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In occasione dei 1700 anni dal Concilio di Nicea, la Rete teologica ‘Santi Angeli’ ha dedicato l’incontro di lunedì 10 marzo a un dialogo sulla professione di fede stabilita in quel Concilio.
Ecco una sintesi della serata teologica.

L’antefatto: in cerca dell’unità
Se una distanza di millesettecento anni ci separa dal concilio di Nicea, resta vero che Nicea diventa nostra nella Messa di ogni domenica con la professione di fede proclamata nel Credo: “…Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre pima di tutti i secoli… generato non creato, della stessa sostanza del Padre…”.
Non ci scandalizzi il fatto che il Concilio di Nicea sia voluto da Costantino imperatore d’Oriente e d’Occidente dopo la vittoria su Massenzio nel 313. Dopo quasi tre secoli di diffidenza e di persecuzione, il cristianesimo - insieme con tutte le altre forme religiose - viene riconosciuto come ‘religio licita’ da Costantino, che vuole unificare l’impero anche con il contributo dei cristiani. Peccato che questi appaiano divisi sul punto centrale della loro fede. Tutti credono che Gesù Cristo possieda una ‘forma divina’, ma molti non lo riconoscono come Dio. Un grave conflitto scoppia in Alessandria d‘Egitto, città in cui si concentrano i filosofi e gli intellettuali eredi dell’antica Grecia. Ario, prete di Alessandria, facondo predicatore e poeta, incanta vescovi e popolo con i suoi sermoni e le sue canzoni annunciando Gesù figlio di Dio ma non Dio lui stesso. Il contrasto con il suo vescovo Alessandro è vivissimo e si propaga per vaste zone dell’impero. La convocazione di un concilio generale – che noi chiameremmo ‘ecumenico’ - diventa necessaria. I vescovi provengono in massima parte dall’Oriente; dall’Occidente arrivano anche due vescovi in rappresentanza del papa, cagionevole di salute. Costantino mette a disposizione il sistema di posta imperiale e la residenza nel suo palazzo. A Nicea gli storici stimano una presenza di 150-200 vescovi, anche la tradizione riconosce la cifra simbolica di 318, come i servi di Abramo. Non possediamo la cronaca delle sessioni del concilio ma solo le formule conclusive, relative ai temi trattati: l’identità di Gesù, la data della Pasqua, questioni disciplinari.

Il fatto: il Concilio di Nicea, Gesù Cristo è Dio
I vescovi riuniti a Nicea vogliono professare la divinità di Gesù Cristo secondo l’evangelista Giovanni che afferma all’inizio del Vangelo: ‘In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio’. Occorre mettere al riparo questa fede dalle interpretazioni riduttive: gli ariani dicono che il Figlio non è Dio, ma la prima e più eletta creatura, intermediario tra il Padre e gli uomini; i monarchiani affermano che Padre e Figlio costituiscono un’unica persona. Per affermare la fede di sempre, Nicea impiega un nuovo linguaggio, già parzialmente in uso presso alcune chiese dell’Oriente: il Figlio è ‘generato dal Padre come unigenito, cioè della stessa sostanza del Padre. Le parole chiave - ousìa-natura; omoùsios-della stessa sostanza – sono tratte dalla filosofia greca. Con questa preziosa innovazione si giunge a precisare che il Figlio è allo stesso livello del Padre, Dio come il Padre: Dio vero da Dio vero, generato non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose in cielo e in terra. Nel Vangelo di Giovanni Gesù dice: Io e il Padre siamo una cosa sola. Nicea afferma la stessa cosa con il linguaggio del tempo che verrà ulteriormente chiarito nel concilio di Costantinopoli con l’impiego di un’altra parola: hypostasis-persona. Si chiarirà così che Dio è uno solo - una sola natura divina - in tre persone divine: Unità e Trinità di Dio.

Dopo Nicea: un contributo fondamentale alla fede cristiana
Un lungo travaglio segue il Concilio di Nicea. L’arianesimo continua a pervadere molta parte dell’universo cristiano, popolo e vescovi. I barbari che entrano nell’impero romano diventano cristiani attraverso l’arianesimo, più corrispondente alla loro cultura. Atanasio, divenuto vescovo di Alessandria e grande difensore di Nicea, viene più volte esiliato. Dopo Nicea seguono due altri grandi concili: Costantinopoli nel 381, dove viene affermata la divinità dello Spirito Santo, terza persona della Trinità; Calcedonia nel 431 che dichiara Maria theotòkos-madre di Dio, riaffermando la divinità della persona del Figlio di Dio divenuto uomo.
Nei secoli successivi, con l’espansione del cristianesimo in altre culture, particolarmente in Cina e in altre regioni dell’Asia e in Africa, si pone la domanda: come la fede cristiana, dichiarata nei Vangeli e in tutto il Nuovo Testamento e poi chiarita a Nicea e negli altri concili con il contributo della cultura greca, potrà venire espressa e ulteriormente approfondita in culture diverse? E anche: come possiamo riesprimerla noi – senza rinnegarla o ridurla – nella cultura e nel linguaggio odierni?
La fede dei semplici e dell’intero popolo cristiano rimane il punto di paragone e la perenne garanzia per tutti i popoli e tutti i linguaggi. Solo perché si crede con la vita si giunge a esprimere la fede con parole vere e appropriate.
Don Angelo Busetto

