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La Quaresima sale sul monte due volte. La prima è nella domenica del vangelo della trasfigurazione, con lo splendore di Gesù ‘sull’alto monte’. La seconda è nella domenica “Laetare”, ‘rallegrati’, quando saliamo con gioia a Gerusalemme. Seguono poi il monte Calvario e il monte dell’Ascensione. A portarci in alto, anima e corpo, è Gesù. Il Vangelo di Giovanni dice che Gesù crocifisso viene ‘innalzato’ per mostrare a tutti la gloria del Figlio di Dio e l’amore del Padre. Pare strano che il momento della massima sofferenza e della morte coincida con il momento della più grande rivelazione e del più grande ‘dono di grazia’. Lo sguardo sul ‘Crocifisso glorioso’ cambia la prospettiva sull’intera realtà. Viviamo il dramma della pandemia e si accentuano restrizioni e difficoltà. Eppure, in questo cammino di croce, siamo accompagnati da una grazia strabiliante. Non certo per la scia di luci dei festival televisivi o per le illusioni delle lotterie statali, né per la speranza, piuttosto sconsolata, che ‘tutto finisca presto’ col miracolo del vaccino. Si moltiplicano invece segnali che conducono alla gioia dell’“alto monte”. E’ sorprendente che le persone si mostrino tanto sensibili e attente ai gesti di carità. Pur vivendo in ristrettezze economiche, non esitano a contribuire a favore di chi è più indigente. E’ stato rilevato in occasione del Banco farmaceutico, ma arrivano segnali da tutte le parti, soprattutto nel traffico minuto dei rapporti interpersonali, nell’attenzione a parenti e amici e vicini di casa e situazioni prossime o remote. Sullo sfondo, si staglia la carità del Papa, continuamente rinnovata, e richiamata nel viaggio in Iraq, che ha lanciato un volo di liberazione verso perseguitati e oppressi e un segno di speranza nell’abbraccio con capi religiosi e responsabili delle nazioni. Quale sguardo ha il Papa sui drammi del mondo, quale cuore, quale tipo di partecipazione??!! La sua testimonianza si intreccia con i rivoli di bene che attraversano la giornata quando non ci lasciamo soffocare da lamentele e profezie di sventura. Ci sostiene la vita di tanti, conosciuti o sconosciuti, che riconoscono la presenza del Signore intrecciando preghiere di rosari e racconti di vita. Riscopriamo che il cristianesimo non è una dottrina, ma è una storia alla quale si partecipa riallacciandosi nella comunione della Chiesa. Nel ritmo degli incontri che passano via social da lontano e da vicino attraverso parrocchie e movimenti, troviamo luce, sostegno, compagnia. Sembra che la chiesa – sottratta al clamore della visibilità – percorra con vivacità e decisione i sotterranei delle catacombe. I monti si sono abbassati, e si aprono nuove strade di santità e di vita.

