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UNA CORRENTE DI VITA

A tratti il cellulare vibra con messaggini che si sovrappongono l'uno all'altro. Il più delle volte non si tratta di comunicazioni personali, ma di annunci, testimonianze, spezzoni di filmati con i quali amici e conoscenti attraversano l'atmosfera cupa di queste settimane. Una sera i consigli rimbalzano dal monastero di Nostra Signora della Moldava, vicino a Praga; l'abbadessa Madre Lucia, originaria di Adria - dalla quale questo luogo è nato e fiorisce per gemmazione del monastero di Vitorchiano - suggerisce la meditazione di alcuni salmi di invocazione nella prova. Questo richiamo incrocia la mia lettura continua della Bibbia, proprio nei giorni in cui percorro le pagine dei salmi. L’invito a ‘pregare sempre’ richiama i Racconti del pellegrino russo, - incontrati in giovinezza e ultimamente ripresi – come programma e scopo della vita. Nel contesto della formidabile restrizione imposta dalla circostanza drammatica che tutti ci avvolge, diventa sperimentabile la comunione dei santi nell’orizzonte sconfinato di tanti uomini e donne. I giorni che si annunciavano vuoti e tristi, non si lasciano sommergere dall’ossessione della ricerca degli ultimi aggiornamenti sulla diffusione del virus, ma respirano per nuove scoperte. I testi di preghiera, i suggerimenti e le proposte che arrivano dalla diocesi e in particolare dal vescovo, si intrecciano con il commento mattiniero dell’Angelus che un sacerdote amico, uscito dall’epidemia, rilancia con i testi di don Giussani, mentre alla sera sorprendono i brevi commenti del vescovo Camisasca su figure e testi letterari. Molti messaggi invitano a pregare per questa persona e per quella, sottoposte alla prova del virus, in via di guarigione oppure alla conclusione della vita. Un intero mondo sotto traccia sale in superficie e si svela. Emozionanti le testimonianze delle persone impegnate in prima linea – medici, infermieri e personale vario – negli ospedali e nei servizi corrispondenti, e che rivelano una dedizione e una umanità sorprendenti. Dove eravamo quando ci lamentavamo del mondo cattivo? Dove eravamo quando, avendo la possibilità di incontrarci, ci chiudevamo nel nostro piccolo mondo? La situazione creata dal coronavirus apre inediti percorsi e offre possibilità inusitate, nella scoperta del valore della vita, nella ricerca delle relazioni, nella ripresa dei rapporti familiari, nelle inedite forme di lavoro, di istruzione e di accompagnamento nella preghiera e nel cammino di fede. Come se dilagasse un fiume di umanità e di verità, per una nuova fioritura della speranza. Così è accaduto tante volte nella storia dell’umanità e nella vita della Chiesa. Papa Francesco ne rappresenta la punta di diamante: con gesti semplici o clamorosi, e nella celebrazione della Messa mattutina a Santa Marta, annuncia che il nostro è un Dio vicino che accompagna il suo popolo.

NB. Dipinto di Renzo Nordio, ricevuto il 23.04.2020

NELLA STESSA BARCA

Tutti nella stessa barca. Non ci sono più ricchi e poveri, buoni e cattivi, italiani e stranieri. Nessuno che possa cavarsene fuori o valere più degli altri. La pandemia percorre il mondo e imbarca tutti senza distinzioni e differenze. Il coronavirus rivela la comune natura umana e l’uguale condizione che tutti ci caratterizza. Una bella scoperta, alla quale il cristianesimo aveva già orientato il mondo e alla quale popoli e persone aspirano. Ora è un dato di fatto.

