamo usciti fuori. Di fronte a noi il vaporetto del Giudecca delle ore 13 che veniva da Chioggia e andava verso Venezia attraccando alla fermata della Rosa dopo il Santuario della Madonna dell’Apparizione, era fermo a metà laguna, piegato, ferito. Grida in piazza e in laguna. Alcune barche facevano la spola tra il relitto e la riva, e già intravvedevo il sangue di alcuni feriti… Non so quanto fui trattenuto lì. Poco dopo – con mia sorella Maria – andammo verso l’Ospedale di S. Antonio. Sulla riva mi apparve più tragica la visione dei feriti: ricordo un uomo trasportato in una carriola, un altro uomo che cercava di trattenere le viscere che gli uscivano fuori. Vidi le Suore di Maria Bambina che facevano servizio in Ospedale, con il loro soggolo bianco che cingeva il viso: immaginai che anche loro erano state ferite, e che quelle dovevano essere le bende. Non si seppe mai quanti furono esattamente i morti: 120, 150? Anche un sacerdote, don Giuliano Vianello; anche un diacono dei filippini… Quanti feriti e mutilati? Anche persone che poi da grande mi dicevano: C’ero anch’io, non so come mi sono salvato… Una delle tante inutili stragi provocate dagli aerei alleati; senza alcuna ricerca di responsabilità. Per molti mesi vedevo il relitto del vaporetto mezzo affondato che emergeva come uno spettro in laguna vicino alla barena, una ferita sempre sanguinante nel cuore del paese: mi appariva sempre come un incubo tornando a casa da scuola…  Qualche tempo dopo, (o forse prima) ci fu un bombardamento ‘in marina’ cioè verso il murazzo, vicino al campo Tre Rose e perirono molte persone. Mia sorella Maria poco dopo mi portò a vedere le rovine. Mi pareva la fine del mondo. Chiesi a mia sorella: “Allora adesso è finita la guerra?”. Con un cenno del capo mi fece sì.

Ogni anno, nella domenica più vicina al 13 ottobre, dopo la Messa nella Chiesa di Ognissanti, il sacerdote esce in piazza per una benedizione al capitello e alla laguna, e una preghiera per le vittime del Giudecca e di tutte le guerre, con la gente e le autorità. Quest’anno la ricorrenza coincide con la domenica. Abbiamo avuto la guerra in casa, abbiamo portato le ferite della guerra nel cuore. E oggi? La tragedia della guerra ci penetra in casa e nel cuore dalla tv e dai social. Che cosa possiamo fare? Possiamo decidere ogni giorno di essere uomini e donne di pace nelle nostre famiglie, nel nostro ambiente, nel nostro lavoro. Come ci invita papa Francesco, possiamo pregare per la pace, rivolgendoci a Dio Padre di tutti, a Gesù principe di pace, allo Spirito Santo amore e perdono. Possiamo affidarci con il Rosario a Maria, Madre nostra, Regina della pace.

 

VITA O MORTE? PER CHE COSA SIAMO FATTI?

Non potrò mai dimenticare le due donne che ho visto - per una lunga serie di anni - ciascuna vicina al proprio marito malato di sla. Conoscevo le due coppie da quando erano agili e serene. Suonavo il campanello di casa dell’una e dell’altra coppia con tremore, salivo lentamente le scale del condominio fino alla porta dell’appartamento, e la donna era lì accanto al letto del marito immobilizzato e intrigato da aggeggi e cannucce. Scambiavamo gli usuali convenevoli, e poi gli sguardi: verso il marito che capiva e in qualche modo corrispondeva con gli occhi, verso la moglie che assestava le coperte e controllava i macchinari con la coscienza di stare accanto a un uomo vivo e amato. Queste donne non uscivano quasi di casa, se non per emergenze e occasioni improrogabili. L’una appariva salda, certa, desiderosa. L’altra, più agitata, raccontava di ricerche su internet, accennava a contatti con altre persone che vivevano le stesse condizioni. Sempre la visita finiva con una preghiera e una benedizione. Uscivo affranto e consolato, portando in cuore l’immagine di una dedizione grande, di un amore assoluto verso il coniuge.
Mi riaffiorano questi ricordi – che in parte corrispondono a situazioni che continuo a incontrare – mentre in giro spira un’aria di morte e fermenta un gran lavorio per condurre le persone a morire. Oltre all'abominevole sterminio di guerre senza giudizio e senza fine, oltre all'imperversare di delitti casalinghi e di incidenti sul lavoro, è in via di sviluppo qualcosa come un’industria per la morte, con l’avallo di gente che acclama e reclama. Il sottofondo dell’impulso di innumerevoli mass media, sospinge ciascuno a costruirsi da solo l’identità che preferisce, il corpo che si immagina, il destino che vuole.
‘Ognuno sta solo sul cuor della terra’, come dice la poesia di Quasimodo. Una solitudine di morte, come uno scivolo fatale. La scienza medica e le leggi dello stato ‘progressista’ allargano l’organizzazione della morte non solo per accelerare il fine vita, ma fin dall’origine della vita, all’interno del grembo che ne accoglie e custodisce il primo germoglio e la fioritura. Qui la voce chiara di Papa Francesco sbotta decisa: è omicidio, e coloro che lo compiono sono ‘sicàri’. Lo scandalo salutare che ci investe per i bimbi uccisi dopo la nascita, si tramuta poi nell’accanimento per eliminare la stessa vita quando si trova nel seno materno. Commuove il pianto di un bambino che nasce, ed è una grazia la compagnia e l’affetto verso la donna-madre e con lei verso l’intera famiglia, per favorire l’accoglienza dei bimbi, la loro crescita ed educazione. Per grazia di Dio è in gioco una fraternità larga, un ‘villaggio’ di persone che si conoscono, si guardano e si aiutano. Un campo aperto nel gran mondo che domanda fraternità e pace. Un compito evangelico per una Chiesa che vogliamo bella, per una comunità cristiana che si edifica nella carità, per una famiglia che si intreccia con altre famiglie. Un cammino di vita che attraversa la desolazione del male e getta semi di speranza per il presente e per il futuro.

