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CHE COSA RESTA?

E’ la domanda che ci si pone dopo un grande avvenimento, una grande festa o un grande disastro. Quello che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo è uno di quegli avvenimenti che non càpita a tutte le generazioni di vivere. Evocando la memoria storica, la pandemia viene vissuta come una guerra, e il suo superamento è una vittoria. Si progetta di risanare i disastri del coronavirus con un’ondata di decreti, con prestiti e agevolazioni. Si agita la fantasia con gettiti di miliardi scaricati dalla bocca dei telegiornali. Come un coccodrillo che avanza dal fiume, emerge la pretesa di mettere tutto a posto con montagne di carte e di prescrizioni. L’uguaglianza che ci ha resi tutti fragili di fronte al coronavirus, diventa la ghigliottina di un’ideologia che taglia la testa a chi pretende ancora di averla. Che cosa ci resta?
Resta, semisommersa fino a boccheggiare sottacqua, la flotta di barche e barchini che per tutto questo tempo ha continuato a navigare e a salvare. Famiglie piccole e grandi, genitori e figli e nonni, sani o malati, lavoratori o disoccupati o pensionati, in case grandi o piccoli appartamenti, isolate o collegate, hanno portato con gioia e fatica tutto il peso della vita. Attraversate dalla paura, appesantite da problemi, minacciate da dissapori e violenze, private di alcuni beni materiali e spirituali, hanno continuato a vivere, a far studiare i figli, sperando nel sole di primavera. Navigando a remi o a bracciate, proseguono il percorso. Venisse il vento a soffiare, ora che possono alzare la vela. Quale vento? Spirasse vigoroso il vento del riconoscimento, venissero la pioggia e il sole di aiuti concreti, con provvedimenti mirati e intelligenti a sostegno di padri e madri, per la nascita e la cura dei figli e per l’accoglienza degli anziani in casa, per l’accudimento dei bambini più piccoli e per il sostegno alla scuola. Un bambino alla scuola materna e un figlio alla scuola pubblica paritaria, quale provvedimento lo sostiene? I giovani delle scuole professionali, perché vengono esclusi dalla sanatoria che salva l’anno scolastico? Lo Stato tiene sotto pressione i suoi figli; anche andando contro i propri interessi dimentica una buona schiera di ragazzi e giovani e ne trascura i genitori e gli insegnanti. Opere dimenticate, famiglie abbandonate, persone declassate. Come una macchina che perde pezzi, e alla fine si inceppa. C’è nelle famiglie una voglia di vivere, di lavorare, di educare, di collaborare, che viene dispersa: come stormi di uccelli e ai quali vengano tolti l’aria e un pezzo di cielo. Cosa resta ancora all’intreccio del bosco della società, se non vengono protetti gli alberi e restano ostruiti torrenti e ruscelli?