UN NUOVO ARIANESIMO?
Occuparsi del Concilio di Nicea è importante non solo dal punto di vista storico. La sua confessione cristologica conserva anche e precisamente oggi la sua permanente attualità, sia nella situazione ecumenica sia all’interno della nostra Chiesa, dove lo spirito di Ario è tornato ad essere molto presente e dove è osservabile un forte risveglio delle tendenze ariane. Già negli anni ‘90, il cardinale Joseph Ratzinger ravvisava la vera sfida del cristianesimo contemporaneo in un “nuovo arianesimo” o, quantomeno, in un “nuovo nestorianesimo, abbastanza pronunciato”. Tali tendenze ariane si manifestano soprattutto nel fatto che diverse persone, persino tra i cristiani, sono sensibili a tutti gli aspetti dell’umanità di Gesù di Nazaret, ma hanno difficoltà nell’accogliere in pieno la fede cristologica della Chiesa, in quanto vedono come problematico il credo secondo cui questo Gesù è l’unigenito Figlio di Dio, presente in mezzo a noi come il Risorto. Anche nella Chiesa spesso non si riesce più a scorgere oggi il volto del Figlio di Dio nell’uomo Gesù.
Dalla dichiarazione del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, 2022

UNA QUESTIONE DI VITA
Un libro uscito nel 1974, letto quando avevo poco più di 20 anni e pure oggetto di lavoro comune, aveva questo titolo:
Alessandro e Ario, Un esempio di conflitto tra fede e ideologia. Documenti della prima controversia ariana, a cura di Enzo Bellini, Jaca Book.
Sotto il titolo si legge: I documenti di una controversia che coinvolse tutta la Chiesa dall'inizio del secolo IV rivelano i dati essenziali di due modi diversi di accostare il fatto cristiano: quello di chi lo costringe entro i limiti di una ideologia e quello di chi ne riconosce la trascendenza. Questi due modi riaffiorano in ogni epoca, per cui la meditazione della vicenda antica aiuta a rispondere oggi.
La controversia di Ario e del vescovo Alessandro dunque mette in evidenza come ci siano due modi di intendere il cristianesimo: o è l’irrompere del Mistero di Cristo nella storia, nella mia storia, qualcosa che continuamente mi supera, oppure è una mia idea, su Dio, sul mondo, sulla vita, alla quale piego il fatto cristiano. A Nicea si sono scontrate queste due posizioni, che si ripropongono sempre nel corso della storia. Negli anni in cui avevo riscoperto il cristianesimo, ci chiedevamo cos’era per noi essere cristiani. Una domanda alla quale non si è mai finito di rispondere. Una domanda che accompagna tutta la vita.
Ecco come si esprimono alcuni amici dopo la serata sul Concilio di Nicea:
+ L'incontro sul concilio di Nicea, come gli incontri precedenti, alimentano il mio bisogno di Dio e conseguentemente il bisogno di conoscerLo per rendere sempre più penetrabile il Mistero. Mi educa ad accettare la mia impotenza, lo stato di Sua "creatura". Ad accettare la strada che mi viene indicata da percorrere, con le mie gambe, con l'aiuto dei compagni di strada, con il Suo aiuto. Alle volte il percorso si complica... G.F.
+ È bello ascoltare insieme parole di vita eterna. R.V,
+ Se Gesù non fosse Dio, non mi sentirei capita, amata, e accompagnata ogni singolo istante. Mi mancherebbe la dimensione dell’eternità, e la vita sarebbe un susseguirsi di fatti più o meno sensati, più o meno lieti o tristi. Tutto si dissolverebbe nel nulla. La dimensione della Speranza verrebbe a mancare. Aldilà delle dispute teologiche, io vivo così Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. A.R.
Mario Frizziero

Vangelo secondo Marco 6,53-56

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano guariti.

UNA SALVEZZA REALIZZATA

Nel Vangelo di Marco, Gesù è sempre ricercato e circondato dalla folla, che lo riconosce salvatore. Il bisogno di salvezza riguarda il corpo e tocca l’anima. Salvezza dalla malattia, dal malessere interiore, dalla paura, dalla desolazione. Gesù non salva solo guarendo, ma soprattutto ponendosi accanto a noi, offrendoci la sua presenza e la sua amicizia. Fino al punto che la sua salvezza diventa invito a stare con lui nella festa di nozze del paradiso.

Vangelo secondo Marco 6,7-13

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.

LO SCOPO DELLA MISSIONE

La missione lanciata da Gesù comincia da un piccolo gruppo e da un piccolo luogo, per estendersi verso tutta l’umanità. Per l’evangelista Marco la missione consiste nell’invito alla conversione e nella lotta contro i demoni. In ogni uomo e ogni donna, esiste un male da cui convertirsi e un maligno da cui venire liberati: la missione degli apostoli e degli altri inviati mira alla conversione di ciascuno e alla vittoria su satana. Un lavoro sulla persona, prima che su qualsiasi altra situazione.

