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Dell'ultima guerra, ottant'anni fa, tre immagini che continuano a scorrermi nel film della memoria. La prima è quando con la famiglia siamo andati ad abitare da amici, lontano dal cantiere navale vicino a casa, un sito a rischio. La seconda è quando mia sorella grande mi prese per mano e mi portò a vedere le macerie delle case crollate sotto le bombe, dove erano morte delle persone; guardandola dissi: “Adesso è finita la guerra!?”, come immaginando che quello era il disastro definitivo. La terza è il bombardamento del vaporetto della linea Chioggia-Pellestrina di fronte a casa mia, ore 13 del 13 ottobre 1944: scoppio di bombe, feriti nell’acqua arrossata dal sangue, i soccorsi con barche e a terra, e poi il relitto rimasto per anni a violentare lo specchio di laguna di fronte alla Chiesa.

Negli anni che seguirono, una pace generalizzata, a parte la ‘vicina’ Serbia nel 1999, aveva relegato la guerra in regioni lontane e misteriose.

In questi giorni, la guerra ci è rientrata in casa, richiamando in modo più drammatico le mie tre immagini simbolo: sfollamento, abbattimento di edifici, sventramento di strutture e mezzi di trasporto. Da mattina a sera il televisore rimbomba di carri armati, sirene, gente in fuga o accampata nei rifugi. La difesa delle città è strenua, drammatica, eroica. Chi ha ‘ordinato’ questa guerra e la sostiene, vede queste immagini? Gli occhi di ghiaccio di Putin e il suo cuore di sasso annunciano che ‘il peggio deve ancora venire’.

Eppure, provocato da questa insana tragedia, sta accadendo un miracolo di vita nuova.  Dalle cronache è sparita - quasi - la pandemia; molte nazioni si uniscono nella condanna della guerra e nella solidarietà; chi fugge non trova reticolati alle frontiere ma accoglienza e ristoro; camion carichi di cibo, medicine, vestiti partono dall’Italia e da altre parti verso l’Ucraina. La geografia dell’Europa si allarga a una nuova conoscenza dell’Est. Case, cuori, portafogli, strutture religiose e laiche si aprono all’ospitalità e all’aiuto; le donne ucraine a servizio dei nostri anziani ci sono di più sorelle. Il nome di Dio e della Madonna viene invocato in lingua ucraina e russa; vibra in sottofondo il cuore dei cristiani russi, alcuni dei quali mandano scuse a conoscenti ucraini; in Italia e nel mondo preghiamo con le comunità greco-cattoliche e quelle ortodosse. Una Quaresima di preghiera, digiuno, carità, ci conduce insieme alla risurrezione di Pasqua.

Angelo Busetto

Editoriale sul settimanale 'NUOVA SCINTILLA' del 13 marzo 2022,

in uscita il 10 marzo 2022

Ricordarlo in prima fila sul banco nel corso di cristologia, e poi vederlo nel seggio vescovile della cattedrale della tua diocesi, è un bel salto, un bel colpo di emozione. Lo ricordi – sia pure nella nebbia del tempo che scolora le immagini – attento, diligente, intelligente. Non mancava qualche suo acuto intervento. Qualche settimana fa, In un dialogo estemporaneo, lui ricordava il volto massimo - 30 e lode – ricevuto all’esame e aggiungeva un particolare curioso: l’insegnante, avendo dato un’occhiata agli appunti ordinati e chiari che il giovane aveva tra mano, gli chiese: “Me ne lasci una copia?”.

Ora il Maestro è Lui. Dopo aver tanto parlato di Cristo nell’antico corso del quarto anno di teologia del seminario di Padova – con il contorno di qualche spunto sulla Chiesa che viveva nel mondo e sulla piccola chiesa in muratura che cominciava a sorgere alla periferia di Chioggia – mi farò ora discepolo dell’antico alunno divenuto Maestro e Padre con il sacramento dell’episcopato e con la sua ormai lunga esperienza di vita di fede. Insieme ci faremo alunni e discepoli dell’unico Maestro di vita.

Don Angelo Busetto

Don LUIGI NEGRI: UN PRETE per AMICO

Avere un prete per amico è una grazia grande. La sintonia nella vocazione e la simpatia personale aprono allo scambio e alla collaborazione. Mi sono imbattuto in don Negri all’inizio degli anni ’70, e ho continuato a incrociarlo negli incontri con don Giussani e nelle sue rapide puntate a Chioggia. Mi è capitato di partecipare anche a suoi incontri con giovani studenti, per la tre giorni di Pasqua e altre occasioni. Una presenza ardente, un giudizio lucido sulla vita e sui fatti, un eloquio coinvolgente.