Per grazia ricevuta, i discepoli di Gesù sanno che nella stessa barca è salito pure Lui e ancora dopo 20 secoli naviga con noi, avendo Egli avuto la bella ventura di risorgere e rimanere vivo. Nella prima barca nella quale Gesù attraversa il lago-mare di Galilea, i discepoli non lo badano, lo lasciano dormire a poppa, ma all’insorgere della tempesta lo svegliano e lo rimbrottano: “Maestro, non t’importa che periamo?” Un’altra volta, sullo stesso lago e forse sulla stessa barca, i discepoli continuano a lamentarsi di non avere il pane per mangiare. Gesù li guarda e li rimprovera: “Non ricordate quante volte avete mangiato il pane moltiplicato?”    Chissà se oggi, nel mezzo della tempesta del coronavirus, noi cristiani siamo così certi che Gesù è con noi. Chissà se ricordiamo il miracolo della nostra nascita e del dono della fede che ha cambiato l’orizzonte della nostra vita. Ci pervade un sussulto ogni volta che ci imbattiamo in qualcuno che ce ne rinnova la memoria.

In una lettera inviata alla Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julian Carron, dopo aver citato l’episodio del lago, riporta una testimonianza che lo ‘lascia senza parole’:  «D’improvviso sono stata catapultata in trincea. Sembra di essere in guerra. Il mio quotidiano lavorativo e familiare in un giorno è cambiato. Da medico, da mamma, da moglie mi ritrovo a dormire in isolamento da mio marito, a non vedere i miei figli da due settimane, a non poter avere un contatto diretto con il paziente. Tra me e i miei malati c’è una maschera, una visiera e il loro scafandro. Spesso sono anziani che vivono da soli questo momento. Hanno paura…. Entro in reparto, cerco un sorriso e l’abbraccio di un’infermiera amica… E posso abbracciare solo loro. La certezza che sostiene la nostra vita è un legame, e c’è un cammino da fare per arrivare a questa certezza affettiva. Le circostanze ci sono date per attaccarci più a Lui, che ci sta chiamando in un modo misterioso. La fede è fidarsi che Lui ci sta chiamando. … È questa certezza che posso dare ai miei malati, ai parenti, oltre che fornire le cure mediche». Nella stessa barca tutti, ma con Lui.

CAMMINO DI SPERANZA

Quando, sul finire dell'autunno, mi facevo catturare dalle pagine de La peste, il romanzo che meritò il Nobel a Camus, mi colpiva la puntuale, progressiva descrizione di una situazione talmente paradossale da sembrare frutto di fantasia. Tutti gli abitanti di Orano, città algerina, improvvisamente rinchiusi in casa, ogni attività sospesa, impossibile entrare o uscire dalla città, i topi, dapprima trovati morti per le scale dei condomini o all'interno degli appartamenti e poi a frotte sulle strade e lungo le rive del fiume. Camus descrive una città immota, con tanti personaggi colti di sorpresa, sbigottiti e incerti. Tra loro, alcuni ‘eroi’ e indifferenti che tentano di trascinare una vita ‘normale’. Protagonista suprema, la peste produce una vasta moria progressiva, tale da evocare il racconto della peste di Manzoni nei Promessi Sposi.

In questi giorni, non una sola città, ma vasti territori che man mano si estendono, vengono sottoposti a restrizioni, mentre le persone subiscono la paura del ‘contagio’. E’ ben vero che la peste descritta da Camus, come quelle che hanno attraversato nei secoli l’Europa e il mondo, produceva un gran numero enorme di morti, con rapidità indomabile. Oggi i decessi sono limitati e tuttavia sempre drammatici e sconvolgenti. Il danno più esteso riguarda il blocco delle attività lavorative, degli scambi commerciali, delle scuole, delle celebrazioni religiose. Un mondo di persone, di appuntamenti, di occasioni viene progressivamente a occultarsi; paesi e città si svuotano come d’estate, ma la gente non è in vacanza e si acquatta nelle case, forse indugia a letto, o si pianta davanti al televisore e al computer o maneggia il cellulare. Magari scopre un nuovo modo di vivere, di incontrare, di pregare. Mai come in questi giorni internet e whatsapp, insieme con altri social, sono una grazia, e vengono usati come canali di amicizia, comunicatori di suggerimenti e di speranza. Ragazzi, giovani, insegnanti, famiglie, scoprono in distanza un nuovo modo di imparare e di viveri la compagnia, pur con immancabili equivoci e intrighi. La casa, i rapporti in famiglia, i contatti con pochi amici, sono vissuti con intensa gratuità. Gli spazi dilatati di mattine, pomeriggi, serate scoprono nuovi panorami e inaugurano nuovi percorsi. Sbuca dalla libreria la perla di un libro prezioso lasciato dormire per decenni, e il lavorio personale di lettura e meditazione non scantona più negli alibi del tempo che manca. Certo, ci assilla il dramma del mondo attorno, dei poveri senza difesa, dei migranti senza asilo, dei giovani smarriti. Puoi pregare, impostare qualche gesto di carità, muovere il cuore. Dalle calamità e dalle tragedie del passato sono sorti templi e sono nate formidabili imprese di carità, un nuovo sentimento di abbandono a Dio e ai suoi santi. La speranza cristiana apre le porte.