Angelo Busetto

Corpo e anima, interiore ed esteriore, caldo e freddo, bene e male, io e gli altri: quello che ciascuno è si può paragonare a un albero del bosco, ben piantato nel terreno, illuminato dal sole e velato dalla notte, sballottato dal vento e dalla pioggia, accarezzato dagli uccelli e violentato dagli spari. Mi trovo spesso, a pranzo e cena, con il telegiornale davanti agli occhi e negli orecchi, con la solita sequenza di notizie ed eventi. Dapprima l’ultimo fatto di cronaca violenta, uccisione o disastro; segue la carrellata dei politici pro o contro qualsiasi cosa; le guerre in corso con le trattative di pace mai concluse; un intervallo di notizie varie, e quindi moda, sport, e sempre un pizzico di sesso che insapona il finale. Di giorno in giorno e di ora in ora i servizi proposti dalla tv anche oltre i telegiornali, ossessivamente ci trascinano a individuare le mosse e le intenzioni dell’ultimo delitto commesso in famiglia e.o contro le donne, con indagini, interviste, previsioni. Quale scroscio di male e di malessere si riversa nell’anima, nel cuore, nella mente di chi vede e ascolta, anche distrattamente e svogliatamente, a tavola o in poltrona? Un torrente alluvionale che entra dentro, percuote, modifica, impressiona e un po’ ti divora; un senso di malessere, una tristezza montante, un’insorgente sfiducia verso la vita, una delusione per il presente e una paura del futuro; uno stillicidio di giorni, settimane e mesi, come l’indottrinamento e l’infiacchimento di un detenuto in una prigione nazista o comunista.Se ne rendono conto i responsabili delle reti televisive, i detentori degli strumenti sociali, i responsabili politici? Ce ne rendiamo conto noi, fruitori abituali di tutte le reti? Cervello, cuore, pelle e membra, quasi in un dormiveglia, veniamo contaminati come Pinocchio che si lascia bruciare i piedi nel sonno.
C’è altro nella vita, come percepiamo vivacemente quando siamo di ritorno da un pellegrinaggio, da una vacanza bella con amici, dal compimento di un’opera di carità, dall’aver partecipato a un evento di grazia, dove la vita si ridesta, la mente si ripulisce, il cuore torna a battere con lieto impulso. Non ci si rassegna a bere acqua inquinata e cibi contaminati. Cerchiamo, nelle circostanze che ci accadono e poi in tv e giornali, la vita che cresce, ama, desidera, costruisce, perdona, raddrizza ed edifica, anche dentro i mali e le tragedie del mondo, anche dentro la malattia, la guerra, l’inondazione, in un fiotto di energia e di speranza. Attraverso la montagna del male, non spaccando la roccia con il piccone o gli esplosivi, ma nello scorrere di un’acqua che rigenera e nello spirare di un fiato che ristora.