Ho visto mordere in lui la passione per Cristo e per la Chiesa. Quando divenne vescovo di San Marino e poi di Ferrara, mi coinvolse in incontri con preti e seminaristi a livello pastorale, teologico e spirituale. Mi sorprendevano la sua fiducia e familiarità e lo stile immediato della sua amicizia, che non risparmiava battute anche graffianti. Sono venuto a conoscenza di alcuni suoi gesti di semplice carità quotidiana, ignoti ai più. Non so quanti libri abbia scritto, quante conferenze abbia tenuto in giro per l’Italia, con freschezza e lucidità. Il paragone con lui sorprendeva per la profondità dell’intelligenza e per le prese di posizione anche audaci. Il legame in Cristo, che supera ogni distanza, mi sospinge a ringraziare il Signore per tutta l’opera missionaria ed educativa di don Luigi Negri.

don Angelo Busetto

 

Ecco, è Natale. E’ esploso nelle luci delle strade e nelle vetrine dei negozi; s’è acceso nel desiderio di buona salute e di libertà. L’abbiamo atteso in un filo di ansiosa speranza che ci ha condotto a questo giorno, il giorno di Natale.

Ma lui, il Natale, cos’è? L’annuncio misterioso che sorprende una ragazza di Nazaret e sconvolge la vita del promesso sposo Giuseppe; germoglia nel grembo della giovane sposa, e nasce nella periferia di Betlemme. Un avvenimento che tocca la vita di chi lo incontra come maestro, medico, amico, e lo riconosce come Figlio di Dio. Una Presenza che attraversa la storia, e arriva fino ad oggi, raggiunge me, te e tante persone con noi.

Non viviamo solo dei riflessi della sua luce, non respiriamo appena la dolcezza dell’aria natalizia, non ci riscalda soltanto l’emozione di un buon sentimento. “In manibus nostris sunt codices, in oculis nostris facta”, scrive Sant’Agostino: abbiamo in mano i libri dei Vangeli che raccontano, abbiamo negli occhi i fatti, il fatto della sua Presenza, della sua Persona.

Come Maria e Giuseppe, i pastori e i magi, gli apostoli e le donne, i santi e poveri, i peccatori e i malati, anche noi oggi lo incontriamo. Più che in un presepio vivente, Egli è un fatto che accade e tocca oggi la nostra vita. Diventa un Amico, un Amore, una Compagnia, nel volto di nostra madre e di nostro padre, nella comunità chiamata Chiesa, nella mano tesa del povero e nel sospiro dell’anziano.

Egli è qui, come il primo giorno, come il primo Natale. Dentro gli avvenimenti della vita, Egli è l’Avvenimento che ci incontra e ci salva. Egli è il Natale, Natale è Gesù.

Don Angelo Busetto

Carissimo amico, carissima amica,

avrai notato che da qualche settimana i contenuti di questo sito sono quasi esclusivamente quelli che si riferiscono ai brevi commenti al Vangelo e alle omelie. Dove sono finiti gli altri interventi?  Da qualche settimana mi sto occupando in presa diretta del settimanale diocesi di Chioggia NUOVA SCINTILLA, che vedi segnalato a destra appena apri questa TRAVERSATA. Qui mi troverai. Spesso con l'editoriale di prima pagina, e con altri interventi nelle pagine interne.

Se hai qualche proposta relativa al giornale o qualche appunto da fare, puoi scrivermi personalmente a  angelobusetto@gmail.com  o anche mandarmi un whatsapp al  n. 3386539107

Grazie!! Una preghiera, gli uni per glli altri,

Un caro saluto

don Angelo Busetto

Un bambino resta nove mesi nel grembo della madre, senza che questa ne veda il volto e ne possa dirigere lo sviluppo. Un albero cresce da un piccolo seme, con le radici che si impiantano sul terreno. Una casa viene costruita scavando le fondamenta e con il reperimento dei materiali, innalzata secondo un disegno precostituito. Ogni persona, ogni cosa, ogni impresa viene alla luce da un lavorio non palese, non ostentato. Come un pranzo di Pasqua che appare clamorosamente in tavola e solo all’intenditore svela l’origine dei prodotti e le modalità della cottura, insieme con la pazienza e l’abilità di chi ha trascorso ore in cucina. Così per tutte le imprese, grani e piccole. Il lavorio necessario per superare un esame, vincere un percorso, stendere una tesi di laurea, arrivare a un traguardo. La vita non è fatta per il tutto e subito, tanto meno per il subito e bene. La vita cresce con pazienza, come avviene per ogni crescita umana delle persone e delle comunità. Un pulcino sgambetta appena uscito dal guscio; un bambino ci mette dieci mesi per arrivare a gattonare. Per un albero ci voglio anni per arrivare a produrre frutti.

