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La strada dell’Avvento che percorriamo in quattro tappe, intercetta perfettamente la nostra attesa. Attendiamo un avvenimento nuovo, che ci liberi da paure e angosce che premono sul cuore. Non basterà il provvidenziale vaccino, che ci auguriamo tempestivo, sicuro e ben distribuito. Non basterà lo spritz in piazza, e neppure il caloroso incontro con parenti e amici, tanto desiderati e ricercati. A Natale attendiamo il Natale. Non un Natale vuoto, da usare come pretesto per altro: vacanza, gite, neve… Quello di cui abbiamo bisogno, è il Natale di Gesù: la sua presenza reale, la sua compagnia nella Chiesa, il suo calore in famiglia, la sua luce nel cuore. Vogliamo tornare a guardare Gesù, il Bambino del presepio che riempie le chiese e rasserena le case. Non un Bambino di gesso, pur bellissimo. Un incrocio di sguardi, come Pietro quando il fratello Andrea lo trascina da Gesù e il suo sguardo gli trapassa il cuore e gli cambia la vita. Lo sguardo di Gesù incrocia quello della samaritana al pozzo e lei, svelata nel suo desiderio senza misura, si precipita a gridare ai paesani la scoperta del Messia. Gli occhi dei bambini si incantano di fronte alla sua umile bellezza. Scopriamo il suo sguardo su di noi, cristiani appassiti e distratti, risvegliati dalla sua presenza. A Natale ci basterà essere cristiani, gente che non solo crede nel Dio dei cieli, ma lo riconosce Bambino a Betlemme, ragazzo a Nazaret, Maestro a Cafarnao, amico nelle strade della Palestina fino a Gerusalemme, e infine appeso in croce, morto e risorto. Vogliamo domandare lo sguardo di chi è davanti a Gesù mentre prega e lavora; mentre, sofferente nella malattia, lo domanda e lo ringrazia. Di chi può finalmente fermarsi accanto al letto di un parente malato in ospedale; di chi ama e gode delle cose della vita; di chi, negli impegni della giornata, porta in cuore la certezza di essere voluto, accolto, perdonato. Non vanno da Gesù gli uomini perfetti, ma quei poveracci dei pastori, e i magi che lo cercano da lontano. Non pretendiamo di arrivare a Natale carichi di preghiere, di mortificazioni e opere buone; cosa vale quello che portiamo, di fronte a quello che Lui è? Non pretendiamo di arrivare a Natale puri e non bisognosi della sua misericordia. Lui ci viene incontro per abbracciarci, come Zaccheo, come la donna di strada. Basterà il nostro sì, sull’onda dell’attrattiva che nei secoli ha cambiato il cuore delle persone nel modo di pensare, amare, vivere e sperare, e le ha rese sante. Camminiamo verso Natale con un desiderio forte, con un’attrattiva vincente.

angelo busetto

L'immagine riproduce il 'volantone' di Natale 2020  di Comunione e Liberazione

SE CAMBIA IL MESSALE….