Angelo Busetto

LA FEDE IN DIALOGO
Immerso nella realtà ‘spirituale’, il nostro ‘io’ vive nel rapporto con il ‘tu’

Affiorano sul filo della mente due visioni della vita e della persona che sembrerebbero alternative alla fede cristiana, ma che possono invece essere riconosciute come sue dimensioni integrative. Sono due visioni che vibrano nell’aria da molto tempo. La novità spunta nell’imbattermi in una persona immersa in una prospettiva ‘spirituale’, come documentano la sua libreria fornitissima di libri di Oriente e Occidente e la sua forma di vita impregnata di preghiera e di carità: è la prima visione. La seconda visione si presenta con l’ascolto su you tube di una lezione della filosofa Michela Marzano al Festival della filosofia di Modena, a metà settembre, che ragiona sull’io in una conferenza dal titolo: “Dimmi chi sono”. Consapevolmente o meno, le due visioni traducono in termini di scienza, di filosofia e di pratica vissuta alcuni aspetti della fede cristiana.
La prima afferma che il singolo ‘io’ appartiene a un tutto globale, pervaso da uno ‘Spirito’ che tutto attraversa e permea con immensa energia vitale. Le nostre azioni non sono mai solitarie, né sono appena un nostro prodotto, ma promanano dallo Spirito universale e risultano tanto più efficaci quanto più rimaniamo collegati con esso: avviene innanzitutto per mezzo di quella che viene chiamata “intenzione”, cioè proiezione verso un obiettivo, uno scopo. Quello che ‘intenzionalmente’ desideri, inserito in questa energia universale, troverà sicuramente compimento.
Credo risulti evidente che questa visione richiama la parola di Gesù: “In verità io vi dico: se chiederete qualcosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà”. Dio è tutto in tutti, e lo Spirito del Signore pervade l’universo e soffia dove vuole; la sua potenza e il suo influsso agiscono nel cuore dell’uomo e nel mondo. Particolarmente dopo Pentecoste, lo Spirito Santo è protagonista della vita della Chiesa e del mondo. Come afferma San Paolo e come richiama Teilhard de Chardin, l’universo procede in una tensione all’unità; creati da Dio, a Lui apparteniamo, protesi al nostro destino che è la partecipazione alla sua Gloria. Con una frase famosa di don Giussani possiamo dire: “Io sono Tu che mi fai”. Dobbiamo solo imparare ad accorgerci dell’azione dello Spirito di Dio in noi e nel mondo, e collaborare a tutti i livelli della nostra condizione umana.
Nella seconda visione si afferma che la consistenza dell’io personale non si sperimenta in solitudine, ma emerge e si sviluppa nel rapporto interpersonale. E’ nell’incontro, nel dialogo, nella socialità che il singolo scopre se stesso e si realizza. Per Cartesio, dice la filosofa citata, la persona esiste in quanto pensa; dopo Cartesio la filosofia si domanda ‘chi’ è questa persona che ‘pensa’, e scopre che germoglia e vive nella relazione con l’altro.
Considerando questa seconda visione, è inevitabile scorgervi un’apertura sul panorama della Trinità, di cui la persona umana è riflesso. In Dio le tre persone emergono, vivono, si esprimono in quanto relazione l’una all’altra, come dichiarano i loro stessi nomi, Padre, Figlio, Spirito Santo. Il dinamismo che costituisce l’essere di Dio si riflette nella persona umana e nelle espressioni comunitarie in cui questa si realizza e gioca la sua partita nella storia. Riaprire l’accesso alla vita trinitaria e perciò alla gioia che ha dato origine al mondo, dona un rinnovato rapporto con le creature: non più il ‘il naufragar m’è dolce in questo mare’ come nella poesia di Leopardi, ma la letizia francescana in cui fraternità e lode del creato sono eco una dell’altra.
Viene facile riconoscere come queste due prospettive, adottate come metodo di vita, producono frutti di sapienza, fraternità, carità, così come vediamo accadere nella vita di coloro che le professano e le vivono: a ciascuno dei quali possiamo infine dichiarare: “Non sei lontano dal Regno di Dio”.

Angelo Busetto

Martedì 13 agosto 2024

Mi sono fatto accompagnare nelle ultime settimane dalla lettura di AMICO CARISSIMO, il libro che riporta in parallelo le parole di Enzo Piccinini e le reazioni di chi lo ha incontrato. Ponevo la lettura in alcuni momneti vivi della giornata, nei passaggi tra Chioggia e Pellestrina. Anch’io l’ho incontrato negli ultimi anni della sua vita, quando veniva a trovarci a Chioggia. Ricordo anche che una volta, insieme a don Lino Rebellato, siamo andati a Bologna a incontrarlo, e l’abbiamo atteso fino a tarda sera, dopo tutti i suoi impegni. Ma non ci aveva infastidito quell’attesa, pieni di meraviglia per quell’uomo che ci accoglieva, ci ascoltava, ci rilanciava.