E la pazienza di Dio per generare un popolo? La pazienza di Dio per attenderci in Paradiso? La sua caparbietà nel cominciare da capo ad ogni generazione, ad ogni nascita, ad ogni svolta della vita. In Dio la pazienza del tempo va a toccare i confini dell’eternità.

E’ sempre una scoperta intraprendere un nuovo lavoro, che ti a scoprire progressivamente l’origine di uno strumento che avevi in mano bell’e fatto. Come si assembla un computer, come si aggiusta un cellulare, come si assemblano gli elementi di un giocattolo, come si confeziona un vestito, come si confeziona una maglia, come si compongono i capitoli di un libro, le pagine di un giornale… Già, le pagine di un giornale. Mensile, settimanale, quotidiano. Quando le prendi in mano e le sfogli fresche dall’edicola o dalla posta di casa, friggono come pane fresco. Per quante mani è passata questa pagina, per quanti cervelli hanno girato quelle parole, chi ha pensato le idee, chi ha visto i fatti e li ha raccontati, fino a metterli in pagina? E’ un’avventura arrivare a scoprire la sorgente del fiume, come pure accompagnare il suo percorso per boschi e valli e pianure, fino alla discesa a mare. Come un piroscafo, o forse una piccola barchetta che scende in acqua nel varo dal cantiere. Un miracolo che mi affascinava da bambino. Ogni varo di nave o barca mi faceva correre a guardare. Ho ripreso un po’ una vita di cantiere. E attendo di settimana in settimana il varo della nuova barchetta.

 

 

+All’inizio della notte ho visto una flebile luna bianca spuntare dal fondo del mare. Sul far del mattino una splendida luna piena mi attendeva sopra l’acqua della laguna. Come il sole ci corrobora giorno, così la luna ci protegge per tutto l’arco della notte. Il Signore manda a vegliare su di noi la sua sentinella, e sostiene i nostri passi nel cammino della giornata.

LA CAREZZA DEL RISORTO

All’inizio della primavera la luce e il buio tagliano a metà la giornata. Il sole che sorge illumina la strada di chi si reca presto al lavoro; il sole che tramonta accoglie sulla soglia di casa chi ritorna la sera. Fresco di giornata, chi naviga in laguna passando per la linea del porto, vede schiudersi il giorno nel globo che timidamente s’alza sul mare e invade di luce l’acqua e la terra; al tramonto, appesantito dalle ore di lavoro, riceve la carezza del sole nel tenue manto di colori che avvolge il panorama della laguna.
Nascita, resurrezione, consegna, si ripetono ogni giorno.
E’ stato facile per i cristiani riconoscere nel sole il volto luminoso di Cristo: Cristo è il sole che nasce, il sole che splende nel cielo della risurrezione e infine si consegna all’abbraccio del Padre. La selva di problemi che ci opprimono, il groviglio di difficoltà che ci appesantiscono, e tutta la confusione di cose che si intrecciano in cuore, vengono ogni giorno attraversati dalla corrente che si sprigiona dalla Pasqua, inesorabile motore di vita. Se il Natale è la vita che nasce, la Pasqua è la vita che vince la morte. Cristo entra nelle fibre del nostro essere, vive i drammi e le sofferenze della condizione umana e tutto fa passare dagli inferi alla luce. Del sole di Pasqua che è Cristo, noi abbiamo bisogno: per ritrovare il senso delle cose che accadono, rinnovare la speranza del cammino, riprendere le energie della giornata. Che cosa ci determina mentre viviamo? Le limitazioni e i pericoli della pandemia, la protezione della mascherina, la garanzia del vaccino, la speranza di una veloce ripresa? Illuminati da Cristo risorto, riprendiamo a vivere ogni giorno, andiamo a lavorare o restiamo bloccati in casa, portando in cuore e guardando negli occhi le persone.  Spunta dalle nostre chiese – dove ancora il mistero della Pasqua viene celebrato e proclamato - il raggio della Pasqua e si diffonde tra le case e i luoghi di lavoro. La carezza del Risorto passa attraverso le nostre mani, in un gesto o uno sguardo e raggiunge un familiare, un amico, una persona malata, una persona stanca, un compagno di strada, qualcuno che è deluso della vita. Il mondo si rinnova negli occhi dei bambini, negli abbracci delle mamme, nella ripresa dei giovani, nel fiato degli anziani. La Pasqua di resurrezione non è sparita dal calendario cristiano e si presenta sulla riva del tempo come una promessa e una presenza. Il sole di Pasqua si riverbera nel mondo attraverso la testimonianza dei fratelli che sperano e amano. Come un raggio di sole primaverile, la carezza del Risorto illumina e riscalda le nostre povere vite.

don Angelo

Vd Nuova Scintilla  11 aprile 2021 p 13

 

I COLORI DELLA RISURREZIONE

Mi scorre davanti agli occhi l'avvenimento della risurrezione nella sequenza colorata di quattro dipinti famosi.