Non saranno solo le luminarie, apparse con largo anticipo sulle strade, ad accompagnarci verso il Natale. Nè solo le sagge raccomandazioni o le minacciose previsioni riguardanti l’andamento del virus. Sul piede di partenza dell’Avvento, ecco scattare il nuovo Messale, il librone che accompagna la celebrazione dell’Eucaristia. Un po’ meno imponente di quello in uso da decenni, ma bello e pulito e senza pagine ormai sgualcite dall’uso. Celebrare l’eucaristia con il Messale nuovo nella prima domenica di Avvento, all’inizio dell’anno liturgico, potrà dare un po’ l’emozione del primo giorno di scuola elementare, con il sussidiario tutto nuovo. Le parole riprenderanno il loro corso come un’acqua vivace che rimbalza con spruzzi di novità: lo sguardo aperto a ‘fratelli e sorelle’, il Gloria cantato dagli ‘uomini amati dal Signore’, la rugiada dello Spirito Santo, fino alla rinnovata domanda del Padre nostro, per finire con lo slancio del congedo finale. Il Messale è un libro, e non prega da solo. Diventa vivo con il sacerdote che celebra, la comunità che partecipa, l’assemblea che canta, i gesti che uniscono. Di questi tempi, ci sentiamo tutti un po’ ingessati tra mascherine e posti distanziati. E tuttavia, vederci e sentirci ‘in presenza’ allieta il cuore e sostiene la speranza. Il Messale suggerisce le parole della preghiera, segna il ritmo del tempo sull’altalena delle stagioni e sul corrimano della vita di Gesù, e conduce tutta l’umana esistenza dentro il mistero di Dio. Lo sperimentiamo nel calendario dei santi antichi e nuovi, da Maria Maddalena dichiarata ‘apostola degli apostoli’, agli ultimi santi, papi, nuovi martiri, medici e donne di casa e ragazzi al computer. L’antico diventa nuovo, il nuovo germoglia dal passato, il presente si proietta nel futuro. Il Messale – con la buona compagnia del Lezionario - è un po’ la Bibbia attualizzata, è la storia della salvezza in azione. Dovremo fare attenzione a percorrerlo tutto, di stagione in stagione, di mese in mese, di settimana in settimana, di giorno in giorno. Senza scavalcare le parole o modificare i contenuti. Senza che il ‘turbamento’ della preghiera che segue il Padre nostro si banalizzi in ‘paura’, e senza che ‘i nostri peccati’ vengano attribuiti alla Chiesa, sposa santa e santificatrice. E via di seguito. Il contenuto del Messale è di più, e non va rimaneggiato con le nostre fantasie o modificato con le nostre invenzioni. Ci lasciamo accompagnare con umiltà e fiducia dentro il mistero di Dio che ci abbraccia con la vicenda umana del Figlio che si abbassa fino alla croce e si innalza fino al Padre. Mistero grande, dal Natale alla Pasqua, dal Messale alla vita.

STENDI LA MANO

Stendi la tua mano, stendete la mano, tante mani. Si prolunga l’invito fatto da Papa in occasione della giornata dei poveri. La mano che domanda e attende. La mano che porge e aiuta. Oggi che le mani non si aprono neppure per l’abbraccio di pace della Messa, è necessario porgere la mano attraverso vie virtuali. Certo, non si mangia e non si beve ‘virtualmente’ e occorre il prodigio della carità per trasformare il gesto virtuale in pane e companatico. E’ il cibo che corre per le vie dell’Emporio di carità, passando attraverso un cartellino. Quest’anno accadrà anche con la Colletta alimentare ai supermercati. Niente cartoni riempiti di alimenti di tutte le specie, ma una card per una spesa virtuale che ritornerà al Banco alimentare trasformata in cibo. E’ come il miracolo della moltiplicazione dei pani. Lì è bastata una parola, e quale parola, e i cinque pani sono diventati mille e mille. Qui saranno centinaia e migliaia di tagli da due euro, cinque, dieci. Come un esercito di Napoleone. Che c’entra Napoleone, il quale depredava le campagne, piuttosto che sfamare la gente? A un convegno pure ‘virtuale’, dove partecipa il cardinal Zuppi con altri illustri personaggi, sento dire: “Non aspettare di essere Napoleone…” Non aspettare di essere un grande personaggio, non aspettare di essere un potente, non aspettare di fare la grande impresa. Fai la piccola impresa di oggi, quella di porgere la tua mano. Quando tante mani si porgono a donare, diventa un esercito come quello di Napoleone, non per depredare, ma per raccogliere e distribuire. E’ il grande cuore della chiesa che si muove. La chiesa di popolo va oltre le sue mura. Vive nelle case, percorre le strade, entra negli androni delle stazioni. Quanta gente sta vicino a chi è debole, quanti sanno perdonare e donano un tempo della giornata, un sorriso e un atto di pazienza. La chiesa della carità si è mossa nei secoli, e ha costruito Cattedrali e lazzaretti. Offrendo spiccioli e monete, e anche la pelliccia, come ha fatto la ricca signora decaduta che non aveva nient’altro da offrire per contribuire alla cattedrale in costruzione. Bisogna costruire e ricostruire la cattedrale della vita, della società, della comunità, porgendo la mano e guardandosi in faccia. Lo sguardo giunge fino al cuore delle persone, come quando si dona l’Eucaristia. Anche allora si stende la mano: si dona Cristo e si dona a Cristo. La carità non ha confini e barriere, e tocca le dimensioni della terra e del cielo.