VOLTI NASCOSTI E SVELATI

Tutti a volto coperto, per due mesi, per tanti mesi. In strada, al lavoro, nei negozi. Le identità sfuggono. Nella zona che sei solito frequentare, riconosci appena qualcuno dalle movenze, dall’altezza, dalla corporatura; incrociando le persone in strada, tenti di guardare ciascuno negli occhi per cogliere e trasmettere un cenno di saluto, trovando eco in una persona su cinque. Uomini e donne senza volto, ci riduciamo a personaggi anonimi, indistinti, gente perduta in una città ignota.
Da bambini ci affascinava il volto coperto dal fazzoletto nei banditi del Far West, da grandi ci irrita il burka delle donne musulmane. Chi si nasconde? Quale identità, quale volto, quale persona, quale sorriso, quale gioia e quale dolore… Il volto nascosto separa più della distanza fisica, più dell’assenza della stretta di mano e dell’abbraccio. Sembra venga tolta la persona stessa; è come iniettarsi in vena delle gocce di inconsapevole individualismo: nessuno ti conosce e nessuno conosci; di nessuno hai bisogno e nessuno ha bisogno di te. Una terra desolata. Un fiume ghiacciato.
Il volto rivela l’anima, esprime sentimenti, sorride e si oscura, si apre e minaccia. Il volto parla. Nel tuo volto posso specchiarmi, posso cogliere il tuo mistero e il mio.
Persino per entrare nel mistero di Dio abbiamo bisogno che Lui ci sveli il suo volto. “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto”. A Dio non basta mostrare la sua potenza nel sole, nella luna e nelle stelle; nelle nubi, nelle tempeste e nel mare; nell’esplosione della primavera e nella crescita della vita, nell’infinitamente piccolo e nell’infinitamente grande. Non gli basta nemmeno dichiararsi Dio dell’alleanza che chiama Abramo, parla con Mosè, cammina con il suo popolo. Per dire se stesso e per donarsi, per farci compagnia e diventare amico, Dio prende un volto, un volto d’uomo. Per dire il suo cuore, per dare la sua vita. Un volto in cui possiamo vedere Dio. Dice Gesù nel Vangelo: “Filippo, chi vede me vede il Padre”. Il volto che hanno visto la Madre, Giuseppe, gli amici, le donne, la folla.
Desideriamo vedere il volto dell’altro, dell’amico e dell’amica, dello sposo e della sposa, del figlio e del padre; il volto di chi ci passa accanto, per scoprirvi il fratello e la sorella. Per risalire dall’angoscia della solitudine, e muovere i passi dell’incontro, dello scambio, della vita. Il volto di ciascuno, il volto di tutti. Il volto di Dio che risplende come sole nel volto di Gesù. Il volto di Gesù intravvisto sotto la maschera che nasconde il volto dell’uomo.

Un cristianesimo povero

Senza attività pubbliche, senza raduni, senza chiese e celebrazioni: dove vive il cristianesimo? Senza conclamate raccolte di soldi per pagare bollette o aggiustare tetti di chiese: come vive il cristianesimo?
Senza libri e giornali di carta, senza programmi a lunga scadenza ed eventi da organizzare: quanto vive il cristianesimo?
Senza oratori e campi aperti, senza scuole e centri caritativi: quando vive il cristianesimo?
Negli anni attorno al Concilio si annunciava la chiesa ‘povera’ con proclami e gesti simbolici di povertà, mentre si costruivano enormi caseggiati. Chiese spogliate da paludamenti antichi e abbellimenti moderni per dare risalto dell’altare; gesti e canti liturgici semplificati per mirare all’essenziale.
Ed ecco, improvvisamente, tutto ci viene tolto. Nemmeno la possibilità di gestire gli spazi interni delle chiese, appena accessibili per visite furtive. Una Chiesa di vescovi, preti e popolo, quasi inesistente nel panorama pubblico.
Il cristianesimo viene riportato al primo giorno, alla prima casa, alla prima piazza, alla prima persona. A me e a te; alla mia preghiera e alla tua; al mio cuore e al tuo; alla mia vita e alla tua, alla mia volontà e alla tua. Alla decisione che apre ogni giornata, all’amore che sostiene. L’amore a Cristo, intravvisto nei segni liturgici in televisione, cercato nella Bibbia e nei libri, scoperto nei volti, nelle parole e nei gesti dei fratelli.
Ciascuno sperimenta la propria insufficienza e incapacità. E tutto diventa dono: la solitudine, la responsabilità, il tempo, gli altri, il pane che comperi e la torta del compleanno, la Messa solitaria o condivisa. Questo cristianesimo povero aizza la persona, apre la domanda, scioglie gli inceppi dei caratteri e gli equivoci delle reciproche pretese. Camminando nel deserto, tenda e borraccia e compagnia diventano essenziali.
Ricerchi volti che aiutano a vivere; non appena per far passare la tristezza o la noia della reclusione in casa, ma per svelare il Volto di Chi ti ama. Ti ritrovi parte di un popolo con cui camminare lieto anche dentro il dramma. Ti commuove quello che accade alla Chiesa, con schiere di persone che partecipano col Papa alla Messa del mattino, e seguono i vescovi per l’affidamento a Maria. Guardi chi segue i figli o lavora da casa o fuori, non smette di servire i vecchi e nuovi poveri che questo isolamento crea. Una Chiesa di preghiera e carità, animata dallo Spirito Santo e redenta da Gesù Cristo, fatta di peccatori perdonati. Una Chiesa povera come l’acqua della fontanella nel sentiero di montagna: non ne puoi fare a meno. Nella solitudine dei giorni che scorrono, intravvedi all’orizzonte la carovana del popolo in cammino verso la santa città di Dio.