Nel primo, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro con la velocità e l'affanno di chi è sorpreso da una notizia impossibile, che vuole subito verificare.

 

Il secondo quadro vede i due apostoli all’arrivo al sepolcro, sbigottiti e commossi davanti al lenzuolo che copriva il corpo di Gesù.

Nel terzo dipinto la figura del Risorto si staglia imponente sopra il sepolcro come un monumento di vittoria.

 

Ed ecco nel quarto dipinto la Maddalena protendere le braccia verso Gesù che le si presenta risorto e la allontana mentre quasi la tocca.

Eugène Burnand, nel 1898, Giovanni Francesco Romanelli nel 1640, Piero della Francesca nel 1450, Giotto nel 1303 ci conducono a ritroso nel tempo fino alla corsa della Maddalena e di Pietro e Giovanni, e poi al loro incontro con il Signore, che nessuno ha potuto scorgere nel momento stesso in cui è uscito dal sepolcro. L'istante della risurrezione appartiene al mistero del seme che, morto e sepolto, spunta improvvisamente dal terreno e germoglia alla vita del sole. Da quel primo istante, la risurrezione di Cristo si espande nel tempo e nello spazio come dal primo big-bang che dà origine all’universo. Si insinua nel terriccio del cuore di uomini e donne, e va a germogliare in vaste aree del mondo, fino a condurre la creazione al punto omega della Sua ultima Venuta. Nell’attesa di questa nuova nascita - dice San Paolo - la creazione geme e soffre nelle doglie del parto. “Sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce; spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un'altra via”, racconta Eliot. Le nostre umane ferite sono le ferite del risorto. Nel nostro drammatico ‘frattempo’, Cristo risorto si rende presente. Viene a toccare la storia di tanti piccoli uomini e donne che manifestano nella loro carne risanata un raggio della sua nuova vita. ‘Si rende sperimentabile, per l’uomo di ogni giorno, nella Sua forza redentrice di tutta l’esistenza del singolo e della storia umana, nel cambiamento radicale di chi si imbatte in Lui, e come la Maddalena e i primi discepoli, lo segue”, annuncia don Giussani. “La luce onde s’infiora vostra sustanza, rimarrà con voi etternalmente’ afferma Dante, come “l’orizzonte che si rischiari” sopra e dentro di noi. E ancora Dante ci garantisce che la nostra speranza è ‘uno attendere certo della gloria futura’. Più che nelle tele dei grandi pittori, la risurrezione risplende di luce e colore nel fluire della nostra umana avventura.

Don Angelo

Nuova Scintilla, 4 aprile 2021

 

 