don Angelo

Da "Nuova Scintilla", 26 marzo 2021

QUANDO MUORE UN PRETE

Sarà perché ho partecipato più volte al rosario del dopocena che per due mesi riuniva via social migliaia di persone a pregare per Anas, don Antonio Anastasio, in lotta strenua con il virus. Forse per questo, pur non conoscendolo personalmente, rimango così colpito dalla sua morte. Gli amici fanno girare una delle sue canzoni, con la sua voce che canta: “…penso a tutti quelli che ho lasciato. A quanto è lunga la strada fino al mare… La festa sta per cominciare, corri e non fermarti amico mio. E’ la festa della fine del male sulle rive del mare di Dio…”. Guidando la preghiera ogni sera, l’amico don Jacques concludeva ripetendo che la ‘situazione rimane gravissima’. Don Anas aveva 59 anni, componeva e cantava canzoni, scriveva libri – qualcuno l’ho letto e passato in giro - insegnava filosofia, seguiva gli studenti, incontrava la gente. Viene ricordato come una personalità intensa e attenta, profonda nella vocazione e desiderosa della missione, rilanciata nell’incontro col carisma di don Giussani. La gratitudine verso di lui rimbalza nelle parole dell’arcivescovo di Milano Delpini e del cardinale Scola, di don Julian Carron e di don Paolo Sottopietra responsabile della Fraternità San Carlo, e nella nota commossa di Marina Corradi nella prima pagina di Avvenire. Quanto potrà mancare alla Chiesa, alla Fraternità San Carlo, agli amici e a tanta gente, la sua persona, la sua opera, la sua presenza? Paragono i miei anni con i suoi, e dico: “Quanto avrebbe potuto ancora vivere…”. E tuttavia sono sorpreso dell’impatto che la sua morte – dopo una fertile vita e l’invasiva malattia – sta provocando. ‘Il miracolo delle persone riunite e pregare per lui’, nota il vescovo Camisasca al funerale. Nell’ultimo Rosario scorrono sullo schermo del computer tanti messaggi. Di botto mi trovo a scrivere: “In profonda condivisione e comunione, la mia e nostra preghiera perché la vita di don Anas accolta in Paradiso porti nuovi frutti di vocazione e missione”. La morte di preti giovani e attivi provoca una lacerazione nel cuore della Chiesa, nel cuore delle persone. Un anno fa, ancora più giovane, don Pierangelo ci lasciava con il suo sapiente e accogliente sorriso. Che ne sarà della nostra Chiesa? Ci sentiamo fremere nel sussulto del dolore, sospinti a condividere il sacrificio della loro vita attraverso la consegna di noi, del tempo che viviamo e delle azioni che compiamo. Ci consegniamo al cuore di Dio, alla sua presenza nel tempo, al Padre che ci ama, al Figlio che entra nelle nostre vite con la sua croce e risurrezione, allo Spirito che consola e accende. Come diceva don Anas: “Conta ciò che amiamo, ciò che ci ama e ci fa vivere per sempre”.

don Angelo Busetto

A quante persone dobbiamo gratitudine per il dono della fede? Certo – dice Gesù a Pietro - la fede non viene da carne e sangue ma la dona il Padre che è nei cieli. Tuttavia Pietro ha compiuto un cammino umano, ha ascoltato le parole e ha visto le azioni di Gesù. Noi pure abbiamo ascoltato le parole e visto le azioni di persone che hanno creduto prima di noi e vicino a noi. Ancor prima di capire ci siamo trovati in un ambiente nel quale la gente pregava – e anche bestemmiava; celebrava le feste – e anche le dissipava; aveva come regola i comandamenti – e anche li tradiva. Dio, la sua legge, la sua provvidenza costituivano l’orizzonte della vita, consapevolmente riconosciuto o polemicamente contraddetto. Nel passaggio dalla giovinezza alla maturità, il panorama si apre, facendo sobbalzare il cuore: un prete ci fa riconoscere Gesù amico, un giovane ci insegna a pregare, incontriamo una compagnia lieta senza essere sbracata. Nell’ambiente di paese e poi di seminario, il cristianesimo è un’esperienza vivace, ciascuno rispondendo alla sua vocazione e al suo compito: studi, lavoro, famiglia, figli. Ragazzi, giovani, uomini e donne, veniamo introdotti a considerare la vita come dono e missione. Alcune amiche o ragazze più grandi entrano in convento, alcuni amici in seminario, altri sono fidanzati.
La mia giovinezza sboccia nel sacerdozio e nella vita pastorale, inserendosi in un torrente di vitalità. Tutt’attorno nell’ambiente delle parrocchie e dei gruppi è un risveglio e un gorgo di iniziative, fra contrasti e fatiche. Ed ecco, nel magma di proposte e di occasioni, spunta un filo d’erba sorprendente di freschezza. Un nuovo incontro fa balenare ‘Colui che è tra noi’. Nel turbinio degli avvenimenti, fiorisce lo sguardo semplice della fede, destando in cuore il punto infiammato di un’attrattiva. Il dono del carisma che rende la vita unita senza disperderne la vitalità, porta il nome di un sacerdote. Don Luigi Giussani – ricordato in questi giorni nel 16.° anniversario della morte - apre a una compagnia di volti, persone, testimonianze semplici e straordinarie; introduce uno sguardo nuovo sulla santità e la cultura, sulla missione e la carità, su Cristo e la Chiesa. Il ridestarsi di tante persone alla fede, e la loro chiara appartenenza alla Chiesa, segnano la bella avventura che ancora continua. Così il Signore Gesù viene a farti compagnia per la vita, fino al presente. Ti chiama per nome e ti ridesta anche nel deserto della pandemia, rinnovando una gioia e una speranza non effimera. Sei preso da profonda gratitudine per il Signore Gesù che vive nella Chiesa e per quanti camminano con te e ti precedono nel fiume della vita.
don Angelo