L’EUCARISTIA CHE CELEBRIAMO

Ogni mattina, a conclusione della Messa e dell'adorazione a Santa Marta, Papa Francesco innalza l’ostensorio e traccia la croce della benedizione eucaristica. Quando mi accade di essere presente, mi viene naturale mettermi in ginocchio davanti al televisore. Inevitabilmente, in quel momento il pensiero mi corre alla vicina chiesa parrocchiale dove, da mane a sera, brilla l’ostensorio con Gesù Eucaristia; davanti all’ostensorio sta la Bibbia aperta. I segni mostrano e parlano anche nella loro staticità, e il loro richiamo supera la potenza dell’immagine televisiva.

L’altro giorno un amico, entrato casualmente nella stessa chiesa, mi telefona: “Sorpresa e meraviglia! Qui in chiesa è esposto il Santissimo. Stupenda occasione per fare un po’ di adorazione. Ecco cosa ci manca. Sì, seguiamo la messa del Papa ogni giorno. Che grazia! Sì, abbiamo ripreso l’antica pratica della comunione spirituale. Ma quando potremo mangiare il Suo Corpo? Intanto ci stiamo preparando alla Confessione, dopo una lunga, lunghissima ma stupenda, quaresima”.

A me l’Eucaristia non manca. Nella quotidiana celebrazione in casa, non mi manca la realtà fisica del pane e del vino; non mi manca il ‘contenuto’ che è il corpo e il sangue di Cristo. Tuttavia, a me e agli altri sacerdoti manca la visibilità di quello che il sacramento eucaristico realizza: manca il corpo di Cristo che è la Chiesa, manca la comunità cristiana, le persone vive e presenti, che manifestano Cristo risorto. Quando lo sguardo all’Eucaristia è costretto a fermarsi alle ‘specie eucaristiche’, non ne rende palese il frutto, che può essere intravvisto solo con la memoria e la fantasia. Come Dante – se è lecito il salto triplo di questo paragone - che nel suo viaggio ultraterreno abbraccia le ombre e stringe il vuoto. Per non rimanere mortificato in una chiesa solo virtuale, dovrò accorgermi che il sacrificio di Cristo, espresso nel pane e nel vino, contiene già il sacrificio della vita mia e di tutti i cristiani coinvolti nel mistero della sua vita, morte, risurrezione. Il sacrificio di Cristo celebrato ogni giorno nel chiuso della casa contiene il corpo e il sangue dei cristiani e dei martiri. Con personale commozione vado a riprendere dagli studi giovanili una lettera del vescovo Cipriano di Cartagine ai cristiani imprigionati, per i quali non era più possibile la celebrazione dell’Eucaristia: “Non dovete soffrire per il fatto che ora non viene più concessa ai sacerdoti di Dio la facoltà di offrire e celebrare presso di voi i sacrifici divini. Voi celebrate e offrite a Dio un sacrificio ugualmente prezioso e glorioso… giorno e notte senza interruzione, divenuti ormai ostie per il Signore e offrendo voi stessi come sante e immacolate vittime…”.    Anche oggi il mistero di Cristo celebrato nell’Eucaristia, riappare vivo e reale nella Chiesa visibile e presente.

 

 

LA SORPRESA DI EMMAUS

Avviene soprattutto grazie a due provocazioni che vengono attuate dall’azione dello Spirito Santo nel mondo e nel cuore delle persone: la bellezza e l’amore-amicizia. Il cuore viene ridestato da un punto fuori di noi, da una cosa bella che ci attrae, da un amore che ci affascina.
Un incontro, un’attrattiva vincente, che ci ha provocato e continua a provocarci.
Un luogo, un fatto, una persona, una comunità, una compagnia di amici, un frammento di vita, squarciano il velo dell’individualismo, aprono il cuore e la mente a riconoscere Cristo che ci viene incontro, ci prendono per mano, e lungo la strada ci accompagnano, ci sostengono, ci spiegano, si svelano e ci donano la certezza che è Lui la vita e la salvezza. Accade improvvisamente e insperatamente.