Due o tre generazioni fa si andava a ricevere l’eucaristia mettendosi in ginocchio alla balaustra del presbiterio. In seguito ci siamo incamminati in processione verso l’altare, e il sacerdote ci porgeva l’eucaristia sulla lingua; più tardi venne proposta la comunione sulla mano. E adesso? La novità non viene da una prescrizione liturgica ma da una scelta prudenziale riferita al tempo di pandemia. Adesso è il sacerdote che si incammina tra le file della navata della chiesa, offrendo l’eucaristia a ciascuno dei fedeli che restano in piedi qua e là sulle panche. Cristo ci viene incontro in modo nuovo. Qualcuno lo rileva: “Oggi per la prima volta ho ammirato questa realtà. Ho guardato veramente con stupore! Bellissimo vedere tutte quelle mani protese a mendicare Cristo. Affascinante ritrovare come lo sguardo dei presenti segue il sacerdote che percorrendo la navata della chiesa si avvicina a ciascuna persone e le porgendo il corpo di Cristo. Il desiderio di ciascuno si incrocia con il desiderio di Cristo di donarsi totalmente. Uomini e donne mendicanti di Cristo, non per dovere o per un precetto ma perché attratti da Lui, afferrati dalla Sua persona. Le mani si protendono in cerca di Lui, come tra la folla di duemila anni fa….”
Oggi come allora, possiamo immaginare la gioia di Cristo nel farsi vicino al cuore dell'uomo. Molti lo desiderano e lo domandano con trepidazione, letizia, sofferenza, bisogno; con un amore e una tenerezza indicibile che traspaiono sul volto, nonostante la mascherina. Osservando l’atteggiamento di qualcuno, nasce il desiderio di avere lo stesso sguardo e ugualmente quelle mani protese. Ancora Gesù viene incontro e si avvicina a chi domanda, e lo guarisce, peccatore o bisognoso, ricco o povero, donna o uomo, bambino o adulto. Non un gesto puramente rituale ma un incontro personale che ridesta consapevolezza e decisione.  Chi andiamo a incontrare? Chi oggi ci fa compagnia? Nel timore e nella solitudine di queste settimane non vogliamo restare privi di questa vicinanza, non ci rassegniamo a venire rubati di questo contatto in qualche modo fisico con il Signore.

Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la pandemia? (Cfr Romani 8,35-39). Il segno eucaristico del pane è più del suo mantello toccato dalla donna che perdeva sangue; è più del pane moltiplicato e mangiato dalle cinquemila persone, è più delle gocce di sangue che cadevano dalla croce. Nuovamente e ancora più, anche oggi è di una nuova carezza del Nazareno che noi abbiamo bisogno.

don Angelo Busetto

 

OLTRE LA BANCHINA

Vedo gli operai lavorare per il ripristino della gradinata sulla riva della laguna, bianca di marmo e sopraelevata di un gradino. Tre giovani uomini la rifiniscono e la levigano piegandosi con cura su di essa come su un vestito da sposa. La sposa è quest’isola di sole e vento, che in tempo d’autunno si copre il viso con un velo di nebbia. Ma ecco improvvisamente appare il sole che la fa risplendere, riempiendola tutta di colori in movimento come l’acqua che ne bagna le rive entrando ed uscendo due volte al giorno dalle bocche dei porti. La nuova banchina di pietre rosse e di marmo disegna l’intera linea dell’isola sul fronte della laguna come l’ornamento di una collana, opponendo una salda protezione all’irrompere della tempesta.