La memoria di don Giussani:                                      un carisma presente

Una coincidenza perfetta. Ogni anno il vescovo Adriano celebra la Messa in prossimità dell’anniversario della morte di don Luigi Giussani. Quest’anno la celebrazione è avvenuta nel giorno preciso dell’anniversario, festa della Cattedra di San Pietro. Una coincidenza che fa emergere il rapporto di Giussani con la Chiesa e in particolare con i Papi che hanno accompagnato e sostenuto il suo carisma, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Lunedì 22 febbraio la Cattedrale di Chioggia si è riempita al massimo della capienza secondo i contingentamenti del Covid, con persone di Chioggia e Sottomarina, e anche di Pellestrina, Portoviro, zone del Polesine e altri paesi della diocesi. All’inizio della celebrazione è stata proposta l’intenzione generale di questa celebrazione: “Nelle difficili circostanze che siamo chiamati a condividere con fratelli tutti, chiediamo al Signore una coscienza vigile e grata del dono ricevuto nell’incontro con il carisma di don Giussani per servire sempre meglio la Chiesa, nel riconoscimento che ogni istante che passa è abitato da Cristo presente, perciò non c’è niente di inutile e tutto è segno di una indistruttibile positività’.
Il vescovo Adriano nell’omelia a commento del Vangelo della festa, sottolineava la fede di Pietro nel Figlio di Dio che rivela il Padre nell’unità dello Spirito Santo. E’ la fede vissuta nell’unità della Chiesa fino ad oggi. Don Giussani ha ricevuto questa fede, sottolineando l’incarnazione del Figlio di Dio e la sua presenza di risorto tra noi. Fedele alla tradizione e nello stesso tempo innovatore, l’ha trasmessa in modo efficace alla generazione tumultuosa del suo tempo. “Per conservare il messaggio bisogna renderlo accessibile, comprensibile, desiderabile ad ogni generazione”. E’ quello che don Giussani ha svolto, in un rapporto continuo tra autorità e libertà.

Le intenzioni della preghiera dei fedeli esprimevano la vitalità attuale del carisma di don Giussani, pregando per la missione della Chiesa e ringraziando per le molte vocazioni sacerdotali, religiose, missionarie che hanno trovato origine dal carisma vissuto in Comunione e Liberazione.

Opportuno e doveroso quindi il ringraziamento finale del responsabile diocesano, Lorenzo Cuppoletti, che ha espresso la totale disponibilità del movimento alla missione della Chiesa diocesana secondo le indicazioni del vescovo Adriano.

19 febbraio 2021
LE CELEBRAZIONI IN ITALIA E NEL MONDO

Lunedì ricorrono i sedici anni dalla morte del servo di Dio don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Era infatti il 22 febbraio 2005 quando scompariva il sacerdote lombardo. Per celebrare l’anniversario che si unisce al 39° del riconoscimento pontificio della Fraternità di Cl (11 febbraio 1982), vengono celebrate centinaia di Messe in Italia e nel mondo. A Perugia il presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, presiederà l’Eucaristia lunedì. Lo stesso giorno sono in programma le celebrazioni presiedute a Roma dall’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicegerente del vicariato; a Bologna dal cardinale Matteo Zuppi; a Padova dal cardinale Silvano Maria Tomasi, per citare alcuni appuntamenti. Oggi a Torino si svolgerà la Messa con l’arcivescovo Cesare Nosiglia. Il 1° marzo sarà la volta di Milano con l’Eucaristia presieduta dall’arcivescovo Mario Delpini. Nei giorni scorsi si sono già svolte le Messe a Genova con l’arcivescovo Marco Tasca o a Firenze con il cardinale Giuseppe Betori.