Angelo Busetto
LA SCOPERTA CHE INCANTA
Bellissima Quaresima
Ed Itaca 2020
Citazione pag 117-118

CON OCCHI NUOVI

Stiamo imparando – o dovremmo imparare – un sacco di cose in questi mesi di coronavirus. In capo a tutto: facciamo esercizio di mortificazione, per la impossibilità di ricevere l'eucarestia e gli altri sacramenti, per la riduzione del giro di contatti e imprese, dell’espressività, della compagnia e della Chiesa visibile e toccabile. Abbiamo preso confidenza con il silenzio, con la preghiera personale e familiare, l’ascolto e la lettura della parola di Dio. Abbiamo imparato a destreggiarci con computer e cellulari, che svelano un mondo senza confini. Il tunnel della reclusione casalinga ci ha condotti a scoprire tanti piccoli e grandi segreti della vita. Andrà tutto bene, quindi!!!???
Intanto le membra si rattrappiscono e il cuore sembra rallentare i battiti, mancandoci lo sguardo vivo, il sorriso presente, la stretta di mano, la compagnia reale. Ed ecco viene ad accompagnarmi la lettura della biografia romanzata ma vera della prigionia del Cardinale vietnamita Van Thuan. Nell’estrema fedeltà a Gesù e in un’immensa capacità di amare, sorprende il suo rapporto con l’Eucaristia. Senza un luogo adatto, senza libri e paramenti, senza calice e patena, celebra la messa usando con vari sotterfugi briciole di pane e gocce di vino. La Chiesa è sacramento e comunità. Senza sacramento che si tocca e si mangia, diventa ‘virale’ e virtuale – dice Francesco - e svanisce; senza comunità che incontra, il vigore della persona decade.
E allora? Tanta voglia di ‘ritornare come prima’? Proviamo a ragionarci su. Padre Cantalamessa predicatore della Casa Pontificia, Venerdì santo diceva che non si può tornare a vivere come Lazzaro, dalla morte alla stessa vita di prima, e poi muore di nuovo; occorre risorgere come Gesù, per una vita piena ed eterna. Domandiamo la grazia dello Spirito Santo, ricevuto nel Battesimo e nella Cresima, perché ‘questa vita che viviamo nella carne, la viviamo nella fede del Signore Gesù’: uomini nuovi, non piegati ai dettami del qualunquismo, non logorati dall’abitudine. Non abbiamo ancora scoperto tutta la meraviglia dell’essere cristiano ma l’abbiamo appena indossata come un vestito posticcio. Possiamo rinascere ogni giorno come bambini che guardano attorno e si meravigliano di tutto; sorridono al padre e alla madre, afferrano oggetti e gongolano davanti al cibo e ai colori. Si rinnova la coscienza di noi stessi, lo slancio della nostra identità; occhi aperti e mani protese verso chi ci testimonia l’amore a Cristo attraverso la preghiera e le opere di carità che non ha smesso di compiere. Ripercorriamo il cammino della fede con fedeli e pastori, facendoci discepoli, anzi, familiari di Gesù. Ogni mattina guardiamo in faccia i fratelli e le sorelle della famiglia di Gesù, e incontriamo il mondo degli uomini che vogliono vivere.

Gesù risorge ferito: mani, piedi e costato. Il crocifisso trecentesco che domina il presbiterio del duomo di Chioggia risalta con un incarnato pulito da ogni macchia di sangue, mentre si intravedono appena le ferite dei chiodi. Solo dal petto sgorga un getto di sangue che scende in una breve arcata. È facile notare, soprattutto nelle riproduzioni a stampa, che la figura tende al verde, come verde è lo sfondo sul quale è disegnata la croce. È il «legno verde» di cui parla Gesù nel Vangelo della Passione. È il verde degli alberi dai quali rinasce la vita in questa nuova primavera.