Vangelo secondo Marco 5,21-43

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

DUE DONNE SALVATE

Una ragazzina figlia di un capo della sinagoga, e una donna malata da tempo, che i medici avevano tormentato senza guarirla: vengono guarite da Gesù in forza della fede, cioè della totale fiducia e affidamento a Lui. Il rapporto vivo con Gesù è via di salvezza nelle condizioni in cui viviamo in questa terra e poi nel compimento del paradiso. Impariamo dalle persone che sanno affidarsi a lui, anche sfidando anche la diffidenza degli amici e della folla.

Vangelo secondo Marco 4,1-20

In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva.
Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato».
E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».

LA SEMENTE GETTATA

Il campo del mondo, come il campo del nostro cuore, ha bisogno della semente per fruttificare. Può accadere che il campo del mondo e del cuore rimane vuoto, refrattario alla semente del Vangelo, che non viene gettata o viene rifiutata e neppure riconosciuta. L’aridità del mondo e del cuore rispetto al Vangelo rende arido il mondo e improduttiva la vita. Occorre ridestare il desiderio della semente, l’attesa del sole e della pioggia, e riconoscere chi torna a seminare il Vangelo di Gesù.

Vangelo secondo Marco 3,22-30

In quel tempo, gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni».
Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito.
Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa.
In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna».
Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».

PECCATO CONTRO L’EVIDENZA

Su Gesù viene riversata l’accusa più impossibile, quella di essere lui stesso posseduto dal demonio. Con precisione e audacia, Gesù ne svela la contraddizione. Quando si va contro l’evidenza, è un peccato contro la verità, che non può essere perdonato perché colui che lo compie non ammette la sua devianza. Gesù ci vuole liberi e sinceri di fronte al reale, di fronte al bene e di fronte al male, senza imbrogliare noi stessi e senza farci imbrogliare da satana.

Vangelo secondo Marco 3,1-6

In quel tempo, Gesù entrò di nuovo nella sinagoga. Vi era lì un uomo che aveva una mano paralizzata, e stavano a vedere se lo guariva in giorno di sabato, per accusarlo.
Egli disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati, vieni qui in mezzo!». Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?». Ma essi tacevano. E guardandoli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse all’uomo: «Tendi la mano!». Egli la tese e la sua mano fu guarita.
E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

LA LEGGE E LA PERSONA

La controversia sul riposo del sabato diventa il punto più critico del rapporto di Gesù con la legge antica, impersonata dai farisei e tanti loro associati. Si ripetono gli episodi nei quali – per Gesù – il bene della persona prevale sulla lettera della legge, che fin da principio Dio aveva stabilito in favore dell’uomo, e che poi si era ridotta a formalità. In modo indiretto, Gesù attesta che il vero comandamento dell’amore di Dio si esplicita nell’amore del prossimo.

Vangelo secondo Marco 2,13-17

In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

PECCATORI CHIAMATI

La folla va da Gesù, attratta dal fascino della sua persona, dai suoi miracoli e dal suo insegnamento. Come per caso, Gesù, vede lungo la strada Levi-Matteo e lo chiama a seguirlo. Si tratta di un uomo considerato come peccatore perché collaboratore dell’impero romano come esattore delle imposte. Gesù va a casa sua dove trova suoi amici e colleghi. Scoppia la protesta degli scribi dei farisei, detentori della moralità pubblica. Ma se Gesù non incontrasse i peccatori, che salvatore sarebbe???

Vangelo secondo Marco 1,14-20

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. Subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

UN INCONTRO, MILLE INIZI

Il Vangelo registra tanti nuovi inizi nella vita di Gesù e dei suoi discepoli. Sulle rive del Giordano e sulla riva del lago, lungo la strada e sul tavolo del gabelliere, in casa e nella sinagoga. Se non fosse che sempre siamo chiamati di nuovo, la vita si inaridirebbe. E tuttavia, nell’esperienza di ciascuno esiste un ‘primo inizio’, nel sussulto del cuore e nella mossa della volontà: la sua chiamata e la nostra risposta. La grazia di un incontro che segna la vita.

Vangelo secondo Marco 6,34-44

In quel tempo, sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare». Ma egli rispose loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Gli dissero: «Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?». Ma egli disse loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere». Si informarono e dissero: «Cinque, e due pesci».
E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde. E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta. Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.
Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.

GESU’ IN AZIONE

Subito dopo gli inizi, incontriamo Gesù in azione. Non secondo un ‘progetto di conquista’, ma per un desiderio di incontro e di salvezza. Vedendo le folle, di allora e di adesso, disperse come pecore senza pastore, che cosa fa Gesù? ‘Si mise ad insegnare’: dona il senso della vita, apre alla speranza. Soprattutto, sostiene il cammino con il pane del miracolo: parola e azione. Così nasce e cresce la Chiesa, non solo nel momento eucaristico, ma in tutti i cammini della vita.