Durante le celebrazioni verrà pronunciata la seguente intenzione di preghiera: «Nelle difficili circostanze che siamo chiamati a condividere con i fratelli tutti, chiediamo al Signore una coscienza vigile e grata del dono ricevuto nell’incontro con il carisma di don Giussani per servire sempre meglio la Chiesa, nel riconoscimento che ogni istante che passa è abitato da Cristo presente, perciò non c’è niente di inutile e tutto è segno di una indistruttibile positività». Sottolinea don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Cl, parlando del tempo complesso dovuto al Covid: «Se saremo fedeli alla grazia che ci ha raggiunti attraverso il carisma di don Giussani – noi che ne siamo stati attratti e desideriamo seguirlo –, “centrati in Cristo e nel Vangelo”, potremo essere “braccia, mani, piedi, mente e cuore di una Chiesa in uscita” (papa Francesco), collaborando con il Papa al futuro della Chiesa nel mondo, quel futuro preconizzato dal cardinale Ratzinger nel lontano 1969: “Il futuro della Chiesa può venire solo dalla forza di coloro che hanno profonde radici e vivono con una pienezza pura della loro fede. La Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà agli uomini come la patria, che ad essi dà vita e speranza”. Solo questa novità può essere credibile oggi».

Nel mondo sono previste le Messe – per esempio – a Madrid domani con il cardinale Carlos O. Sierra; a Buenos Aires lunedì con l’ausiliare Enrique Eguía Seguí; a Tunisi lunedì con l’arcivescovo Ilario Antoniazzi; ancora lunedì a Washington con il nunzio apostolico, l’arcivescovo Christophe Pierre.

Una vita piccola piccola, ridotta negli spazi esteriori e rattrappita in quelli interiori. Una vita ridotta a schemi, appiattita ai livelli della pubblicità, impaurita dalla pandemia, atterrita dalla paura, arrabbiata con il mondo, seccata con gli amici, annoiata con i familiari, indurita con gli avversari. La intravvedi negli occhi sfuggenti sotto le mascherine, negli accostamenti gentilmente evitati, nei saluti rapidi e convenzionali, nelle code silenziose alle poste o al panificio o all’ospedale.
In tutto questo, come un vento che penetra tra le fessure, come la piantina che germoglia tra i sassi, una novità risorge. Spunta con la luce del giorno, forando il gelo che penetra dalle imposte spalancate.
Il Vangelo del mattino, uguale e sempre nuovo, riporta a galla l’anima, facendoci riconoscere amati dal Padre, accompagnati dal Figlio, sollevati dallo Spirito. Un amore più grande, incontrato nei dialoghi da remoto e nei radi approcci personali, attraversa l’arida pianura della giornata.
In rapida sequenza. La dottoressa da trent’anni in carrozzina ringrazia il Signore che opera in lei con la grazia dell’esistenza e la provvidenza degli amici. La coppia relegata in casa, con addosso tanti malanni, è riconoscente per il dono della Sua presenza. La giovane mamma, col marito lontano per lavoro, cammina in riva alla laguna col passeggino del piccolo.
Il dissidio in famiglia non sommerge, ma alla preghiera s’aggiunge la telefonata all’amico che aiuta i due coniugi. La passività della giornata è superata dalla condivisione di un rosario che apre alla speranza. La monotonia della vita dei nonni si riscuote con il sorriso, e anche i capricci, dei bambini. La fatica si riempie di consolazione nella compagnia degli anziani che ripetono racconti e richieste. Il cervello si ridesta e la fantasia saltella nella scoperta e nel confronto con i grandi del passato e del presente, con la letteratura e l’arte e la musica, con la bellezza e la verità che balzano da letture e da virtuosi programmi dei social. Un tratto di benevola carità ti scuote come una sorpresa. Il piccolo mondo si spalanca alle dimensioni del mondo creato da Dio, in cerca della vita.
“Dov'è la Vita che abbiamo perduto vivendo? Dov'è la saggezza che abbiamo perduto sapendo? Dov'è la sapienza che abbiamo perduto nell'informazione?". La domanda di Eliot, il poeta inglese de La rocca, sospinge a un passo di novità. Non ingabbiati nella serra dell’egoismo, ma incamminati sulla riva che apre l’orizzonte. Quanta vita? Quanto cervello, quanto corpo, quanta anima, quanto cuore. Quanto tempo, quanto spazio, quante dimensioni. Quanto sole, quanto mare, quanta pioggia, quanta neve, quanto prato, quanta strada. Quanto?