Colui che risorge a Pasqua è il Crocifisso e porta impresse le sue vive ferite, che egli mostra agli Apostoli e nelle quali introduce il dito di Tommaso. La Pasqua non cancella le ferite, ma le esalta come feritoie dalle quali promana la luce, come germogli di vita nuova….

da:

Angelo Busetto

LA SCOPERTA CHE INCANTA

Bellissima Quaresima

Ed Itaca 2020

Citazione da pag. 124

Un fatto che accade sotto i tuoi occhi. Una realtà alla quale partecipi. Come quando uno vede una bella donna passare, e si volta; o un bambino che sorride, e si ferma; o la luna grande in cielo nelle sere precedenti la Pasqua, e si incanta. Qualcosa – Qualcuno – che ti tocca.
Quando Gesù passava, la gente non solo si fermava a guardarlo, ma gli andava dietro. I suoi amici, al ritorno dalle spese nel villaggio, lo vedono parlare con una donna al pozzo. Quelli che sono nella stanza, qualche giorno prima di Pasqua, percepiscono il profumo di nardo versato da Maria sui piedi di Gesù. Odono la sua voce, vedono il suo volto, incontrano il suo sguardo, intuiscono il suo cuore. Riconoscendolo come Figlio di Dio, non alzano gli occhi al cielo ma guardano Lui. Quando Tommaso esclama: “Mio Signore e mio Dio”, non sprofonda nel suo proprio intimo, ma tocca la ferita dell’Uomo Crocifisso.
“Quel Gesù…”: un individuo riconoscibile, un uomo concreto. Uno che ama, chiama, piange, patisce. Morto nel tormento della croce; la sua figura impressa negli occhi della Madre, di Giovanni, della Maddalena. Il lenzuolo lo avvolge nel sepolcro segnando l’immagine del suo corpo disteso, scritta con il suo sangue e con la folgore della risurrezione.
Con il corpo risorto Egli siede alla destra del Padre nei cieli. Il vento dello Spirito unifica in Lui coloro che nell’acqua del Battesimo attraversano la sua morte e risurrezione, e costituiscono il popolo dei poveri e dei peccatori salvati. Diventiamo membra del suo corpo glorioso partecipando al banchetto del pane e del vino. Non aderiamo appena alla sua parola, ma alla sua persona.
In questi giorni privi del suo cibo e bevanda, Egli ci raggiunge attraverso i cristiani che lo testimoniano in una vita cambiata. Presente in famiglia, nel lavoro, nelle persone malate, nei medici e infermieri, nei volti di quanti incrociamo facendo la spesa, in una visita lampo in chiesa. Entra nelle nostre vite con il riflesso virtuale dei sacramenti, con la parola vissuta, con la preghiera. Nasce un rapporto reale tra Lui e noi, tra Lui e me.
“Il suo corpo, il suo medesimo corpo; il suo sangue, il suo medesimo sangue”, canta il poeta Péguy. La sua presenza reale ci accompagna nei giorni che trascorrono. Non guarisce appena le malattie dell’anima, ma dona un corpo risuscitato.
Cristo è un fatto che continua ad accadere nel suo corpo reale, tocca i nostri paesi, percorre le nostre piazze, entra nelle nostre case. La Maddalena lo riconosce in un incontro imprevisto: "Rabbuni, maestro caro". Oggi e sempre lo incontriamo e lo riconosciamo: SEI TU, SIGNORE GESU’!

A tutti i miei 'AMICI DI VANGELO'
un vivissimo augurio di BUONA PASQUA!