Il mese di novembre porta in memoria la violenza del vento e dell’acqua e della tromba d’aria che invasero e sconvolsero l’isola l’anno scorso; e inoltre evoca i momenti terribili del novembre 1966 quando la forza del mare spaccava alcuni tratti della difesa dei murazzi, le ondate arrivavano a spruzzare i tetti delle case, e le acque di laguna e mare quasi si congiungevano nelle strade del paese. L’isola rimase e rimane, lunga serpentina di terra a difesa e protezione del miracolo della laguna e dello splendore di Venezia, con le difese a mare irrobustite, le case ripristinate e rimesse a nuovo, i collegamenti rinnovati e moltiplicati.

Oggi, nei giorni del coronavirus, la minaccia è diversa. Sembra venire dall’aria, entra nelle persone attraverso il respiro, come un vento cattivo. Quale banchina, quale murazzo ci difenderà? Basterà un tratto di mascherina che leviga il volto e appiattisce il naso delle persone? Tutti gli inviti alla prudenza e al rispetto delle precauzioni, sono come la banchina sulla laguna e il murazzo di fronte al mare: necessari eppure non sufficienti. Occorre un cuore che rimane vivo, vibrante di carità e acceso di speranza. Nei giorni della mareggiata la carità moveva le persone a superare diffidenze e separazioni, nell’aiuto e nella disponibilità reciproca; la speranza sosteneva il vigore del cuore e diventava preghiera di invocazione e supplica alla Madonna che vince il male, sulla scia dei tempi delle antiche pandemie e delle invasioni crudeli nella repubblica veneta. Uno sguardo alla terra e uno al cielo allarga l’orizzonte come nelle giornate di stravedamento, quando, dopo lo strazio del vento di tempesta, il profilo dei colli si staglia preciso oltre la laguna, e sul mare spicca netta la linea dell’orizzonte, come un invito a navigare oltre. Oltre la bellezza e la fatica del vivere, nel cielo aperto sopra di noi.

don Angelo

 

LA SORPRESA DEI SANTI

Arriva a sorpresa la festa dei Santi. Sbuca di domenica, senza il preavviso pubblicitario che negli ultimi anni la faceva competere con il macabro carnevale di Halloween. I santi sono gente di casa. Alcuni li abbiamo visti sbocciare tra noi e percorrere le nostre strade, nati dalla fede cristiana che attraversa la storia, semina vitalità, ripulisce dai mali e rilancia fede, carità e speranza. In questi tempi abbiamo bisogno dei santi? Alcuni di loro occupano l’immaginario collettivo cristiano, e li troviamo  raffigurati nelle case e nei portafogli delle persone. Eccone una schiera: Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, Padre Pio, Faustina Kowalska, e ora il Beato Marella e il Beato Carlo Acutis. Si agganciano ai Santi del passato, quelli che hanno vinto le pandemie, come Carlo Borromeo e Luigi Gonzaga, con un immenso contorno di seguaci. Aprono il nostro sguardo al cielo, sbaragliano la nebbia che ci chiude in noi stessi, lanciandoci oltre l’orizzonte. Noi, attaccati a questa vita, a questo lavoro, a questa casa, a questa poltrona - e l’anima sprofonda nell’imbuto della solitudine – veniamo spalancati all’eternità, invitati alla beatitudine, incamminati all’amore di Dio e dei fratelli. I santi che abitano in cielo nel cerchio della Trinità, ritornano in terra per innalzarci  lo sguardo fino a incrociare il volto di Dio.

Insieme con i santi dichiarati, la nostra gente continua ad avvertire la vicinanza di parenti e amici defunti, dopo averli sostenuti nella malattia e accompagnati con il Rosario e la Messa all’incontro col Padre. La ristrettezza liturgica dei mesi primaverili ha tagliato con una ferita il cuore di chi non ha potuto accompagnarli da vicino con una preghiera pubblica. Ma non si chiude l’orizzonte del cuore, e gli Angeli e i Santi continuano a salire e scendere per la scala di Giacobbe. Nella paura e nella diffidenza che ci chiudono nella prigione di noi stessi, non ci difendiamo appena con la doverosa obbedienza alle prescrizioni sanitarie. Arriva il calendario dei santi che supera la monotonia dei dibattiti televisivi. Arriva la sorpresa del Vangelo, che ogni giorno ce ne fa sperimentare la presenza buona. Arriva la cara memoria delle persone amate che ci guardano dal Paradiso. Dov’è la loro casa, la nostra casa? Risalendo dallo circuito del sospetto, andiamo incontro a una speranza più grande, sulla soglia di un cielo più profondo e luminoso di quello chiarito dal sole e disegnato dalle nuvole. Qui - è scritto nel diario di una persona che già ne sta facendo esperienza - saremo tutti una sola cosa, ci capiremo sempre, ci ameremo sempre.”