Citato nel XII canto del Paradiso dantesco, san Rabano Mauro, fu un grande erudito ai tempi di Carlo Magno. A lui è attribuito il Veni Creator Spiritus, l’inno che accompagna la Chiesa nelle decisioni più importanti, nelle sue funzioni religiose più solenni. E in cui poesia e teologia si fondono in modo eccezionale.
"Rabano è qui, e lucemi da lato  / il calavrese abate Giovacchino,
di spirito profetico dotato. / Ad inveggiar cotanto paladino                                                 mi mosse l’infiammata cortesia / di fra Tommaso e ‘l discreto latino;
e mosse meco questa compagnia."
È il sommo Poeta Dante a citare san Rabano Mauro nel XII canto del Paradiso, in compagnia di san Tommaso d’Aquino, san Domenico e Gioacchino da Fiore.

San Rabano, mente e cuore eccelsi di una Chiesa che parla ancora, che canta ancora le sue lodi al Signore. Un santo poco conosciuto, bisogna ammetterlo. Ma rappresenta per la cultura cattolica (quindi parliamo non solo di spiritualità) un monumento che vive in ogni verso dell’inno allo Spirito Santo: il famoso Veni Creator Spiritus, l’inno - a lui attribuito .
Lo Spirito Santo: non è, certamente, un “qualcosa” di facilmente intellegibile. In fondo, rimane e rimarrà - forse è meglio così, per la nostra imperitura ricerca di Dio - un mistero. È, infatti, il mistero a spingerci sempre più alla ricerca. E in ogni luogo. L’inno Veni Creator Spiritus, in una certa misura, ci aiuta proprio a entrare meglio nel mistero. A contemplarlo, così come si contempla un cielo stellato, un fiore al suo primo albore di primavera.
La vita di Rabano è stata sempre immersa nelle pagine della Scrittura, prima fonte - assieme alla preghiera - di ogni sua opera filosofica. La Scrittura e le parole scritte dal santo si intrecciano e si fondono. Sono un unicum di cultura e spiritualità. L’intelletto al servizio di Dio. I versi, le parole, i “concetti” espressi dalla sua mente sono stati “illuminati” dalla Sapienza di Dio.

SALUTE E SALVEZZA

“Gente del mio tempo, chi ti ha convinta che quando c’è la salute c’è tutto, se per l’ossessione di custodire la salute ti privi di tutto?” L’incipit dell’omelia di Epifania di un vescovo mi fa sobbalzare. Non bastano dunque i luoghi comuni immancabilmente ripetuti, a salvarci la vita. Incalza il nostro: “Chi ti ha persuasa che la generosità sia un azzardo, che la compassione una debolezza, l’amore sia un pericolo, la promessa che si impegna per sempre una imprudenza? Gente del mio tempo perché te ne stai a testa bassa a compiangere la tua situazione?”

Che cosa dunque ci fa rialzare la testa; che cosa, oltre la salute, ci è necessario per tornare a vivere? Vedo le chiese ancora ridestarsi col canto, ancora le famiglie raccontano storie di una fede gioiosa. A Natale, arrivano foto di fratellini che in casa impersonano il presepio vivente, con l'aggiunta dei pupazzi a rappresentare il bue e l'asinello. Il pianto per la perdita di una persona cara incontra la consolazione di una grande memoria di fede e di carità. Dallo schermo della tv appare la figura della vispa ragazzina che alla schiera di amici in pianto per la morte di Filippo Neri grida: "Filippo è vivo. Filippo è vivo: in Paradiso!", e corre per scale e cortili coinvolgendo tutti a cantare: "Preferisco il paradiso".

Non s’è interrotto il fiume di carità che dona lavoro e tempo libero, cibo e denaro, a persone vicine e persone sconosciute. Grazia più grande è guardare e amare, essere guardati e amati senza condizioni, come si scopre in testimonianze di accoglienza e adozione, e come affiora nei racconti di insegnanti, cappellani degli ospedali e delle carceri, e di missionari che diffondono la medicina della fede. Negli intrecci parentali e per le vie virtuali fiorisce la grazia dell’amicizia, dell’attenzione e della cura gli uni verso gli altri, e nella comunità cristiana la preghiera si allarga ad accompagnare e coinvolgere vicini e lontani. Il senso della vita si apre a un orizzonte che supera la chiusura dell’egoismo e della solitudine.