La Quaresima sale sul monte due volte. La prima è nella domenica del vangelo della trasfigurazione, con lo splendore di Gesù ‘sull’alto monte’. La seconda è nella domenica “Laetare”, ‘rallegrati’, quando saliamo con gioia a Gerusalemme. Seguono poi il monte Calvario e il monte dell’Ascensione. A portarci in alto, anima e corpo, è Gesù. Il Vangelo di Giovanni dice che Gesù crocifisso viene ‘innalzato’ per mostrare a tutti la gloria del Figlio di Dio e l’amore del Padre. Pare strano che il momento della massima sofferenza e della morte coincida con il momento della più grande rivelazione e del più grande ‘dono di grazia’. Lo sguardo sul ‘Crocifisso glorioso’ cambia la prospettiva sull’intera realtà. Viviamo il dramma della pandemia e si accentuano restrizioni e difficoltà. Eppure, in questo cammino di croce, siamo accompagnati da una grazia strabiliante. Non certo per la scia di luci dei festival televisivi o per le illusioni delle lotterie statali, né per la speranza, piuttosto sconsolata, che ‘tutto finisca presto’ col miracolo del vaccino. Si moltiplicano invece segnali che conducono alla gioia dell’“alto monte”. E’ sorprendente che le persone si mostrino tanto sensibili e attente ai gesti di carità. Pur vivendo in ristrettezze economiche, non esitano a contribuire a favore di chi è più indigente. E’ stato rilevato in occasione del Banco farmaceutico, ma arrivano segnali da tutte le parti, soprattutto nel traffico minuto dei rapporti interpersonali, nell’attenzione a parenti e amici e vicini di casa e situazioni prossime o remote. Sullo sfondo, si staglia la carità del Papa, continuamente rinnovata, e richiamata nel viaggio in Iraq, che ha lanciato un volo di liberazione verso perseguitati e oppressi e un segno di speranza nell’abbraccio con capi religiosi e responsabili delle nazioni. Quale sguardo ha il Papa sui drammi del mondo, quale cuore, quale tipo di partecipazione??!! La sua testimonianza si intreccia con i rivoli di bene che attraversano la giornata quando non ci lasciamo soffocare da lamentele e profezie di sventura. Ci sostiene la vita di tanti, conosciuti o sconosciuti, che riconoscono la presenza del Signore intrecciando preghiere di rosari e racconti di vita. Riscopriamo che il cristianesimo non è una dottrina, ma è una storia alla quale si partecipa riallacciandosi nella comunione della Chiesa. Nel ritmo degli incontri che passano via social da lontano e da vicino attraverso parrocchie e movimenti, troviamo luce, sostegno, compagnia. Sembra che la chiesa – sottratta al clamore della visibilità – percorra con vivacità e decisione i sotterranei delle catacombe. I monti si sono abbassati, e si aprono nuove strade di santità e di vita.

don Angelo

Da "Nuova Scintilla", 26 marzo 2021

QUANDO MUORE UN PRETE

Sarà perché ho partecipato più volte al rosario del dopocena che per due mesi riuniva via social migliaia di persone a pregare per Anas, don Antonio Anastasio, in lotta strenua con il virus. Forse per questo, pur non conoscendolo personalmente, rimango così colpito dalla sua morte. Gli amici fanno girare una delle sue canzoni, con la sua voce che canta: “…penso a tutti quelli che ho lasciato. A quanto è lunga la strada fino al mare… La festa sta per cominciare, corri e non fermarti amico mio. E’ la festa della fine del male sulle rive del mare di Dio…”. Guidando la preghiera ogni sera, l’amico don Jacques concludeva ripetendo che la ‘situazione rimane gravissima’. Don Anas aveva 59 anni, componeva e cantava canzoni, scriveva libri – qualcuno l’ho letto e passato in giro - insegnava filosofia, seguiva gli studenti, incontrava la gente. Viene ricordato come una personalità intensa e attenta, profonda nella vocazione e desiderosa della missione, rilanciata nell’incontro col carisma di don Giussani. La gratitudine verso di lui rimbalza nelle parole dell’arcivescovo di Milano Delpini e del cardinale Scola, di don Julian Carron e di don Paolo Sottopietra responsabile della Fraternità San Carlo, e nella nota commossa di Marina Corradi nella prima pagina di Avvenire. Quanto potrà mancare alla Chiesa, alla Fraternità San Carlo, agli amici e a tanta gente, la sua persona, la sua opera, la sua presenza? Paragono i miei anni con i suoi, e dico: “Quanto avrebbe potuto ancora vivere…”. E tuttavia sono sorpreso dell’impatto che la sua morte – dopo una fertile vita e l’invasiva malattia – sta provocando. ‘Il miracolo delle persone riunite e pregare per lui’, nota il vescovo Camisasca al funerale. Nell’ultimo Rosario scorrono sullo schermo del computer tanti messaggi. Di botto mi trovo a scrivere: “In profonda condivisione e comunione, la mia e nostra preghiera perché la vita di don Anas accolta in Paradiso porti nuovi frutti di vocazione e missione”. La morte di preti giovani e attivi provoca una lacerazione nel cuore della Chiesa, nel cuore delle persone. Un anno fa, ancora più giovane, don Pierangelo ci lasciava con il suo sapiente e accogliente sorriso. Che ne sarà della nostra Chiesa? Ci sentiamo fremere nel sussulto del dolore, sospinti a condividere il sacrificio della loro vita attraverso la consegna di noi, del tempo che viviamo e delle azioni che compiamo. Ci consegniamo al cuore di Dio, alla sua presenza nel tempo, al Padre che ci ama, al Figlio che entra nelle nostre vite con la sua croce e risurrezione, allo Spirito che consola e accende. Come diceva don Anas: “Conta ciò che amiamo, ciò che ci ama e ci fa vivere per sempre”.

don Angelo Busetto