UNA STRANA ASTINENZA
Nella casa dove abito non giunge il suono delle campane, ormai ancora più ridotto in questi giorni di ‘astinenza e di digiuno’ liturgico. Le campane tuttavia non spandono virus e sarebbe bello per i cristiani e per la gente intorno, sentirle risuonare non solo per i tre Angelus della giornata – mattina, mezzogiorno, sera – ma anche in rapporto agli orari consueti delle Messe, come quel parroco che fin da subito ha avvisato i suoi parrocchiani: “Io continuo a celebrare in Chiesa anche da solo. Voi unitevi con la vostra personale preghiera”. Non siamo diventati improvvisamente un paese di atei, o di indifferenti, o di gente finalmente liberata dall’obbligo settimanale della Messa. La coincidenza dell’inizio della Quaresima, con la perdita della celebrazione del Mercoledì delle Ceneri e della prima domenica di Quaresima, viene avvertita come una ferita che taglia il cuore. Il distacco dalla celebrazione liturgica crea un vuoto nell’anima e invoca un segno, un richiamo, una compagnia. “Non possiamo vivere senza la Domenica”, cioè senza l’Eucaristia celebrata: diventa nostro il grido dei cristiani di Abilene privati dell’Eucaristia e perseguitati a morte dal potere imperiale. Non possiamo vivere senza la compagnia della comunità reale. Imprevedibilmente ci troviamo a vivere una situazione che richiama alcuni tratti di quanto hanno vissuto i cristiani perseguitati nel passato antico o recente, e di quanto stanno vivendo altri cristiani oggi: i cristiani giapponesi senza prete e senza eucaristia per duecento anni, e i cristiani dell’Amazzonia che il prete lo vedono qualche volta in un anno…

Non ci domandiamo quanto questa restrizione ‘liturgica’ possa essere realmente efficace, soprattutto mettendola in paragone con il contemporaneo libero accesso a mercati, supermercati, centri commerciali e altri luoghi di pubblica frequentazione. Quel che ci interessa è ricavarne tutto il bene possibile, come desideriamo per tutte le circostanze che ci si presentano nella vita. E’ quel che il vescovo ci sollecita a vivere, in questa inedita possibilità di sperimentare la ‘chiesa domestica’. E il prete, come si sente in questi giorni? Potrebbe considerarli come insperati giorni di vacanza. Ma non ci riesce. La vacanza è quanto esci da un ‘lavoro’ che permane, non quando il ‘lavoro’ non c’è, la comunità svanisce, gli incontri spariscono… Inevitabile un senso di vuoto, una viva percezione di assenza, di mancanza. E’ una grossa corteccia da superare per entrare nella linfa viva che continua a scorrere, e fa pressione nelle vene. La coltivazione del cuore e della mente, attraverso il silenzio, la preghiera, la solitudine, la lettura, è una grazia capace di generare nuova vita.