Il libro. Procede per varie tematiche, come percorsi che mettono in evidenza un tratto della sua vita, della sua fede, del suo rapporto con le persone. Al contrario del libro in qualche modo analogo si Andrea Aziani, che mi sembrava ripetitivo e quindi a tratti stucchevole, questo è vibrante, sempre nuovo pur riferendosi alla stessa persona.  Quel che risalta è l’uomo, pieno di vita e di ricerca, indomabile fisicamente e intellettualmente. Un carattee vivace, una ricerca audace di tutto, una ‘compromissione invadente' con la vita di tutti. Un uomo, un chirurgo, un amico, un capo. Fatto per gli ideali grandi e interi. Da giovanissimo, mentre partecipa ai gruppi marxisti extraparlamentari, incontra i ragazzi di don Giussani che a Bologna vivono in modo diverso. In questo impatto, il torrente della sua personalità irrompe in un territorio nuovo, e ne guadagnano le sue acque e il territorio, L’audcia del ‘di più’, l’audacia del ‘si può’. Sia in sala operatoria, che nel rapporto con le persone, nella spinta di nuove proposte e iniziative. Don Giussani l’ha notato ben presto, e lo ha reso partecipe della sua amicizia, facendogli incontrare altri, come Angelo Scola. Si può forse dire che nella personalità piena di giudizio e irruenza di Piccinini, la personalità di Giussani e la sua proposta hanno cavalcato un cavallo da corsa, si sono rivestiti di un’umanità capace di abbracciare, condividere, aprire, rinnovare. Cristo vivo, Cristo presente, è Lui la risposta compiuta al nostro essere, al nostro desiderio, all’impulso del nostro cuore. Fino al punto che ‘Il criterio, per chi incontra Cristo, non è neanche il cuore’. Cristo sperimentabile in una appartenenza, in una compagnia, nella realtà immediata della vita. Come si capisce che il cristianesimo non è un pensiero da assimilare, ma una posizione di vita, un’esperienza di fatto, una compagnia presente che incontra, invade man mano le cose della vita, con il desiderio e la tensione di coinvolgerle tutte.

Il libro termina con una sorta di biografia che riporta il passaggio di alcune date e alcuni avvenimenti, fino al culmine dell’ultimo giorno, il 26 maggio 1999, quell’incidente che gli bruciò la vita, quella vita che già era tutta offerta.

don Angelo Busetto

pp 326 € 13 Bur Saggi

SCRITTURA, PAROLA, AVVENIMENTO nella vita del cristiano
Interessante e ricchissima di riferimenti biblici la lezione di mons. Antonio Pitta sul tema dell’Agape, nell’ambito del Festival Biblico, Venerdì 17 maggio. L’attenzione del pubblico è stata avvinta dalla presentazione di quattro ‘fraintendimenti’, il primo dei quali è la presunta opposizione del Dio dell’Antico Testamento rispetto al Dio del Nuovo Testamento. Semplici cristiani, religiosi, predicatori – sottolinea il relatore - hanno equivocato e continuano ad equivocare parole e concetti presenti nella Bibbia. Non bastasse, ci sono anche vocaboli malamente tradotti dall’ebraico o dal greco e a volte scambiati nel significato; in particolare le tre parole riferite all’amore: eros, filia, agàpe.
Al che, è inevitabile che sorga una domanda: ma un cristiano a che cosa crede, chi crede? Resta a barcamenarsi tra le interpretazioni e le traduzioni, e ondeggia tra una parola e l’altra, tra un autore preferito e uno trascurato?
Il relatore distingue la parola dalla scrittura. La scrittura, dice, è il contenitore di una parola che viene annunciata e ricevuta, e che per la potenza dello Spirito vibra nella vita dei cristiani.
E’ un risposta interessante. E tuttavia non viene superato lo scoglio delle interpretazioni e degli equivoci.
“Fides – dice san Tommaso – non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem”: la fede non termina ad un enunciato, ma a una realtà. Detto in altro modo: La fede non poggia sulle parole, ma sui fatti. Non aderiamo a parole scritte o dette, ma a fatti accaduti e a realtà presenti. Non si tratta di abolire la parola o le parole, ma di seguire il percorso delle parole in quanto conducono ai fatti.
Nella pratica della vita cristiana, constatiamo che la fede non pervade solo il linguaggio e la mente, ma vive come esperienza di adesione a un fatto, come partecipazione a una realtà nella quale il mistero di Dio si rende presente. Per i primi che hanno incontrato il Signore, attraverso e oltre le sue parole, avveniva l’adesione e la sequela a Lui. Anche per noi la fede è adesione a Cristo, in tutti gli aspetti in cui Egli si rende attuale e sperimentabile: la realtà della Chiesa come comunità, parola, sacramento, autorità, vita… L’esperienza di fede permane anche nel fluttuare delle parole che la raccontano e la definiscono: le parole continueranno a chiarirsi e ad approfondirsi attraverso lo studio, la contemplazione e la preghiera.
Il mistero di Dio, compiuto in Gesù Risorto e reso permanente dallo Spirito Santo nel tempo della Chiesa, comunicato nella parola e celebrato nella liturgia, diventa vita per ogni cristiano e via di salvezza per ogni uomo.

don Angelo Busetto

angelobusetto24@gmail.com