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Vangelo secondo Luca 8,16-18

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce. Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce.
Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».

LUCE e VITA

Quello che Gesù annuncia non appartiene a una società segreta o a una religione per iniziati. E’ luce e vita per tutti. Può rivelarsi a poco a poco, come il sole che sorge; viene conosciuto da una mente che si apre e un cuore che si scioglie. Non sprofonda in un pozzo segreto. Splende negli occhi, si manifesta nelle parole, si riconosce nella vita. Gesù che dice: “Io sono la luce del mondo”, dice anche, ai discepoli, a noi: “Voi siete la luce del mondo”.

 

Dal Vangelo secondo Matteo 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

UN DONO PER VIVERE

Distrazione del padrone del campo, che non ha calcolato quanto lavoro c’era da fare, o buon cuore di un uomo disposto a dar lavoro a tutti? E’ in gioco anche la pigrizia dei lavoratori che sono usciti in piazza con troppo ritardo? La pagina di Vangelo, con la progressiva chiamata di altre persone al lavoro, trascina verso la sorpresa finale: il padrone non paga in rapporto alle ore di lavoro, ma dà a tutti l’intera paga della giornata. Il salario è personale e familiare e non si limita a corrispondere alla prestazione. Questo non vi è solo un clamoroso anticipo di ‘dottrina sociale cristiana’. La parabola segnala la misura che Dio usa nei riguardi dell’uomo: non un compenso stabilito da contratto, ma una grazia che fa vivere. Dio non ci tratta da operai e da servi, ma da amici. Lo riconosciamo per noi e per i nostri fratelli; allora la condivisione genera amicizia e fa traboccare di gioia.

Vangelo secondo Luca 8,4-15

In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.
Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

IL BELLO DELLA PAROLA

E’ bello rileggere la parabole del seme, perché ogni giorno il Signore Gesù getta la semente della sua parola nel terreno della nostra giornata. Apriamo occhi, mente e cuore ad accogliere il seme che attecchisce e germoglia – come dice un’altra parabola – anche quando dormiamo o siamo distratti. Domani viene proposta la ‘Domenica della Parola’. La Parola non è solo un libro da leggere, ma una presenza reale che fiorisce nella vita e rende abitabile il mondo. Grande testimone ne è il santo di oggi.

 

Vangelo secondo Luca 8,1-3

In quel tempo, Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio.
C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

UOMINI E DONNE

Luca è l’unico evangelista a notare che al sèguito di Gesù non ci sono appena i dodici apostoli, ma anche ‘alcune donne’. Suggerisce un’immagine compiuta della prima ‘compagnia di Gesù’, dove alcune donne sono implicate fino a servire Gesù e gli apostoli ‘con i loro beni’. La storia della Chiesa è lo sviluppo di questa prima e varia compagnia di discepoli del Signore: uomini e donne, famiglie, monasteri e conventi, parrocchie e confraternite e mille altre forme in cui i cristiani seguono e servono il Signore.

Vangelo secondo Matteo 9,9-13

In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».

SGUARDI

Cosa vede Gesù in Matteo per chiamarlo appena lo vede al banco delle imposte che egli riceve per conto dei dominatori romani? Che cosa vede Matteo in Gesù per alzarsi e seguirlo? Mistero di sguardi umani e mistero di grazia. La chiamata di Gesù non prevede alcuna premessa, se non l’incontro personale e forse una reciproca straordinaria simpatia umana. Chiamando Matteo alla sequela e alla missione, Gesù lo salva, da pubblicano peccatore che era. La misericordia è la più grande azione di recupero.

 

Vangelo secondo Luca 7,31-35

In quel tempo, il Signore disse:
«A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.
È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.
Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

IL CAPRICCIO E IL BISOGNO

Quante volte giudichiamo in base al nostro capriccio? ‘Mi piace, non mi piace’. Spesso è appena l’impressione del momento, che cambia con il cambiare del vento o gli umori della stagione.
C’è un bisogno più profondo del cuore, con il quale valutare i fatti della vita e verificare quello che ci corrisponde. C’è un rispetto della realtà, un’attenzione a ciò che accade, come opportunità e non come ostacolo. Occorre domandare il dono della sapienza per riconoscere Colui che ci viene incontro.

Vangelo secondo Luca 7,11-17

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

IL MIRACOLO DELLA VICINANZA

Stiamo a guardare Gesù che si ferma accanto alla bara del figlio morto e dice alla madre: “Donna non piangere”. Prima del miracolo, una presenza che sostiene e fa vivere, una parola che dice vicinanza e partecipazione. Questo miracolo continua ad accadere. Non possiamo evitare la morte delle persone care, anziane o giovani. Non possiamo pretenderne la risurrezione anticipata. Il miracolo vero è la presenza di Gesù, realizzata attraverso persone che ci accompagnano a riconoscerlo.

 

Vangelo secondo Luca 7,1-10

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

IO NON SONO DEGNO

Le parole del centurione risuonano nelle liturgie eucaristiche. Dicono la nostra distanza dal Signore e nello stesso tempo la nostra fiducia in lui. Gesù non è entrato nella casa del centurione, ed ha guarito il servo a distanza. Egli invece entra nella nostra casa, e diventa pane di vita. L’eucaristia permette al Signore Gesù di estendere la sua presenza e di comunicare personalmente e sacramentalmente con noi. Domandiamo l’umiltà e la fede del centurione, con la semplicità e la decisione del santo di oggi.

Vangelo secondo Matteo 18,21-3518,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

NUOVA FAMILIARITA’

In quali luoghi e dentro quali rapporti si può applicare la logica del perdono? In famiglia, padre e madre perdonano mille volte al figlio, bambino piccolo, adolescente, giovane. Dove c’è amore vero, ci si perdona ogni giorno tra marito e moglie, si accoglie con pazienza il genitore anziano, si accudisce la persona malata.
Pietro domanda a Gesù quante volte potrà perdonare al ‘suo fratello’. Gesù risponde che il perdono va dato senza conteggi. Egli non ha in mente solo i rapporti familiari, ma anche l’ambito del lavoro e della società: la parabola del Vangelo parla del rapporto tra re e servo e dei servi tra loro. Sarà possibile vivere con gli altri lo stesso perdono che si dà ai familiari? Gesù inaugura tra gli uomini una comunità nuova, nella quale diventiamo amici e fratelli e sorelle. Questo è il principio dell’amore fraterno e della misericordia.