COME UNA VALANGA

Il primo paragone è la valanga che si precipita sulla casa e la sommerge, bloccando le uscite. Non siamo ancora a questo punto, potremo uscire e respirare, potremo andare ancora quasi tutti nel nostro luogo di lavoro o trafficare in casa, leggere, scrivere, combinare tante cose. Il secondo paragone è l’acqua alta di novembre, improvvisa e feroce. Magari questa volta la mano che ci schiaffeggia è coperta da un soffice guanto di velluto, ma il virus ci condizionerà assai più che le ventiquattr’ore dell’acqua stagnante. Sembrano i tempi di guerra, col coprifuoco, quando, la sera, la mamma ci chiudeva in casa e stagnava con degli stracci le fessure dei balconi perché l’aeroplano Pippo che ci volava in testa non individuasse dei punti luce sui quali buttare le bombe. Così prescrizioni e limitazioni tentano di chiudere i buchi della diffusione del coronavirus.
Ce la faremo a vivere così?
Intanto bisogna darci una buona calmata. Tutto l’affanno per le cose da fare, gli impegni, gli incontri, i programmi, le iniziative, le proposte, improvvisamente si spompano come il pallone stratosferico rimasto senza gas. Diventeremo o più pigri o più essenziali: questa è l’alternativa. Impareremo a capire il vero scopo delle cose? per che cosa vale la pena vivere? Potremo sgomberare cervello e cuore dalle utopie che ci assediano e ci riempiono. Purché la perdita del trampolino di lancio non ci sprofondi nella depressione. Magari, ci fiorirà addosso una bella nostalgia per le nostre chiese piene nel Mercoledì delle ceneri, proveremo il desiderio di ricevere tanta cenere in testa, e non vedremo l’ora che ancora le chiese si riempiano come una volta.
Gli altri ci sono necessari: la comunità, la preghiera insieme, il canto, l’altare, le letture, le prediche anche lunghe o un po’ sbilenche e soprattutto il tabernacolo che custodisce il tesoro più prezioso, Cristo stesso. La Chiesa, amata e ricercata, ci accompagna a vivere ogni circostanza.
C’è poi la scappatoia di internet. Lì la Messa continua, il canto, i volti, le parole, le canzoni, l’intreccio, lo scambio, i messaggi corrono e si intersecano come motoscafi in laguna.
Il pericolo più grave è la solitudine, la tentazione di chiudersi in casa, abbassando le saracinesche; rimanere soli con se stessi, non per la grazia del silenzio e della vita interiore, ma nell’abisso che succhia l’anima giorno per giorno.
Sarà bello invece ritrovare – lontani gli uni dagli altri ma stretti in comunione - il palpito della preghiera, il ritmo del Rosario, la cadenza dell’Angelus, la puntualità del Vangelo mattutino. Una rete di Angeli attraversa l’etere e ci mette in comunione con Dio e con gli uomini. Riaccendendo il desiderio di guardarsi finalmente in faccia, di ritrovarsi gomito a gomito, di darsi una poderosa stretta di mano e un abbraccio grande grande….

Oggi ho visto una cosa incredibile. Un miracolo. Mai visto niente di simile in tanti anni di sacerdozio. Cosa può fare un prete! La fede di un prete!                      Certo che Dio si è comportato come un allenatore di calcio che fa uscire il migliore giocatore in campo prima del fischio finale perché tutto lo stadio lo acclami in una standing ovation... perché tutti se ne accorgano della sua genialità...in questo caso santità... canto, omelia e popolo come pure il ricordo finale di Venerucci hanno dato spessore ad un evento di fede incredibile. Dio oggi ci ha detto che ci vuole bene. Tanto bene. Buona notte

don Lino Mazzocco

12.02.2020

Accompagniamo don Pierangelo all'incontro con il Signore:

Domani, Martedì 11 febbraio ore 18,30 il vescovo Adriano celebra nella Chiesa della Madonna di Lourdes a Sottomarina, presente la salma di don Pierangelo, che verrà poi portata nella Chiesa di San Martino.

Mercoledì 12 febbraio ore 10 Santa Messa funebre celebrata dal Vescovo e sacerdoti, nella Chiesa di San Martino a Sottomarina.