Stiamo imparando cose che credevamo di sapere. Le vicende di ogni giornata scorrono di fronte a Gesù. Nella piccola comunità convocata il flusso della parola che attualizza i fatti della sua vita, l'offerta del pane e del vino che ripresenta il suo sacrificio e la sua resurrezione, consolano e correggono. "Che cos'è l'uomo perché te ne curi?" domanda il salmo. Dio è all'opera dentro le nostre fatiche e tragedie, e continua a far germogliare nuove piante dal seme che muore. Il Signore della vita ci guarda come perla preziosa, campo del suo tesoro. Ci guarda e ci salva.

IL MIO TE DEUM dell’ANNO 2020

Arriviamo al TE DEUM dell’ultimo giorno dell’anno, che tira le somme e dice un giudizio vero su quanto abbiamo vissuto. Per che cosa lodare e ringraziare? Il cuore è stretto dalle notizie su chi - anche tra amici e conoscenti - è morto a causa del virus, e di tanti altri, malati o appesantiti dalle conseguenze del Covid. Tutti siamo bloccati in una "mezza" vita, per una serie infinita di limitazioni, e afferrati dalla paura. Basta incontrare qualche amico medico o insegnante o impiegato nel turismo o in altre attività, per capire quanto la situazione è drammatica per tutti. Tanta gente è arrivata alla soglia della povertà. Per non parlare di come va la nostra bella Italia e con essa il mondo. Quale Te Deum possiamo cantare? Ci sentiamo sfiorare da un'ombra di sconforto, come mi è capitato di sperimentare nei pochi giorni di quarantena a causa di un contatto con persone 'positive' .
Eppure, dentro tutto questo dramma, mi trovo il cuore pieno di gratitudine. Prima di tutto per la marea di dedizione e di intraprendenza che questa situazione ha provocato. Mi colpiva la lettura del diario del prete spagnolo che ha lasciato l'insegnamento per andare in corsia. Quanti preti, medici, infermieri, persone di diverse professioni o semplici volontari, si sono mosse con generosità e responsabilità.
Personalmente, pur vivendo isolato e limitato come tutti, non mi sono mancate la compagnia e l'assistenza delle persone. Anche attraverso le occasioni offerte da tv e internet. Anch'io ogni mattina stavo davanti alla tv per la messa del Papa alle 7, ed era ogni volta un raddrizzamento della giornata. Ho scoperto le possibilità dello zoom per collegamenti nei quali ho pregato insieme, ho ascoltato testimonianze semplici e straordinarie, ho continuato quel formidabile percorso di fede che è la scuola di comunità con amici e con collegamenti più estesi; ho condiviso i ritiri mensili con i preti diocesani e con gruppi di religiose. Tutte occasioni per riconoscere che Gesù viene a farci compagnia e ci ripete parole di liberazione. Durante l'estate ho goduto di una inaspettata vacanza con famiglie, sorprendendomi della bellezza della fede sperimentata anche in condizioni difficili e dolorose, e testimoniata da due genitori che raccontavano della vocazione sacerdotale di un figlio. Mi hanno molto accompagnato tre libri: il racconto della prigionia di Van Thuan, la riflessione di don Julian Carron che riposiziona l'anima rispetto alla pandemia, e l'esperienza dell'ateo Azurmendi, che si trova la vita ribaltata dall'incontro con le fraternità cristiane della Spagna. La misericordia di Dio non ci abbandona e ci fa ricominciare ogni giorno, stupiti per il dono della vita, Il dono della fede conduce a imparare dalla propria fragilità, e regge l’urto del tempo e delle circostanze anche in questo strano 2020.
Come non ringraziare e lodare con un grande Te Deum? Dentro al cuore, un desiderio: che la grazia in azione nella mia vita e in quella di tante altre persone, possa estendersi e diventare speranza ed energia per tanti altri. Per tutto il mondo, durante la pandemia e nel tempo che seguirà.

don Angelo