LA LUNGA STRADA DEL BEATO MARELLA

Padre Marella è entrato nel cuore di Bologna, e a più di 50 anni dalla morte viene ora proclamato Beato in piazza Maggiore. Quando sulla facciata della chiesa di San Petronio viene scoperto il lungo striscione che lo raffigura seduto a un angolo di strada, col cappello in mano, la sua figura paterna si distende ad abbracciare la piazza, l'altare col cardinale di Bologna Zuppi, i tanti vescovi tra cui il vescovo Tessarollo, della diocesi di origine, la folla di sacerdoti, diaconi e fedeli razionalmente distribuiti. La celebrazione della Messa ha i tratti di quella sobria e intensa teatralità che la liturgia della chiesa riempie del mistero del Dio presente, la cui gloria si manifesta nei santi. L’incedere del corteo dei concelebranti, l’ampiezza sonora del coro, l’ordine composto dell’apparato e dei gesti esaltano la solennità del momento, quasi a contrappeso con l’umiltà di Padre Marella. La celebrazione si apre con un breve profilo biografico che ne traccia le tappe della vita. Segue il decreto di beatificazione firmato da papa Francesco e proclamato dal cardinale. La concretezza della vita del Marella splende di verità, carità, obbedienza attraverso la parola di Dio annunciata da un solenne ambone in piazza e nell'omelia del cardinale. Viene portato l’originale reliquiario, dove è disteso il fazzolettino che gli deterse le mani intrise d'olio nella consacrazione sacerdotale; anche nei lunghi anni della sospensione dalla celebrazione della Messa, padre Marella lo conservava piegato tra le pagine del breviario. Alla fine iene esposta L'icona che lo raffigura con la stola sacerdotale. Due segni che rimarranno esposti nella cattedrale della città, dedicata a San Pietro. Alla fine della celebrazione il sindaco, nel suo intervento, intravvede in Padre Marella la speranza della città proiettata verso il futuro con l'educazione dei giovani.

Le nuvole che ci girano in testa fin quasi dall'inizio tentano la carezza di una lievissima spruzzata, subito interrotta. Nel ringraziamento finale, ce ne rivela il segreto padre Gabriele Digani, continuatore dell'Opera Marella: dice di aver pregato intensamente all'inizio della Messa perché la pioggia non rovinasse la festa. Il cielo non poteva tuttavia non lasciare un segno: ecco l’arcobaleno splendere ampio dal cielo sull'assemblea che si scioglie. Chicca filale: i primi a recarsi a venerare Marella come beato nella tomba rinnovata a San Lazzaro di Savena, sono quelli del gruppo della diocesi di Chioggia, capitanati da don Angelo Vianello, con persone di Loreo e dell'isola di Pellestrina. Si rinnova e si rafforza il gemellaggio Pellestrina-Bologna nel nome del Beato Marella. Con una promessa: anche il cardinal Zuppi vuole conoscere l'isola che ha dato I natali al nuovo Beato e ha visto gli albori della sua opera.