Don Antonio, il prete di san Marco

Don Antonio Meneguolo, morto nelle prime ore di mercoledì 29 gennaio, era canonico, arcidiacono e delegato patriarcale per la basilica di San Marco a Venezia. Aveva radici parentali anche nella nostra diocesi di Chioggia, dove aveva trascorso alcuni anni da ragazzo dopo la morte precoce del padre, entrando poi nel nostro seminario. Trasferito definitivamente a Venezia, da giovane seminarista continuava a frequentare in estate la parrocchia di Contarina, con un fervore e una diligenza che colpivano le persone.

Conservo di lui alcuni ricordi occasionali e nello stesso tempo intensi. Notavo in lui la struttura del principe e l’affabilità dell’amico. Esperto come uno studioso, libero come un veneziano. Raccontava la Basilica di San Marco come l’avesse costruita lui, era la sua grande casa. L’incontro con il movimento di Comunione e liberazione aveva arricchito la sua personalità di una intensa sensibilità storica ed esistenziale, che gli permetteva di valorizzare ogni cosa e ogni persona scovandola nella sua origine e collocandola nel suo orizzonte. Conosceva la sua Basilica e la mostrava a frotte di visitatori, appassionati o estranei, la leggeva, l’apprezzava, la scrutava nei filamenti delle nervature, nell’ampiezza delle volte, nell’armonia dei mosaici che davanti al suo sguardo raccontavano storie e si animavano di personaggi. Don Antonio sapeva incontrare, dare valore a chi lo avvicinava, con misura e senza perderne la memoria. L’ultima volta l’ho intercettato nel settembre scorso insieme con alcuni amici preti, alla fine della Messa del mattino celebrata all’altare centrale di San Marco. L’abbiamo raggiunto in sacrestia e lui ci ha fatto festa. Sostenendosi col bastone, ci ha dedicato una preziosissima mezz’ora portandoci davanti alla Pala d’oro e alle colonne dell’altare e raccontandocene la storia. Ci siamo salutati all’esterno della basilica, alla porta laterale che dà sulla piazzetta dei leoni, dove lo ha raggiunto la donna che lo sosteneva nel laborioso cammino della sua malattia.

La Messa delle esequie di don Meneguolo è stata celebrata lunedì mattina 3 febbraio nella basilica di San Marco. Un lunghissimo corteo di sacerdoti ha percorso il corridoio centrale della Chiesa alzando lo sguardo alle cupole dorate dei mosaici, accompagnato dal canto gregoriano del Requiem.  L'omelia del Patriarca Francesco ha aperto il cuore dei fedeli alla bellezza di Cristo, nella quale don Antonio aveva introdotto tante persone come guida esperta nell'arte della fede. Alla fine della celebrazione un rappresentante del personale impegnato nella cura della Basilica di San Marco ha ringraziato don Antonio per la paternità e la precisione della sua presenza. La bara è stata accompagnata con una lunga processione fino alla riva del canale esterno, per il trasporto al cimitero. La splendida cornice di San Marco, con la basilica, la piazza, la riva, e la partecipazione affettuosa e composta del popolo di Dio, è diventata preludio all'ingresso nella grande Casa del Paradiso. "

CELIBATO: AIUTIAMOCI a CAPIRE

Sul finire dell’estate ho ricevuto dal vescovo emerito Cesare Bonivento, amico fin dai banchi della Scuola Media pubblica e poi dal Seminario, il suo secondo libro dedicato al celibato sacerdotale, con un esame puntuale dei documenti del Concilio Vaticano II e di quanto ne è seguito; nel primo libro il vescovo, ancora nel pieno della sua missione in Papua Nuova Guinea, aveva esaminato il percorso storico del celibato. Ambedue le pubblicazioni propongono con precisione e acutezza il valore del celibato sacerdotale. Mi sono servite come buon paragone rispetto al Sinodo sull'Amazzonia, specialmente per quanto riguarda la proposta dell’ammissione al sacerdozio di ‘viri probati’ delle popolazioni indigene, nella loro condizione di coniugati. Il documento conclusivo del Sinodo ha ventilato questa possibilità, demandando tuttavia la questione ad ulteriori approfondimenti e alla decisione di Papa Francesco. ...continua a leggere "IL CELIBATO DEI SACERDOTI"