CANTO PASQUALE
La Pasqua è l’avvenimento che diventa una nuova origine di tutto. Tutto ricomincia con la Pasqua. I Dodici e altre persone con loro, tra cui le donne che seguivano il Signore, avevano incontrato un uomo per il quale avevano lasciato tutto, disposti a dare la vita, come diceva Pietro.
…Arriva la grande delusione, la cattura, la condanna, la croce. Gli amici non hanno il coraggio di seguire Gesù fino a questo punto, e per lui rimane solo l’affetto delle donne e l’attaccamento del discepolo amato. È la delusione che esprimono i due discepoli di Emmaus: «Speravamo!». Il velo dell’incredulità impaurisce gli Apostoli rinchiusi nel cenacolo, annebbia gli occhi e copre il cuore di Tommaso. Un’esperienza amata, ritenuta stabile e vissuta come una festa di nozze, si rompe tra le mani e manda tutto in confusione. Che cosa regge l’urto del tempo? Che cosa tiene nel vortice di circostanze negative o drammatiche, di delusioni, disperazioni, vuoti?
Che cosa dura?
Solo un avvenimento definitivo, che ci incontri nella nostra delusione e permanga nel tempo della vita, ci può salvare.
È quel che accade a Pasqua. Gesù si presenta vivo, capace di incontro, di misericordia, di dono. Un avvenimento inaudito tocca la vita delle persone e la cambia.

Angelo Busetto
LA SCOPERTA CHE INCANTA
Bellissima Quaresima
Ed Itaca 2020
Citazioni dalle pagine 95-97

UN MONDO CHE CAMBIA

La bora, la pioggia, il freddo, la neve nello sbocciare della primavera. Le strade vuote, gli ospedali pieni, i camici bianchi come palombari che scendono negli abissi. Una Quaresima di quarantena avvolge il mondo e lo pugnala alle spalle come un traditore. Svanisce la boria e si interrompono le sfilate di moda. Un universo immobile cerca le stelle.
Sotto una fitta pioggerellina che bagna il selciato e accarezza il Crocifisso, un grande silenzio abbraccia piazza San Pietro e fascia di preghiera il mondo. Da ogni angolo gli sguardi si concentrano sull'uomo vestito di bianco che ansimando incede per la lieve gradinata, parla al mondo, lo trafigge nel suo peccato, lo risana nella misericordia, lo rinsalda nella carità. Tutti ci conduce davanti all’immagine di Maria e a baciare il piede del crocifisso grondante di sangue e di pioggia. Quante persone da tutti i meridiani e i paralleli si concentrano in un unico sguardo? Domande e speranze, ferite e sconfitte, deposte davanti alla grande Presenza nell’Eucaristia. Uno squarcio di luce sulle nubi che avvolgono il mondo. “Alzo gli occhi verso il monte: da dove mi verrà l’aiuto. Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra”. Non solo l’emittente cattolica, ma anche il primo canale della televisione pubblica e non so quanti altri sistemi di collegamento, avvincono persone dai quattro angoli del mondo, a seguire i passi stanchi e decisi dell’uomo che ci conduce a Dio. La Messa del mattino celebrata dal Papa è trasmessa in diretta anche da Rai1, e si prolunga fino al lungo silenzio dell’adorazione e della benedizione. Nuovi spazi sui quali non rimbalzano più solo chiacchiere di intrattenitori e beghe di ospiti, ma si distende il bene della preghiera, il conforto della Parola, la mano che benedice. Gesti inusitati, ignoti o dimenticai risalgono alla superficie dell’anima, abbracciano e consolano. Una grande occasione perché Cristo sia mostrato, guardato, raccontato, scoperto. Che cosa abbiamo perso vivendo, che cosa stiamo ora guadagnando in questi nuovi drammatici percorsi? Per quale strada si procede alla conquista di se stessi, per quale corsia si aiutano i malati, per quale via si va al cielo?
L’inquinamento dell’aria diminuisce, le acque del mare si ripuliscono, in laguna tornano a guizzare i pesci. Nelle case si torna a stare insieme. Finirà? Finirà questo male che incute paura e sgretola gli idoli: denaro e successo, possesso e privilegi, corrosi dal virus invisibile come veleno di satana. Finirà questo male, ma non finiscano umiltà, dedizione, riconoscenza, semplicità, sobrietà, verità. Non finisca la preghiera rivolta al Dio della vita, non si esaurisca il desiderio dell’abbraccio e dell’incontro, non ceda il dono di sé per il bene di tutti.