 

CHI E’ IL PRETE…

Il martirio di don Roberto Malgesini sta provocando un’improvvisa virata nella comune considerazione della figura del prete. Arretrano le immagini del prete equivoco nel comportamento morale, abbondantemente riversate sulla piazza mediatica negli ultimi tempi. Impallidiscono le figure dei preti mestieranti, da sempre presenti nella fantasia delle persone che meno frequentano la chiesa. Si scioglie la fumoseria dei preti ultramoderni per la moda del vestito e del linguaggio. Riappare chiara e precisa la figura del prete che è prete. Le cronache di questi giorni fanno risaltare due tratti della personalità di don Roberto: la carità, espressa nella semplice e continua dedizione ai poveri; la fede e l’amore a Gesù, al quale riservava l’adorazione della prima ora di ogni giornata. Una figura di prete chiara e netta, che riaccende uno sguardo positivo sulla vita di ogni prete, riemerso al livello della stima con cui il popolo cristiano considera i ministri del Signore.

Mi riaffiorano alla mente i preti della mia vita. L’antico arciprete sedentario in canonica e in cammino per le strade del paese con la preghiera delle rogazioni e la benedizione delle famiglie; i preti che sostavano in chiesa a pregare e il giovane cappellano che inventava mille iniziative per i ragazzi e innestava accese discussioni in canonica e in piazza. Il prete che illuminò il mio primo spunto di vocazione, e quello che pazientemente mi accompagnò al primo sì. I preti devoti incontrati in Seminario, i missionari che ogni anno suscitavano entusiasmo e i preti della pastorale industriosa. Diventato prete anch’io, ancora un prete mi ha affascinato con la certezza della presenza di Cristo, realizzata nella Chiesa e alimentata in una compagnia di fede e in una fruttuosa amicizia sacerdotale. Dentro la pasta umana ho visto fiorire il lievito del Vangelo, la vita coincidere con la vocazione, il cuore della persona non separato dal compito svolto. Nel vortice delle cose da fare, nel comune combattimento della vita, nei rivolgimenti di una società complessa, inevitabilmente il prete si svela come uomo di Dio, pure circondato da un velo di mistero.

Dopo i preti morti causa COVID-19 preso nelle corsie degli ospedali, e il prete morto per aver lasciato l'unico respiratore al giovane ammalato come lui, don Roberto colora di rosso sangue l’immagine del prete. E intanto le cronache nostrane raccontano la storia di un prete che dall’isola di Pellestrina ha percorso le città d’Italia e le strade di Bologna e ora diventa beato: Padre Olinto Marella. Lui pure, prete della fede professata e provata e della carità vissuta con apertura e intelligenza pedagogica. E’ ancora possibile guardare una vita da prete e incontravi il volto e il cuore di Dio.

La MASCHERINA sul CUORE

Sono spariti i volti. “Chi sei?”, devi domandare anche a persone note. Non solo senti estranei gli altri, ma ti senti estraneo tu, quasi svincolato anche da rapporti familiari e amichevoli. Quando celebri l’Eucaristia, e soprattutto quando leggi il Vangelo e fai l’omelia, la distanza sembra aumentare, per te che vorresti rivolgerti a persone riconoscibili, e per i presenti che sembrano quasi difendersi dal flusso della parola. La solitudine anche visiva - pur apprezzata per ritrovare se stessi - quando supera un certo livello, arriva a invadere l’anima come un’acqua alta. Allora la mascherina viene a nascondere anche il cuore. La vita appassisce, e si riduce la voglia di iniziare la giornata.
E dunque, ogni spiraglio di volto appare come una novità che accompagna a sbrogliare l’intrigo delle incombenze quotidiane; rimanda a un oltre, a quel fiato di Provvidenza che sempre scorre nell’aria.
Non viviamo per risolvere i problemi nostri o quelli degli altri. Né ci riduciamo a diventare schiavi delle notizie frivole o drammatiche della tv e del chiacchiericcio politico. Ci scopriamo invece partecipi dell’impossibile miracolo del bambino che s’alza in volo, afferrato dall’immenso aquilone davanti alla folla sbigottita. In mezzo ai fatti della vita, nei vuoti della società, nell’abisso dei mali che attraversano il pianeta, sentiamo vibrare il vento lieto e soffice dello Spirito. Il brillio degli occhi si sporge al di sopra della mascherina: nel celebrante che ti porge l’Eucaristia, nei fedeli che tendono le mani a riceverla, nel bimbetto che sbuca furbescamente accanto ai genitori, nella persona amica che ti sorride, nel conoscente che ti rincorre per salutarti. Si ridesta tutto un piccolo e grande mondo: le famiglie che desiderano tornare a respirare, i ragazzi che ricominciano in qualche modo a incontrarsi a scuola e riprendono il contatto con libri e insegnanti, la fatica del lavoro che ritorna ad essere amata, l’ospedale ridiventato accessibile per le visite degli amici, l’asperità dei rapporti personali che si ricompone. Perfino l’ottusità di taluni responsabili della cosa pubblica comincia a sciogliersi in un sussulto di intelligenza e di benevolenza. Un rivolo di speranza percorre strade e case e si infila nel desiderio degli insegnanti di comunicare qualcosa di più della singola materia. Al di sopra e al di sotto di tante paure e incertezze, scoppia la voglia di incontrarsi, nel desiderio di riprendere in mano il filo interrotto di alcune iniziative, per dare valore e significato al vivere quotidiano. Pare che il Signore non usi affatto la mascherina, sempre pronto a svelarsi a chi lo invoca: “Mostraci il tuo volto, Signore”.

Una famiglia cambia casa e invita una schiera di amici alla cenetta che farà da contorno alla benedizione del sacerdote. La casa si innalza di fronte allo specchio di luce del canal ‘Lusenzo’. l sole è tramontato e la laguna rispecchia la cornice di case e chiese che contornano il grande canale.

Gli amici arrivano alla spicciolata e subito vengono attratti dal poggiolo che spalanca lo sguardo e il respiro sul silenzio della laguna e fa intravvedere sull’altra riva le luci e i campanili illuminati. La sorpresa non è solo la casa nuova e la bellezza che ci prende da una straordinaria postazione. Per una cidenza dell’ultimo momento, arriva un’amica inattesa.

E’ Suor Mariam delle suore di Madre Teresa, giusto nel giorno che segna la memoria liturgica della santa della carità. Alcuni amici la ricordano dai tempi passati, per altri è una nuova conoscenza. I suoi ritorni in famiglia sono cadenzati sul ritmo dei dieci anni, ma questa volta l’intervallo è dimezzato in ragione della malattia dell’anziano papà. Le amiche presenti si affrettano a chiederle l’età, sorprese del suo aspetto giovanile e fresco. Si discorre, si racconta, si domanda. Gli anni in famiglia, in parrocchia e un filo di vocazione religiosa spuntato fin da bambina; la dispersione dell’adolescenza e l’incontro con il movimento di Comunione e Liberazione che la rimette in pista. La vocazione si ridesta sentendo parlare di Madre Teresa di Calcutta, che lei inizia a conoscere sempre più. Prende contatto con le ‘Missionarie della carità’ e presto lascia il lavoro di infermiera che era già avviato. Limpida, sicura, determinata come chi ha trovato il suo amore. Girerà il mondo: molti anni in diverse città degli Stati Uniti, poi Inghilterra, India, Italia, ora in Sicilia dopo alcuni anni a Torino. Un amico le chiede: “Quanto c’è Gesù nella tua vita?”. “Sempre”, risponde. La dedizione ai poveri in varie parti del mondo - si tratti delle donne uscite dalla schiavitù della prostituzione o dei ragazzini dei quartieri bassi – è dedizione a Cristo. Le chiediamo come mai le suore Missionarie della carità cambiano spesso città. Lei osserva che il giro degli spostamenti ora è rallentato, ma ricorda che Madre Teresa diceva: “Dovunque voi andiate, trovate lo stesso Gesù e servite Lui”.

L’ora si fa tarda, almeno per lei. Ci legge una preghiera di Madre Teresa. L’amico ospitante le offre il libro ‘Il brillio degli occhi’, di Julian Carron. ‘Non posso tenerlo personalmente; lo metto nella biblioteca della comunità’, dice. Povertà assoluta, per lasciare tutto il posto a Cristo. Lo intuiamo nei suoi occhi che brillano e nel suo volto che splende, come le luci sull’acqua del Lusenzo.